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Home ›Debitori e creditori nel bel mondo finanziario
Sommerse dalle onde lunghe, e minacciose, dell’Oceano di debiti che circonda i Paesi dominati dal capitale, le strutture economiche dominanti (con una produzione di merci in crisi e affamate di profitti e rendite) scricchiolano fra le impalcature di un presunto sostegno (il quantitative-easing) che le banche centrali si sono affannate ad elargire con l’emissione di montagne di carta-moneta dai valori immaginari. Dovrebbero “rilanciare la crescita”, ma finiscono in trasferimenti alle banche o come gettoni sul tavolo delle più assurde scommesse e malavitose speculazioni.
Leggiamo dati a dir poco “spaventosi” (per il presente e il futuro del capitale stesso) riguardanti il cosiddetto “trend” dei pubblici bilanci dal 2000 al 2015 (fonte BIS): il debito pubblico mondiale è salito dal 41% all’86% del PIL del mondo; il valore nominale dei derivati non-regolamentati (OTC) è salito da 2,3 a 6,8 volte il PIL mondiale; il debito lordo di Stati, famiglie e imprese è aumentato da 1 a 2,56 volte il PIL del mondo. Il debito degli Usa era di circa 16mila miliardi di dollari, con un rapporto Pil/Debito del 93,6%. Assieme al Giappone, gli Usa possono vantare circa il 45% del debito mondiale totale.
La crescita esponenziale dei dati sopra citati fa tremare i polsi anche agli adoratori del capitale, i quali affondano, purtroppo ancora lentamente mentre la crisi non allenta la sua morsa, in una palude di truffe finanziarie di ogni genere, manipolazioni di mercato, appropriazioni indebite di interessi passivi, aggiotaggi di borsa, cartolarizzazioni fraudolente, eccetera. Oltre ad una valanga di speculazioni di vario tipo, nelle quali si concentra il mercato monetario e finanziario, e che si allargano ovunque a macchia d’olio
Sia chiaro: non sono, tutti questi “misfatti”, i diretti responsabili di una produzione in dichiarata crisi delle merci e della asfittica “distribuzione” di redditi e salari (questi ultimi in caduta libera). Il denaro non produce autonomamente un plusprodotto dal quale trarre un plusvalore. Questo plusvalore (o profitto) che è il solo fine (questione di vita o morte) del capitale, lo si può ottenere soltanto attraverso lo sfruttamento di forza-lavoro nei settori industriali, per produrre merci le quali poi devono essere vendute affinché il plusvalore ritorni al capitale (in denaro, profitto e rendita). Si rischia altrimenti la crisi, sempre più larga e profonda.
La forza produttiva a disposizione della società sarebbe molto alta (e lo diventa sempre più col progresso della scienza e della tecnica), ma le “capacita” di consumo (in realtà: le possibilità) si restringono, essendo
fondate su una distribuzione antagonistica, la quale riduce il consumo della grande massa della società ad un limite che può variare solo entro confini più o meno ristretti.
Marx
Quanto alle speculazioni, verso cui si dirigono le masse di denaro fittizio in circolazione e stimolate dallo stesso sistema creditizio, anch’esse non sono una diretta causa della crisi in cui versa il sistema globale. La accentua, sì, ma la crisi ha la sua causa fondamentale nella tendenziale caduta del saggio medio di profitto. Non solo. Scrive Marx nel Libro III del Capitale:
La causa ultima di tutte le crisi effettive è pur sempre la povertà e la limitazione del consumo delle masse in contrasto con la tendenza della produzione capitalistica a sviluppare le forze produttive ad un grado che pone come unico suo limite la capacità di consumo assoluta della società.
