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Home ›Ucraina: fatta a pezzi dallo scontro imperialista
Nonostante la firma il 13 febbraio del secondo accordo di Minsk tra il governo di Kiev e i separatisti russi di Donetsk e Lugansk, l'agonia della gente dell'Ucraina orientale continuerà. Il costo umano è già spaventoso. Secondo l'ufficio ONU per il Coordinamento delle Materie Umanitarie sono state uccise 5.486 persone e ferite 12.972. Con i combattimenti che continuano e i corpi insepolti ancora visibili in diversi luoghi, queste cifre sono evidentemente troppo basse. Secondo l'ONU ci sono ancora 5,2 milioni di persone che vivono nell'area del conflitto, molte senza elettricità, acqua e altri servizi di base della vita moderna. Le infrastrutture sono state distrutte dai bombardamenti e le fognature sono crollate. Quasi un milione sono i "profughi interni" all'Ucraina (il che suggerisce che siano soprattutto ucrainofoni scappati verso Kiev, poiché se si abita nell'Est non si può ricevere la pensione o il proprio salario); altri 600.000 hanno lasciato il paese, due terzi dei quali sono russofoni diretti in Russia. La vita non è rose e fiori nemmeno per i rifugiati: nostri compagni hanno incontrato delle dottoresse ucraine che lavorano come cameriere d'albergo a Mosca. Quelli che sono rimasti in Donbass sono principalmente persone che non possono scappare, come ad esempio gli anziani che si ammassano nei rifugi antibomba e che escono solo per procurarsi il cibo. Il cibo nei negozi c'è, ma pochi possono permettersi di acquistarlo.
E' una guerra, questa, che non ha molto sostegno popolare, da nessuna delle due parti. Quando il neoeletto governo ucraino di Poroshenko ha reintrodotto la leva obbligatoria ci sono state dimostrazioni e blocchi alla circolazione in tutta l'Ucraina occidentale, soprattutto da parte di donne. I blocchi sono stati rimossi solo quando il governo promise che solo pochissimi riservisti sarebbero stati mandati al fronte nell'Est. Sull'altro fronte, l'ultimo sondaggio indipendente (di aprile 2014) ha indicato che due terzi degli abitanti dell'Ucraina orientale non volevano far parte della Russia di Putin. La maggior parte dei combattenti non sono del Donbass (nonostante la propaganda di Putin che parla di ex-minatori e contadini) ma sono spesso ex-soldati dell'esercito russo provenienti da regioni remote della Russia. Ciò che troviamo sono due fanatiche minoranze nazionaliste determinate a imporre la loro volontà non solo ai nemici ma anche alle popolazioni alle quali per un accidente della storia è stato imposto questo conflitto.
E in realtà l'Ucraina sta per essere spaccata per soddisfare le richieste di un sistema sociale in decadenza, capace di offrire alla popolazione mondiale soltanto ulteriori miseria e morte. Dietro a tutto questo stanno gli appetiti bestiali dell'imperialismo globale.
Le origini della guerra
Vale la pena di ricordare brevemente come è iniziata. Il primo elemento che dobbiamo richiamare è lo scoppio della bolla speculativa nel 2008. L'economia ucraina fu una di quelle che soffrì di più, tra quelle di tutto il mondo. Nel 2009 la produzione si contrasse del 15%, la disoccupazione triplicò e le esportazioni calarono del 40%. Il crollo portò all'elezione del governo Yanukovich nel 2010. Nel novembre 2013 il governo, che aveva negoziato l'assistenza del FMI e l'ingresso nell'UE, di punto in bianco respinse i termini del trattato con l'Europa. Si trovava in una voragine disperata, poiché il valore della sua esportazione più lucrativa – l'acciaio – stava diminuendo drasticamente. I prestiti del FMI erano stati prosciugati, poiché il regime si era dimostrato incapace di portare a termine le riforme che i prestiti richiedevano, tuttavia nel 2014 scadeva il rimborso di prestiti per 15 miliardi di dollari, mentre il deficit di bilancio permaneva. Il trattato con la UE comprendeva 27 miliardi di euro di prestiti, ma alla condizione che i sussidi per il consumo di gas venissero tagliati (un suicidio politico per ogni governo). Yanukovich contò allora di avere soldi facili tramite "prestiti-paga" da parte di Putin: dopotutto la Russia era ancora il maggior partner commerciale dell'Ucraina e quest'ultima dipende pesantemente dal gas russo. Ma per portare dalla sua parte Yanukovich Putin aveva da offrire soltanto la riduzione del prezzo del gas che l'Ucraina comprava da 400 dollari per 1.000 metri cubi a 268,5 $ per 1.000 m³, oltre a un prestito di 15 miliardi di dollari di cui 3 subito e altri 2 entro la fine di gennaio, tutti al 5% di interesse (molto inferiore di quello del prestito UE).
