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Com'è noto, il Giorno della Memoria è stato istituito per ricordare l'entrata delle truppe sovietiche nel campo di sterminio di Auschwitz (1), che misero fine a una delle pagine più tragiche della storia dell'umanità.
Giusto ricordare l'annientamento degli ebrei d'Europa, degli zingari e di innumerevoli altri esseri umani da parte del nazismo, ma senza dimenticare il percorso storico, le cause che hanno prodotto tanto orrore, cosa che invece le istituzioni borghesi si guardano bene dal fare. Se a quelle cause si accenna, vengono però ridimensionate, messe sullo stesso piano – se va bene – di altri fattori che, benché presenti, hanno giocato un ruolo di secondo o terzo piano, nel senso che hanno potuto dispiegare le loro potenzialità negative solo dopo essere stati spinti sul palcoscenico del dramma storico dai sommovimenti della base economico-sociale.
L'antisemitismo, da secoli più o meno serpeggiante in Europa, pur provocando persecuzioni e massacri, non aveva mai assunto la sistematicità omicida di ottant'anni fa. Per secoli utile capro espiatorio su cui scaricare le frustrazioni, le paure e la rabbia sociali, rendendole in tal modo innocue per le classi detentrici del potere, è solo nel secolo scorso che è potuto diventare la bandiera ideologica di un partito, il nucleo attorno a cui aggregare milioni di arrabbiati, di impauriti per il rapidissimo degrado sociale in cui la più grave crisi del capitalismo (finora) li aveva sprofondati. Ecco, appunto, il modo di produzione capitalistico, la formazione sociale che su quello si sviluppa, le idee che ne vengono prodotte e che guidano la “gente”: mandante e allo stesso tempo esecutore dell'assassinio in massa perpetrato nei campi della morte; in questi, come in altri luoghi, in altri tempi, con altre modalità, ma sempre riconducibili al medesimo Assassino. Richiamarsi semplicemente a determinati valori etici per scongiurare la ripetizione di nuove e similari tragedie storiche, è di scarsissima o, meglio, nulla efficacia, se quei valori non si agganciano alla critica radicale – e prassi conseguente – a un sistema che per natura genera violenza, oppressione e sfruttamento, perché questi sono i “mattoni” del suo DNA, i caratteri con cui è venuto al mondo e coi quali conduce la sua esistenza. E' fatto così. Se in determinate epoche, in determinate aree i suoi géni si esprimono con intensità diversa – per così dire – ciò dipende dalle circostanze storiche, il cui filo conduttore è dipanato dai cicli di accumulazione del capitale. Quelli sono gli ingredienti da cui esce il prodotto specifico, tanto che, seppure variamente dosati, si ritrovano sempre nella plurisecolare storia del modo di produzione capitalistico.
Se è indubbiamente un errore “leggere” il presente come se fosse una fotocopia del passato, è altrettanto vero che finché questa società non tirerà le cuoia – ma solo il proletariato rivoluzionario gliele farà tirare – le sue costanti di fondo produrranno situazioni non certamente uguali, ma, per certi aspetti, simili. Il nazismo è salito al potere addossando allo 0,8% della popolazione (i cittadini di origine ebraica del Reich) la colpa di ogni male, cioè della disoccupazione e dell'immiserimento generalizzato. Oggi, la destra “sovranista” cresce a ogni tornata elettorale, va al governo additando in povera gente scampata all'annegamento la minaccia principale alla “civile convivenza”. Oggi, come ieri, una crisi economico-sociale acuta fa da sfondo alla disperazione (2) sociale che presta orecchio a quelle luride sirene. Oggi, come ieri, la borghesia “democratica” e “per bene” ha abbondantemente preparato il terreno dove attecchisse e prosperasse la mala pianta del nazismo e del suo parente (non troppo alla lontana) “populista”. Nell'uno e nell'altro caso, chi ne ha pagato, ne paga e ne pagherà le spese è sempre, prima di tutto, la nostra classe, il proletariato. Infatti, è vero che la furia nazista mandò nelle camere a gas anche ebrei appartenenti all'alta borghesia (3), ma non è meno vero quello che per noi è da sempre una cosa scontata e che solo pochissimi storici “ufficiali” sottolineano ossia che lo sterminio fu uno
sterminio di classe. Morirono innanzi tutto gli ebrei poveri e indigenti, coloro che non potevano fuggire […] Non erano soltanto i mascalzoni o gli avventurieri a godere del sistema dei privilegi; più spesso ne godevano i benestanti, coloro che disponevano di ricchezze e proprietà o di posizioni sociali affermate […] La maggior parte dei sei milioni di ebrei sterminati dal nazismo apparteneva a classi povere e medie, cui era impossibile qualsiasi alternativa, diversa dal sottomettersi alla barbarie nazista, anche e spesso nel tentativo di attenuarne gli effetti dannosi sulla famiglia e sulle Comunità (4).
Ricordare che le vittime dello sterminio appartenevano per lo più al proletariato e agli strati sociali vicini, non vuol dire dare umanamente meno valore alle vittime appartenenti alla borghesia, ma solo non dimenticare mai il meccanismo economico-sociale che le ha inghiottite, per combatterlo e scardinarlo una volte per tutte. Il “laboratorio sociale” nazista pescò, potenziandolo, nel vasto repertorio della pratiche di sfruttamento di cui il capitale dispone fin dalla nascita, anticipando, per certi versi, aspetti fondamentali del capitalismo degli ultimi decenni. I ghetti, i campi di concentramento erano luoghi in cui i capitalisti facevano a gara per “delocalizzare” interi settori produttivi, godendo del vantaggio di poter sfruttare una forza lavoro ancora più schiava di quella sfruttata nelle odierne “maquiladoras” sparse ai quattro angoli del Pianeta. Con un decreto del 3 ottobre 1941, gli ebrei di Germania «avrebbero dovuto accettare tutti i lavori che fossero stati assegnati loro dal Ministero del Lavoro» (5), anche a centinaia di chilometri da casa. Con questo vogliamo dire che il decreto dell'ottobre 1941 è la stessa cosa delle leggi Hartz del socialdemocratico Schroeder o del “Reddito di Cittadinanza” del governo giallo-verde o di altre misure simili di “workfare” (costrizione al lavoro salariato) varate in altri paesi? Ancora abbiamo la capacità di distinguere, proprio come sappiamo distinguere, e ricordare, i rami di una stessa pianta.
CB(1) Il 27 gennaio 1945.
(2) Senza la speranza in un mondo alternativo a quello borghese, senza prospettive certe di risalire i gradini sociali di un tempo, unica illusione a cui riescono ad aspirare milioni di persone della piccola borghesia, ma anche, purtroppo, di segmenti del proletariato.
(3) Il che costituì un ottimo affare per la parte “ariana” della borghesia tedesca e per il suo stato. Vedi, a questo proposito, Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, capitolo quinto, L'espropriazione, Einaudi, 1995.
(4) Frediano Sessi, Postfazione a Il diario di Dawid Sierakowiak. Ciqnue quaderni dal ghetto di Lodz, Einaudi, 2008, pag. 313.
(5) Raul Hilberg, cit., pag. 143.
Battaglia Comunista #03-04
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