Riflessioni su lotte economiche e politiche

È luogo comune ritenere la nostra corrente politica avversa alla lotta economica ovvero alla battaglia rivendicativa che i lavoratori possono intraprendere per tentare di migliorare la loro condizione di lavoro. In realtà sono le varie componenti della “sinistra radicale”, spesso anche esterne alla classe -- quali “solidali”, “antagonisti” o attivisti sindacali in genere -- che mal sopportano l'intervento politico comunista. Mantenere sui binari della rivendicazione economica fine a se stessa le istanze di classe sembra invece essere l'obiettivo a cui questi soggetti politici dedicano gran parte del loro lavoro. Chi ritiene che le lotte di rivendicazione salariale conducano necessariamente a quelle politiche comuniste in realtà male interpreta obbiettivi, istanze e finalità di classe.

La società in cui viviamo e lavoriamo è divisa in classi e dunque non può che esprimere un governo di classe, volto alla conservazione di questo sistema economico basato sulla logica del profitto e sullo sfruttamento dei lavoratori. Seppur in forma diversa, questa opera di conservazione viene svolta anche dagli organismi di mediazione tra capitale e lavoro di cui il sistema è dotato, i quali svolgono il cruciale compito di mantenere entro i binari delle "compatibilità" e delle "necessità" del sistema capitalista le contraddizioni del rapporto economico e sociale tra classi.

Tenendo conto dell’attuale fase imperialista, che permea ogni fase della produzione e controlla sul piano politico, culturale e ideologico l'intero corpo delle relazioni sociali, tenendo in conto inoltre della crisi strutturale di fine ciclo che restringe o anche annulla gli spazi di contrattazione, diviene prioritaria la risposta politica della classe, oltre che a quella economica, destinata però quest'ultima ad essere ancora più facilmente riassorbita dai processi di valorizzazione del capitale.

Al contrario, sbaglia chi ritiene possibile ottenere per il tramite di rivendicazioni via via crescenti, sia in termini salariali che di maggiori "spazi democratici", una "autonoma" e automatica trasformazione in senso politico delle lotte economiche; peraltro ancora troppo poche, deboli, circoscritte, poco incisive e per nulla organizzate e coordinate a livello territoriale. In conseguenza di ciò, tali organizzazioni politiche “radicali” in realtà "snobbano" la prospettiva politica comunista e la sostituiscono quindi con un vago senso di appartenenza, tutto ideologico, che riportano alla concezione di uno stato operaio in crescita internamente allo stato borghese, senza dunque una reale prospettiva di "discontinuità" rivoluzionaria.

Non sono di certo il partito o i suoi militanti a sottovalutare la conflittualità economica della classe o a non “volersi sporcare le mani” - come spesso ci viene addebitato - partecipandovi dove è possibile per le forze militanti di cui dispone, sostenendole, ma evidenziandone i limiti intrinseci e promuovendo la filiazione classista tra le fila operaie e la necessità del superamento del capitalismo.

Ecco perché, a nostro avviso, dare gambe e fiato alla costruzione del partito di classe è il compito prioritario in assoluto, che viene ancor prima di una generica "solidarietà" sul piano dell'azione pratica nelle lotte, utile solo se è in grado di dare, nell'immediato e in prospettiva, direzione politica a quelle lotte ad iniziare dalla crescita politica di quelle soggettività più combattive che le lotte esprimono. Ciò significa lagnarsi meno della presunta e additata "assenza" o "latitanza" dei comunisti nelle lotte ed impegnarsi da subito nella diffusione tra i lavoratori delle posizioni politiche comuniste e quindi nel rafforzare il lavoro per l'organizzazione del partito di classe, forza militante e dunque capacità di radicamento nella classe, attraverso i suoi bracci politici territoriali e di fabbrica.

Chi sostiene invece la creazione ex novo di organizzazioni sindacali, magari "di classe", inserendo questa concezione nel proprio programma, salvo poi praticare nei fatti la non azione politica al loro interno, limitandosi alla mera compilazione di "liste della spesa" (incompatibile inoltre con l'attuale fase dell'economia capitalistica), sottolineando sì le differenze tra partito e sindacato ma sfilandosi di fatto dalla lotta politica, è oggetto (inconsapevole(?)) di derive opportunistiche che allontanano dagli obbiettivi di classe il proletariato.

Non siamo noi dunque a "snobbare" le lotte economiche. Sono spesso, al contrario, i vari attivisti sindacali o i cosiddetti "antagonisti", a dimostrare scarso interesse verso l'impegno e il piano d'azione politico comunista delle masse proletarie che diviene poco remunerativo in termini numerici anche perché è, appunto, osteggiato dalle varie correnti movimentiste. Sono queste correnti a sminuirne l'importanza del lavoro politico comunista, sostenendo che richieste economiche crescenti e sempre più "radicali" siano di per sé sufficiente veicolo di maturazione di coscienza politica nelle masse e divengano spontaneamente azioni politiche di massa per l'abolizione del lavoro salariato. Non è infatti una "promessa" borghese, sancita costituzionalmente, quella di garantire un lavoro e dunque un salario per tutti? Ribadirlo non avvicinerà di un millimetro il momento di "rottura" rivoluzionario, ma addirittura lo allontana, vincolando il proletariato allo sgangherato carretto rivendicativo della democrazia borghese.

Ruolo politico indispensabile e irrinunciabile, quello del partito comunista, che è e deve essere finalizzato a spostare da subito (e non in... data da destinarsi) il livello della lotta dal piano meramente rivendicativo-difensivo a quello anticapitalistico, anti-sistema dunque rivoluzionario e politico, ossia strategico rispetto ad una sempre più urgente e radicalmente diversa organizzazione sociale, la cui ricchezza sia il prodotto del lavoro sociale distribuito tra gli stessi produttori.

Se è vero che "la lotta economica è anche lotta politica", ciò non significa che questo avvenga nei fatti, "automaticamente", "meccanicamente", senza cioè l'intervento di una soggettività politica (il partito di classe) portatrice di una strategia, di un programma, di una tattica, di una direzione organizzativa. L'identità di classe non si dà nell'automatismo ma nella finalità: quella, per l'appunto, di far trascrescere la lotta economica sul piano politico è una necessità ed è lo scopo prioritario dell'avanguardia di classe. Credere che ciò sia di per sé già nei fatti, nella mera lotta rivendicativa, o che di essa sia lo sbocco inevitabile, è pura illusione, è sognare ad occhi aperti, è determinismo fuori tempo utile.

GK
Martedì, January 31, 2017