I primi a protestare furono studenti e giovani della piccola borghesia, che vedevano un più prospero futuro europeo dissolversi con l'inversione a U sull'ingresso nell'UE. Queste proteste furono soppresse facilmente, ma ecco che si presentò l'imperialismo USA e UE, le cui varie fondazioni finanziarie presto sostennero gli elementi nazionalisti e fascisti più fanatici che fornirono la parte principale delle truppe d'assalto di Maidan (1). L'appoggio che Maidan ricevette dall'estero permise loro di continuare per tutto l'inverno, finché semplicemente Yanukovich se ne andò un anno fa. Ma i nazionalisti ucraini non riuscirono a contenersi e annunciarono immediatamente che il russo non era più una delle lingue nazionali in Ucraina. Una provocazione per l'Est russofono che causò inizialmente contromanifestazioni, poi l'occupazione di edifici governativi locali da parte di minoranze nazionaliste russe. La paura, qui, fu esattamente l'opposto della paura all'Ovest. Se il "golpe" USA/UE che aveva rovesciato Yanukovich avesse avuto successo, allora sarebbe seguita la ristrutturazione dell'industria nell'Est, con un'enorme perdita di posti di lavoro nelle miniere e nelle fonderie d'acciaio. Si aggiunga l'aiuto militare a favore dell'Est da parte dell'imperialismo russo e si hanno tutti gli elementi della crisi, che è continuata fino ad oggi. Persino prima della fuga di Yanukovich gli "omini verdi" delle forze speciali russe erano comparsi in Crimea, tanto che per la fine di marzo tutta la penisola era in mano russa. Il mese seguente il conflitto tra i separatisti filorussi e le truppe del governo di Kiev esplose in Ucraina orientale. Fu chiaro sin dall'inizio che Putin stava mandando armi e anche "volontari" russi per aiutare i ribelli. Inizialmente il governo ucraino fu lento a rispondere, ma dopo l'elezione di Poroshenko a presidente in maggio venne recuperato un po' di terreno e in luglio, quando il volo MH17 della Malaysian Airlines fu abbattuto (quasi sicuramente dai separatisti), l'esercito ucraino stava avanzando su un vasto fronte. Sembrò allora che i separatisti stessero per essere sconfitti. Invece, dopo un paio di settimane incerte, i separatisti tornarono a riguadagnare terreno: fu ben presto evidente che erano appoggiati non solo dall'artiglieria e dai carri russi, ma anche da truppe russe. Alcuni di loro ammisero esplicitamente da dove venissero e annunciarono che il loro obiettivo non era costituire le repubbliche di latta di Donetsk o Lugansk, ma la Nuova Russia (Novorossija). Putin non aveva riconosciuto formalmente il movimento separatista, in precedenza, ma il 29 agosto si rivolse ad esso per la prima volta. In ogni caso, per la delusione dei separatisti, il governo russo non ha formalmente riconosciuto il loro voto per l'indipendenza o l'ambizione di alcuni di loro di fare della Novorossija una provincia della Russia.
Gli obiettivi dell'imperialismo russo
Sin qui la cronaca degli eventi. Ma qual era l'obiettivo dell'imperialismo russo in questo frangente? La prima cosa da considerare è che la Russia si muove da una posizione di debolezza. Sin dal crollo dell'Unione Sovietica la classe dominante russa ha dovuto affrontare l'avanzata verso Est sia della NATO che dell'UE. Durante gli anni di Eltsin, quando i consiglieri USA andavano alla grande al Cremlino, l'economia si contrasse e la Russia subì un'umiliaziona dopo l'altra sullo scenario internazionale. Anno dopo anno la NATO e l'UE si espandevano ad Est, incorporando porzioni sempre più grandi del vecchio impero sovietico, benché a Eltsin fosse stato promesso che niente del genere sarebbe accaduto. Ma la Russia era così debole economicamente per via della caduta dell'URSS e della ristrutturazione della sua economia che non riuscì nemmeno a reprimere la ribellione in Cecenia, dentro i suoi confini. Questo quadro cominciò a cambiare con la sostituzione di Eltsin con un ex ufficiale del KGB, Putin. La Cecenia fu ferocemente sottomessa, un incaricato di Putin fu messo al potere. Poi venne l'appoggio di Putin alle rivolte dell'Ossezia del Sud e dell'Abhkazia contro il governo filo-occidentale della Georgia. E quando la "rivoluzione arancione" ucraina scacciò Yanukovich per la prima volta, Putin reagì contro il regime filo-occidentale tagliando le forniture di gas. Per il Cremlino, tutto ciò significa rovesciare l'ondata di sconfitte e umiliazioni imposta dalle potenze occidentali.
