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Home ›Il “Che fare” della sinistra borghese
Fra le variegate schiere dei pensatori di “sinistra”, quelli… alternativi, capita spesso di udire rimproveri a chi – considerandolo in peccato di… “comunismo” (!) – sembra a loro mostrare una «debolezza strategica», propria di chi si «rinchiude in una setta», cioè senza democraticamente aprirsi alla… cittadinanza. Per contro, questi sostenitori di un «socialismo adeguato all’oggi», avvertirebbero i positivi «segnali di ritorno di una parte della socialdemocrazia ad una dimensione “classica”». Più accettabile…
Ma di cosa stiamo parlando? Sfuggito ai più, si tratta di un “documento” che tempo fa è circolato in Europa con la pretesa di farsi manifesto per la raccolta dei cocci di una “sinistra europea” aspirante ad una edizione da rinnovato Circum Barnum, con una troupe nella quale figurano personaggi del tipo di Fassina, Varoufakis, Mélenchon (già leader del Front de Gauche), Lafontaine (ex ministro delle finanze tedesco, fondatore della Linke): tutti applauditi ospiti di una delle ultime Fête de l’Humanité e pronti ad esibirsi alla platea dei ceti popolari. La speranza coltivata sarebbe quella di nuovi spazi politici aperti alla costruzione di un «riferimento credibile» per le classi subalterne trattate come allodole in attesa di specchietti sotto forma di rancide ricette puntellatrici di una economia e una società in sfacelo. Magari con una «prospettiva di trasformazione rivoluzionaria»… capace di addomesticare il capitale.
A questi cumuli di immondizie ideologiche ci si aggrappa tentando da più parti di aggregare un minimo di quel “consenso popolare” che in regime di democrazia parlamentare fa da maschera alle più banditesche imprese del riformismo capitalista, quelle che le fazioni politiche della “sinistra” borghese conducono nel disperato tentativo di salvaguardare i propri interessi. Spiccano i nomi di prestigiosi laureati, professori e cattedratici, esperti di economia, sociologia, scienze politiche; la “sinistra” borghese (in tutte le sue partitocratiche varianti… federative (PRC, PdCI, Socialismo 2000, Lavoro e Solidarietà) è presente in prima fila.
Impegnati a presentarsi come una «espansione politica oltre la sinistra» (ma dove si andrebbe a parare?), distribuiscono oppiacee dosi di «unità popolare, autonomia nazionale e riappropriazione pubblica delle grandi imprese». Sarebbe questa la strada da percorrere per conquistare la famosa “egemonia” di gramsciana memoria. Altrimenti, annunciano, nessuno ci salverà dal «degrado economico e civile» il quale potrà essere annullato soltanto dal ristabilirsi di una compatibilità (anzi, di un “accordo”) fra Stato e popolo. E’ questo un argomento fra i più discussi nei salotti dei tanti ideologi impegnati nella riscoperta dei fondamenti dell’economia pubblica, della pianificazione (capitalistica) e della concezione “consiliarista” dello Stato.
Fra le geniali ipotesi costruttive circola poi quella di una «associazione politico-culturale» capace di diventare «un punto di vista autonomo rispetto a quello del capitale», fino a partorire un progetto intriso di «dignità nazionale» e capace di «unire il popolo» attorno – ecco il topo morto che dovrebbe uscire dal cilindro rattoppato! – a quella Costituzione che viene incensata ancora quale scudo a difesa popolare e trampolino di lancio verso i traguardi di eguaglianza, fraternità e giustizia che un tempo furono illuminanti nei pensieri di una borghesia in vesti rivoluzionarie... Non sarebbe forse questo – così si cerca di convincere i confusi cittadini proletari – il miglior antidoto nei confronti di deprecabili esiti autoritari che potrebbe avere lo stesso populismo se sfuggisse di mano ai “democratici? Sotto dunque per il rilancio di un «fronte popolare» capace di diventare il nuovo «ampio soggetto politico nazional-democratico», persino in grado di «espandersi oltre la sinistra»...
I nuovi (?) riformisti-social-opportunisti, prendendo atto – poiché non possono proprio fare a meno di constatarlo – del dominio (aggiungiamo pure assoluto) che la classe borghese esercita attraverso lo Stato da essa gestito, vedrebbero nella conquista del «potere politico di Stato» la decisiva mossa strategica da compiere. Finalità dichiarata: «riconsegnare lo Stato ai cittadini» e soprattutto difendere la “nostra” struttura produttiva…
La pietanza ideologica servita in tavola sarebbe quella di un “socialismo pluralista”, e quindi adatta ai gusti e bisogni del mitico popolo in generale. La divisione in classi, addirittura antagoniste, sarebbe una rottura di uova nel paniere che nessun riformista vuole. Si punta quindi sulla «centralità del cittadino» ponendo all’ordine del giorno la «contraddizione fra il capitale finanziario e l’insieme della società».
Poiché una certa differenza di interessi è palese fra le classi (borghesi e proletari esistono, e come!), si infiocchetta la generica figura del cittadino ponendolo al centro di un idealistico «nazionalismo democratico», addirittura «amico dell’Internazionalismo» che dovrebbe «riequilibrare i rapporti Nord/Sud in Europa e stabilire la pace e l’universalismo umanitario cooperante con altri Stati che si affacciano sul Mediterraneo»…
Le conclusioni politiche alle quali dovrebbe approdare questa strategia sarebbero i vecchi idoli dell’unità popolare e dell’autonomia nazionale, ai piedi dei quali ritorna a fare la sua comparsa la «democratica riappropriazione pubblica delle grandi imprese», presentata come la chiave che apre le porte della «egemonia nel paese». Altrimenti, signori e signore, per questi innovatori il futuro si fa sempre più nero: il Paese,piagnnucolano, scivolerà velocemente verso il degrado economico e civile. A questo punto non ci resta che far loro i nostri… più cattivi auspici!
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #05-06
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