Ed è proprio con la produzione di merci («forma generale della produzione capitalistica»), che il denaro assolve la doppia funzione: mezzo di circolazione e capitale monetario, necessario per la produzione di merci. Il “capitale monetario” è quello che serve ad organizzare una attività produttiva, direttamente usato o prestato ad altri (capitale produttivo d’interesse); sempre – come scrive Marx – presupponendo la produzione capitalistica. E’ questa la condizione necessaria perché il capitale «da valore dato diventi un valore che valorizza, che aumenta se stesso». (Marx, Il capitale, Libro III)
Deve, dunque, diventare merce per trasformarsi in capitale. Lo può fare soltanto «sulla base della produzione capitalistica»; per operare come capitale e produrre profitto, «il capitale in quanto capitale diventa merce», cioè trasferito, prestato, in cambio di un interesse. Ed è qui – continua Marx – che «il rapporto capitalistico perviene alla sua forma più esteriore e assume l’aspetto di un feticcio». La vera fonte del profitto, il processo produttivo di merci, viene oscurata, ma è proprio da qui che la crisi si sviluppa e approfondisce.
Fatta questa premessa, torniamo alla constatazione che oggi tutti i Paesi sono debitori, mentre i creditori sono gli “investitori istituzionali” (banche, istituti finanziari, multinazionali ed assicurazioni). Sono questi che dettano legge per sostenere i loro interessi e che rastrellano con ogni mezzo (a livelli gangsteristici) quel plusvalore che una diminuzione della forza-lavoro impiegata produttivamente rende sempre più difficile da “estrarre” nelle fabbriche. Ogni giorno che passa sempre più “automatizzate” con relativa espulsione di operai sostituiti da robot…
Guardando all’Italia, i piccoli prestiti (esclusi i mutui) sono stati pari a 257 miliardi di euro al gennaio 2016 (Centro Studi Unimpresa). Poiché in media le banche chiedono il 9% di interesse, il loro guadagno sarebbe stato di ben 23,12 miliardi di euro incassati nel 2015. E la crescita economica? Gli esperti (fra cui abbondano gli “intellettuali” più o meno a… “sinistra”) piangono su un valore sottratto al lavoro (salariato, s’intende) oltre che – orrore! – alla proprietà privata o pubblica: questa appropriazione finanziaria, protestano tutti, sarebbe “ingiusta” mentre su quella del plusvalore estorto alla forza-lavoro dei proletari tutti tacciono: questa sarebbe… giusta e legale. Anzi, andrebbe “sviluppata.
Con alle spalle le gigantesche crisi finanziarie della fine Novecento (Messico, Tigri asiatiche, Russia e Argentina) la finanza ha nel frattempo scritto altri capitoli neri, fra cui le falsificazioni vere e proprie dei tassi di riferimento: vedi il tasso Euribor (dal 2005 al 2009), dal quale dipendono i mutui dei “cittadini” europei. Miliardi di interessi (si parla di una ventina) incassati da grandi banche europee (coinvolte Deutsche Bank, Royal Bank of Scotland, Société Général, Barclays). Le interessate al lauto banchetto hanno poi pagato in totale una multa di 1,7 miliardi di euro, e quindi concluso un ottimo affare!
Poi c’è stato lo “scandalo” del tasso di prestito interbancario allo scoperto, il Libor, che dal 2006 al 2012 ha lucrato sul mercato dei derivati, con una “regolazione” che avrebbe interessato 800mila miliardi di dollari, secondo il Wall Street Journal. Senza contare, anche qui, l’incidenza su mutui, prestiti per la scuola (che in Usa sono quasi d’obbligo…). Il tutto per altre stime in “migliaia di migliaia di miliardi” di dollari col risultato finale di 150/170 miliardi di dollari “estorti” ad investitori e detentori di mutui.