L'annessione della Crimea ha dato modo all'Occidente di dipingere il regime di Putin come quello "espansionista", ma ciò è pura ipocrisia: non dovrebbe nascondere il fatto che sono gli USA ad aver proclamato, a partire dal 1990, un "Nuovo Ordine Mondiale" di cui ovviamente essi sono i dominatori; che sono gli USA ad avere 737 basi militari (senza contare installazioni militari di altro tipo) in più di 150 paesi con un dispiegamento di almeno 230.000 soldati a cui vanno aggiunti altri 2,5 milioni di personale ausiliario. La Russia mantiene una base in Vietnam a Cam Ranh Bay e una in Siria nel porto di Tartus: a parte queste due, le altre basi russe si trovano solamente nelle ex repubbliche sovietiche, soprattutto in Asia centrale. In quest'area l'imperialismo russo ancora mantiene la propria influenza, nonostante debba fronteggiare enormi sfide. Infatti, nonostante Putin abbia lanciato diverse iniziative per creare un'area economica "Eurasiatica" dominata dalla Russia e che comprende Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Turkmenistan, Kirgizistan, Uzbekistan e Tagikistan, non è un lavoro facile. Il presidente russo ha dimostrato chi comanda nella regione rovesciando due presidenti kirghisi che avevano permesso l'installazione di basi americane, ma il fatto che tutte le relazioni economiche favoriscono la Russia (è questo l'imperialismo, dopotutto!) ha provocato delle frizioni.
Il presidente kazaco Nazarbayev, prima fervente sostenitore dei legami con la Russia, ha addirittura minacciato di recedere da tutti gli accordi se continua il bullismo russo. Non è da trascurare il fatto che il Kazachistan l’anno scorso si è astenuto nel voto alle Nazioni Unite sull’annessione della Crimea.
Gli Stati Uniti sono ora usciti dall'Asia centrale (il ritiro Afghanistan completerà il processo), ma queste repubbliche hanno un'alternativa nel “soft power” cinese. Tutte hanno dato il benvenuto agli investimenti cinesi e hanno firmato accordi per vendere gas alla Cina. Le sanzioni e il calo dei prezzi dell'energia hanno indebolito le valute della regione (che sono collegate al rublo) e questo ha ulteriormente svalutato l’importanza della Russia verso i suoi partner asiatici (2). Putin conta molto sul Consiglio di Cooperazione di Shanghai, nel quale Cina e Russia si organizzano per tenere gli Stati Uniti fuori dell'Asia centrale (3). Tuttavia, data la debolezza economica della Russia e la crescita della Cina, è del tutto evidente quale sia in questo contesto il partner che conta meno. Questo è stato anche evidenziato dalla dura trattativa sui prezzi del gas russo quando Putin era in visita a Pechino l’estate scorsa. Anche il progetto eurasiatico, che vede la Russia così determinata nell’indebolire Ucraina e Georgia giocando sulle tendenze separatiste in entrambi i paesi, è un riconoscimento della sua debolezza. Se non può farli tornare all’interno del suo all'abbraccio imperiale può almeno tenerli in un limbo di instabilità che diminuisce la loro probabilità di essere integrati nella NATO e nell'UE. Questo era quasi certamente l'obiettivo imperialista della politica russa all'inizio della crisi in Ucraina.
Tuttavia la storia non si ferma e gli schemi cambiano. Con la Crimea caduta sotto il controllo russo e con la perdurante stagnazione dell'economia globale l’imperialismo russo fiuta che c’è ancora qualcosa che si può guadagnare, ovvero riuscire a dividere l'Unione europea e gli Stati Uniti su come rispondere all'uso da parte sua della nuda forza militare.
Nove anni fa, nonostante la facile vittoria, lo scarso rendimento dell'esercito russo nella guerra in Ossezia del Sud ha allarmato il Cremlino. Si è proceduto così a un'importante revisione delle sue capacità e dell’equipaggiamento. La spesa militare è aumentata al 4,1% del PIL, rapporto che è attualmente il più alto del mondo (gli Stati Uniti dedicano il 3,8% del PIL alle spese militari, il che, in termini assoluti, significa ovviamente un importo di gran lunga superiore a quello della Russia). Da quando è iniziato alla fine del luglio 2014 il sostegno alla causa dei separatisti filo-russi, è apparso che i militari russi stessero utilizzando l’Ucraina orientale come un banco di prova per i loro nuovi giocattoli. Questa è di per sé una nuova e pericolosa escalation e molto dipenderà dalla risposta dell’occidente.
