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L'articolo che presentiamo, è il compendio di un articolo, "Sul Covid ed alcuni aspetti della fase odierna",scritto a fine agosto; ha voluto ripercorrere il quadro delle contraddizioni e la natura degli interventi borghesi nell'affrontare l'emergenza epidemica e i suoi riflessi sul quadro di crisi che gli preesisteva.
Questo breve compendio ne aggiorna alcuni aspetti maturati nel frattempo, in particolare dalla “Fase 2” o della “Ripartenza”, ad ora: quella del “Secondo tempo” dell'epidemia.
“Secondo tempo” in cui si possono leggere sia elementi di continuità con il momento precedente, in particolare nelle linee generali che orientano la gestione della situazione per parte borghese, pur con gli adattamenti obbligati al momento, e di discontinuità se si fa riferimento all'acutizzarsi di una serie di contraddizioni sul piano delle relazioni sociali, vuoi per le ricadute della crisi sui diversi strati sociali, vuoi per il diverso margine di manovra offerto dal perdurare della stessa epidemia sulle scelte borghesi rispetto a marzo.
Come abbiamo più volte ribadito, il mantenimento degli assetti produttivi fondamentali ha costituito il punto di riferimento prioritario su cui modellare lo stesso intervento sanitario antiepidemico, pur nell'eccezionalità di una situazione che ha profondamente scosso i meccanismi di produzione e riproduzione capitalistici con delle ricadute laceranti sul quadro delle relazioni sociali e fra le classi.
La “fase 2” di maggio, della “Ripartenza”, dopo l'abbassamento della curva epidemica, è stata improntata alla volontà di recupero del gap produttivo imposto dal “primo tempo” dell'epidemia e dalle misure del lockdown generalizzato; oltre a voler riattivare, seppur parzialmente, quei settori propri al commercio, ai servizi e ai settori della piccola produzione.
Se si analizzano i dati del Bollettino ISTAT relativi al terzo trimestre dell'anno (quello della “Ripartenza”) per quanto riguarda la manifattura, si vedrà un balzo in avanti della produzione e degli ordinativi eccezionale, con un +41,7 % di maggio, per attestarsi ad un +7,7% di agosto, rispetto ai dati espressamente negativi quasi vicini al -30% nei mesi del lockdown profondo. Il settore che ha spinto di più è stato quello dell'export, come dato oramai consolidato. Il settore dei servizi, pur in un recupero sostanziale, si attesta però ad un livello molto più basso di tenuta rispetto agli asset precedenti.
È ovvio che la ripresa indotta dalla fase della “Ripartenza” ha recuperato quella “sottoutilizzazione degli impianti” in tutti i settori come conseguenza della “Fase 1”. Ma il dato sostanziale è che anche quel +16% sul PIL che segna i mesi della “Ripartenza”, non è riuscito a recuperare in termini generali su quanto perso complessivamente in termini di PIL. Sicuramente vi ha inciso, riportando la variazione ad un -8,2% rispetto allo stimato -13% iniziale, ma comunque non ne ha invertito il segno.
Accanto a questi dati ce ne sono altri che segnano quel passaggio.
Il primo sicuramente è che è continuata la moria di piccole imprese incapaci di resistere sul mercato e di misurarsi con un contesto come l'attuale. La stessa CGIA di Mestre stima in 4.446 mila le produzioni venute meno nei primi sei mesi dell'anno nel solo settore artigianale.
Il secondo dato da prendere in considerazione è il -650mila posti di lavoro persi in particolare nel settore dei servizi (-6,3), nell'agricoltura (-1,29) e nella manifattura (-1,1) nonostante si sia potuta avvalere anche delle norme sul blocco dei licenziamenti, sempre nel trimestre richiamato.
In sostanza, quello che emerge già da questi pochi dati di riferimento è che lì dove vi è stato un parziale recupero produttivo ciò ha significato che si è lavorato allo stremo, con il massimo innalzamento dei ritmi produttivi e al contempo con il massimo contenimento possibile dei costi vivi e quindi, in definitiva, con un alto livello di sfruttamento dei lavoratori.
A riguardo, si sono sfruttati gli ampi margini normativi interni alle politiche dirette ed indirette di sostegno al tessuto produttivo da parte degli interventi governativi, come ad esempio quelli sulla Cassa Integrazione. Il tutto con la crisi economica, come era ovvio, che comunque si è riversata in forma negativa sui livelli occupazionali.
Il tratto comune delle politiche di intervento statale è stato quello, attraverso la spesa in deficit, di sostegno al quadro economico nazionale, tratto che ha attraversato ogni intervento legislativo sin qui effettuato e che gli imprenditori reclamano a gran voce anche per il futuro.. Un intervento a “geometria variabile” di massima tutela degli interessi del grande capitale e di intervento parziale e a “scadenza” verso gli interessi subordinati.
Un intervento in deficit che porta in prospettiva ulteriori problemi sul piano della gestione del Debito pubblico dello Stato, della spesa per interessi, ponendo sul piatto la necessità di politiche di “rientro” che si vengono a porre come ulteriore “priorità” da affrontare per parte borghese, a scapito come sempre del proletariato.
Il “compromesso” fra la politica del rilancio del PIL e il rischio di diffusione dell'epidemia, fondato sulle strette esigenze del capitale, non poteva che massimizzare il primo termine a discapito del secondo, e, per questa logica, impossibilitato ad affrontare sia le ricadute sociali della crisi che la “seconda ondata” epidemica.