Gli esaltanti guadagni vantati in qualche caso da alcuni ambienti finanziari (in questo assimilabili alla mafia internazionale!) fanno riferimento ad una rete sistematica e continua di speculazioni, frodi e furti. Vedi l’indice del mercato dei cambi valutari (il Forex) che per 5 anni (2009-2013) è stato manipolato da Banche americane (JP Morgan, Citybank) svizzere (UBS) e di nuovo le inglesi Barclays e Royal Bank of Scotland. Tutte specializzatesi nella alterazione dei dati di base nel mercato delle transazioni (5.300 miliardi di dollari al giorno). Variazioni periodiche anche minime (0,01%) che hanno procurato (ma questo può accadere anche oggi!) “utili” di centinaia di milioni di dollari. Ed anche quelle banche se la sono cavata “pagando” una multa complessiva di soli 5,7 miliardi di dollari. Scandali, quelli Euribor e Libor, che hanno portato nelle cassaforti delle banche interessate oltre duecento miliardi “non dovuti”, rubando direttamente a correntisti, investitori, sottoscrittori dei mutui.
Le banche “creano” il 90% della massa monetaria in circolazione, e quando i crediti non sono recuperabili e la “contabilità” va in rosso, li impacchettano e li vendono (con un prezzo scontato) a fondi esteri… Vergogna, strillano di nuovo gli intellettuali sopra indicati: ci vuole – reclamano – una banca pubblica che operi “trasferimenti sociali e economici per un rilancio del Paese”… Insomma, il capitalismo ha bisogno di mostrare tutta la sua dinamicità e quindi deve ricevere “impulsi” adeguati ai suoi interessi: allora – udite! udite! – “restituirà il sorriso a milioni di italiani”… Insomma, “gabbati e bastonati” ma sorridenti!
Intanto la disoccupazione avanza ovunque, a denti stretti riconosciuta ormai da molti
come strutturale (ma naturalmente, per loro, “aggiustabile”), mentre i salari “legali” (non parliamo di quelli in nero!) si abbassano per “mantenere in equilibrio il mercato”… Tutele, diritti, assistenza sociale, ecc. sono un ricordo… ottocentesco! E i borghesi “più illuminati” consolano i proletari in miseria con lo specchietto per allodole offerto dalla italica Costituzione (la migliore nel bel mondo borghese!). Articolo 41:
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali…
Un altro quadro della situazione ci informa che il 90% della massa monetaria europea in circolazione (sono dati della BCE) è costituito dai depositi fittizi creati dalle banche commerciali all’atto della concessione di crediti alla clientela (circa 9 trilioni di euro sul totale di 10 trilioni di aggregato monetario al 2015). Evidentemente, le bombole d’ossigeno sono ormai a secco e l’ammalato respira sempre più a fatica.
Vogliamo trarre qualche conclusione? Un fatto è più che certo: la merce deve finire in denaro e questo ritornare ad essere capitale in una somma aumentata dal plusvalore ricavato dal precedente ciclo di produzione (e vendita). Ancora una volta: l’interesse e la rendita finanziaria distribuiscono plusvalore (quando non lo inventano…) rastrellandolo da altre “fonti”. Non lo “producono” né potrebbero produrlo in astratto, come invece pretenderebbe quella massa di titoli finanziari che girano vorticosamente attorno al mondo: una cifra – ufficiale – di ben 600 mila miliardi di dollari, quasi 10 volte il Pil mondiale.
Che fare? Per il momento, il capitale (e la borghesia che lo gestisce) riduce i salari al minimo e “sfoltisce” la manodopera in esubero: una necessità – per il capitale - nel tentativo di vendere competitivamente un maggior quantitativo di merci e aumentare i profitti. Ma così facendo la contraddizione diventa macroscopica: si riduce il “potere di acquisto” del proletariato, che vede non solo diminuire i suoi salari ma anche il numero degli occupati. Di conseguenza la riproduzione allargata del capitale entra maggiormente in crisi, proprio quando la concentrazione e la centralizzazione si ampliano ovunque e in ogni settore merceologico, proprio aumentando le cause della crisi. Di più, il capitale non può dare. Anzi, aspettiamoci il peggio…
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #03-04
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