Centri sociali, sgomberi, arresti e repressione

Il 7 febbraio con un ingente dispiegamento di forze dell’ordine, come ormai d’abitudine, è stato sgomberato il centro sociale di area anarchica “LAsilo” nel quartiere Aurora di Torino. 6 gli arresti di occupanti che hanno strenuamente cercato di resistere all’operazione di polizia.

Lo sgombero dell’Asilo (dopo 24 anni di occupazione!) è solo l’ennesimo, e di certo non l’ultimo, di un complesso Piano Sgomberi varato da Salvini, in linea con i governi precedenti. Tale direttiva risponde a tre interessi fondamentali e tra loro interconnessi:

  1. gentrificazione, ossia espulsione del proletariato dalle zone centrali per renderle redditizi quartieri residenziali;
  2. depoliticizzazione, ossia disinnescare i possibili luoghi di ritrovo e assembramento di futuri conflitti che potranno avvenire a livello territoriale come conseguenza dell’ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro in seguito all’avvitarsi della spirale della crisi;
  3. controllo, ossia il diffondersi di quel modello di deserto sociale, schedature, telecamere e marginalizzazione del dissenso al quale la classe dirigente si aggrappa nella – speriamo vana – illusione di poter arginare le future ondate di rabbia che potrebbero travolgerla.

Il dispositivo repressivo viene tenuto ben oliato: pene aggravate per chi occupa, reato di blocco stradale (decreto sicurezza), piano sgomberi. Questo mentre aumentano precarietà, disoccupazione, miseria, persone che non hanno un tetto sopra la propria testa…

Gli arrestati dell’Asilo erano attivi nelle lotte contro i moderni lager per migranti, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), ed a loro è stato applicato l’articolo 270 CP: associazione sovversiva, lo strumento più usato per colpire chi si oppone a questo sistema.

Il 9 fabbraio è andata in scena la “risposta del movimento” anarchico, ma non solo, che ha sfilato per le vie di Torino. Come da alcuni anni accade, in seguito alle nuove direttive europee sui cortei e i controlli territoriali, il dispiegamento di polizia è stato imponente, con l’utilizzo della “distanza”: lacrimogeni e idranti come mezzo per “isolare i violenti” prima e praticare gli arresti (11) poi. 4 i feriti più o meno gravi. Il conto dei danni? Alcuni cassonetti dati a fuoco, un autobus danneggiato, i vetri della SMAT (Società Metropolitana Acqua Torino) in frantumi. Tutto sommato, oggettivamente, poca roba.

Ribadiamo la nostra solidarietà ai manifestanti, agli arrestati, agli occupanti e al quartiere Aurora che si è visto privare di uno storico centro di aggregazione ed elaborazione politica in un epoca nella quale, come dicevamo, la desertificazione sociale avanza praticamente incontrastata.

Ma tale solidarietà ci impone anche una riflessione critica sul piano della risposta data. Un corteo e degli scontri, per quanto comprensibili, sono una risposta politicamente adeguata? Abbiamo il dubbio che quella espressa nelle strade di Torino il 9 febbraio abbia più a che fare con l’estetica del conflitto che con il rilancio di una nuova lotta di classe. Nessun appello, a nostra conoscenza, è stato rivolto ai motivi della necessità di una ripresa della lotta di classe stessa, della riappropriazione di un punto di vista rivoluzionario, dell’unità della classe proletaria nella lotta per i propri interessi negati e contro il capitalismo nel suo complesso. Come sempre accade in queste situazioni il problema viene visto come particolare per quanto riguarda il o gli sgomberi e non come elemento, passaggio, di una critica generale al capitalismo ed ai motivi fondanti un opposizione ad esso che non sia limitata alle soggettività attive politicamente (quelli che fanno militanza, dalle riunioni agli scontri…) ma che faccia leva sulla attivazione e generalizzazione di un nuovo conflitto e organizzazione di classe.

Vogliamo chiudere con un paio di riflessioni, che speriamo possano stimolare dibattito e discussione. Scrivevamo in un documento del 1994 (“Appesi al filo rosso” su leftcom.org) a proposito dello sgombero del Leoncavallo:

La semplice difesa delle mura di un Csa sembrava diventare un gesto antagonista, di per sé, alla società capitalista e al potere in genere. Necessario e sufficiente.

Ecco. Così non è. Il nemico di classe è all’attacco su ogni fronte: salariale, sociale, legislativo, repressivo, bellico… ciò che manca nel nostro, di fronte, è l’elaborazione di una strategia e di un' organizzazione coerentemente rivoluzionarie e internazionaliste. È questo il solo fattore che può dare l’input a nuove scintille di conflitto di classe, che sicuramente si produrranno indipendentemente dalle soggettività di classe, ma che altrettanto sicuramente non riusciranno a liberarsi dalle trappole del rivendicazionismo, nazionalismo, democraticismo etc. senza le suddette soggettività.

Così chiudevamo il documento di allora e così chiudiamo questo articolo di oggi:

Anche per questo, pur essendo, dal punto di vista strettamente economico la situazione internazionale realmente pre-rivoluzionaria [o, meglio, pur essendoci nello sviluppo dei mezzi di produzione e nel progredire della crisi tutti i motivi per una nuova rivoluzione comunista - NdR], si è purtroppo ben lontani dalla creazione delle avanguardie di classe necessarie a guidare una rivoluzione che ormai, se ci sarà, dovrà essere internazionale ed internazionalista. Se i Csa non fossero - come quasi tutti, anche se non dichiaratamente, sono - i fortini dell'autonomia, o peggio, in via di istituzionalizzazione; o in mano a degli anarchici e piccolo-borghesi (come cultura) collettivi anarchici ecc., sarebbero forse i posti ideali dove fare riaggregare la sempre più atomizzata e bastonata classe operaia italiana e non, dove infondere nei giovani proletari un po’ di vero internazionalismo al di là delle grandi alleanze per liberarsi delle destre o delle parole d'ordine bertinottiane pseudo compatibili con l'economia nazionale: dove rilanciare la necessità della rottura rivoluzionaria contro ogni tipo di riformismo, dove riparlare di che cosa significa autorganizzazione di classe, senza farsi tante menate sull'autogestione quando si sa che poi qualcuno che gestisce c'è, dove ricreare le basi per un'organizzazione comunista internazionalista. Ma così non è, e ciò che adesso ci sentiamo di fare rispetto alla generosità ed alla buona fede di tanti giovani compagni dei Csa è demistificare. Eliminare la confusione che non permette una chiara coscienza di classe.

Lotus
Mercoledì, February 20, 2019