“Seconda Ondata” quindi spinta in avanti e con necessaria veloce progressione dagli stessi indirizzi delle politiche borghesi, e quindi ampiamente preventivabile dallo stesso sviluppo degli eventi che era alla base del “Dobbiamo convivere con il virus”, che ha dato il via alla fase della “Riapertura”, o meglio sarebbe dire alla condizione più favorevole all'agire in funzione delle impellenti necessità della borghesia.
Un gioco al rialzo, una scommessa fatta con cinica determinazione e calcolo sulla pelle delle classi lavoratrici e proletarie su cui oggi viene rovesciata in termini immediati e ancor più drammatici di ieri la contraddizione fra la tutela della salute e la salvaguardia della propria condizione di vita.
Vediamo anche che nel momento odierno l'intervento statale sui tanti aspetti della situazione ha seguito una sua linea di continuità, pur adeguandosi al quadro di sviluppo della situazione.
La politica dei lockdown e le altre prescrizioni risultano già ad un primo colpo d' occhio non solo poco incisive da un punto di vista anti epidemico, ma la loro strutturazione, la loro filosofia generale, mette al centro la continuità produttiva innanzitutto nei settori chiave del capitalismo nazionale, anche a scapito delle attività commerciali e dei servizi, propri a fasce di piccola borghesia mercantile.
Che questo sia stato l'approccio principale è riscontrabile dal fatto che la messa in opera delle misure antiepidemiche più che essere frutto di un calcolo sanitario, è stato il risultato di una partita dove si è giocato fra vari livelli di interessi nei rapporti fra diverse figure economiche e istituzionali. Uno scontro che poco aveva a che vedere con la salute e le misure da prendere in senso antiepidemico.
Contemporaneamente, sul piano sanitario, della scuola, dei trasporti e più in generale dei servizi sociali, si è riproposta la stessa logica dell' “emergenza” come nella “Fase 1” di marzo.
Il “Decreto Ristori” segue la stessa filosofia dei precedenti nel sostegno diretto ai settori investiti dalla crisi, anche se è evidente la sua logica “pattizia e a scadenza” - un intervento cioè temporaneo e dagli intenti narcotici - verso quei settori di piccola borghesia mercantile e bottegaia, che in questo periodo hanno messo in piazza il loro malessere sociale. Concessione che fa il paio con il mantenimento di possibili attività dentro i lockdown di diverso ordine e grado. Ciò mira non tanto a ridurre lo scollamento oggettivo di queste frazioni di classe, ma a ridurre il fronte della protesta bottegaia frammentandolo in una miriade di microinteressi diversificati tra di loro, incapaci anche solo a fini “protestatari” di pesare sulla tenuta sociale, legando strettamente la loro sorte all'erogazione delle prebende di Stato e alla diversificazione di posizione codificate all'interno delle prescrizioni antiepidemiche.
Sempre su questo piano, il rinnovo della CIG , il “blocco dei licenziamenti” ventilato fino alla primavera prossima, non solo sono la presa d'atto di un rinnovato intervento diretto sui problemi della produzione (con un PIL attestatosi ad un -9,9% previsto dalla UE e un -10,5% previsto dallo stesso governo) ma hanno anche il significato di tenere ben ferma la classe operaia dentro il suo ruolo nella produzione, in particolare, e dentro la lotta di classe in generale, agganciando la sua posizione a quella di estrema difesa e tutela del posto di lavoro nella “crisi pandemica”. Un interesse immediato e di corto respiro, come le vicende della Whirpool dimostrano, e che rischiano anche sul piano concreto del lavoro di mettere in contraddizione la tutela della sicurezza e della salute del posto di lavoro, con la salvaguardia (a perdere ) del posto di lavoro.
È chiaro che i margini presenti nella “Fase 1” si sono abbondantemente erosi. Le prime espressioni di “malcontento sociale” che si sono manifestate hanno espresso a pieno questo dato, oltre l'opposizione immediata al DPCM del 2 novembre.
Così come d'altra parte si è resa manifesta la collocazione di interessi dei vari strati sociali, seppur apparentemente e inizialmente postisi in una spinta univoca. Ciò che appariva all'inizio confuso, i passaggi materiali di lotta e di rivendicazione da un lato, così, come dicevamo, dell'intervento dello Stato dall'altro, hanno reso chiaro.
Dopo gli scioperi operai di marzo, la nostra classe ha portato sulla scena, a macchia di leopardo, spesso con poca consapevolezza di sé, se non della propria ingiusta situazione, settori legati al lavoro nero e grigio, da sempre in una posizione marginale sul mercato del lavoro e strettamente legati al mantenimento della propria attività per la propria sussistenza, assieme (e loro stessi ) rappresentanti di quelle fasce giovanili con un basso livello di scolarizzazione, e in fluttuazione continua dentro il mercato del lavoro. Settori che si sono trovati di fianco strati, seppur esigui, di gioventù studentesca che si era posta su un piano conflittuale nella critica pratica ai provvedimenti di “riapertura “della scuola e quelle fasce di lavoratori dei servizi e della cultura altamente precarizzate.
Una spinta che potrà avere il suo livello di maturazione soggettiva solo con la discesa in campo di settori del proletariato e della classe operaia che porranno inaggirabili problemi di visione strategica generale e di alternativa a questo sistema di cose, da costruire con le stesse avanguardie maturate sul fronte della lotta, fuori dai confini delle stratificazioni di classe, per la loro riunificazione e per il loro orientamento politico verso l’alternativa sociale ai meccanismi economici e sociali del decadente capitalismo.
Battaglia Comunista #11-12
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