Il pericolo di un conflitto più ampio
Dall'altra parte l'Unione europea, guidata da Merkel e con l’appoggio di Hollande e Cameron, è determinata a mantenere pressione sulla Russia con le sanzioni. Sono ben consapevoli del fatto che gli orrori che abbiamo visto finora possono solo aumentare se il governo ucraino (il cui esercito ha subito per anni tagli di finanziamenti) viene dotato di armi nuove e più sofisticate. Gli interessi imperialistici europei e tedeschi mirerebbero ancora a far entrare l'Ucraina nella loro sfera di influenza, ma una Ucraina devastata sarebbe in effetti più un debito che un vantaggio economico. Nel lungo periodo la prospettiva è che le sanzioni o facciano indietreggiare la Russia o producano un disastro economico tale da imporre un cambio di regime. Nel frattempo l’Europa è anche in cerca di alternative alle forniture di gas che riceve dalla Russia.
Lontano da problemi materiali tanto volgari "l’arsenale della democrazia" è meno timido. C'è sempre più consenso tra i politici di entrambi i partiti democratico e repubblicano sul fatto che l'Ucraina debba essere armata dagli Stati Uniti. Nei corridoi di Washington vengono recitati tutti i soliti argomenti buoni per ogni stagione. Qualsiasi cosa in meno che si faccia rispetto ad aiutare l'Ucraina sarebbe accondiscendenza. Come recita l'influente Brookings Institute Report, nonostante i disastri in Iraq e in Afghanistan, la Libia ecc…,
In Ucraina è molto diverso – c’è una leadership competente che vuole muoversi nella direzione della democrazia e dell'economia di mercato ed è soffocata da un aggressore autoritario (4).
Questa è una palese esagerazione. Non ci sono prove che la Russia abbia intenzione di stroncare il governo di Kiev, vuole senza dubbio indebolirlo, mantenerlo dipendente dalla Russia per la sua sopravvivenza economica (e mantenerlo un mercato per il proprio gas e petrolio) e garantire che sia aumentata l'autonomia delle regioni russofone dell’est. E non vuole la NATO sulla soglia del suo progetto "Eurasia". Per l'imperialismo USA questo è già troppo. Gli Stati Uniti non vogliono vedere calpestata la loro autorità e vogliono estendere il dominio del dollaro in tutte le possibili aree del mondo. L'egemonia americana dipende da questo. E questo è ben chiaro ai personaggi della Fondazione Soros e delle altre istituzioni private americane che hanno finanziato due rivolte anti-russe in Ucraina e che vogliono finire l’opera di conquistare l'Ucraina all'Occidente (5).
Il mondo si trova in un momento pericoloso. Gli USA hanno paura di perdere la loro egemonia e la Russia teme un ulteriore accerchiamento.
Non è un caso che la concorrenza imperialista per il dominio del pianeta è aumentata drammaticamente dopo lo scoppio della bolla speculativa. C'è un'aria di crescente disperazione nelle manovre delle grandi potenze. La politica degli Stati Uniti non può favorire invasioni dirette come ha fatto sotto le amministrazioni Bush, ma non ha allentato la sua presa. E con la sua politica asiatica "Pivot in Asia" e le operazioni in Europa orientale può condurre Russia e Cina ad allearsi. I loro interessi imperialisti non coincidono sempre, ma la politica americana le sta avvicinando progressivamente. I pericoli per il mondo non sono da sottovalutare.
Per portare l'umanità sulla strada della distruzione, le potenze imperialiste hanno solo bisogno che il proletariato internazionale continui a non far nulla. Dopo anni di ritiro, siamo in pericolo di diventare una classe in sé, ma non per sé, puro capitale variabile, senza un programma di classe né una prospettiva di un mondo diverso. Tutti coloro che pretendono di parlare per la classe operaia, ma in realtà la chiamano a sostenere questa o quella parte imperialista o nazionalista, come se ciò in qualche modo fosse un passo verso la riscoperta di una posizione di classe, contribuiscono a mantenere questa debolezza. Sono solo sciocchezze reazionarie. Le nazioni e potenze imperialiste, non solo non rappresentano i nostri interessi, ma si ergono in totale opposizione contro di noi. La nostra unica via percorribile come classe è quella di combattere sul nostro terreno, non solo contro gli effetti dell'austerità, ma anche contro la brutalità e la distruzione che un sistema sociale in decomposizione impone alla nostra vita. Abbiamo bisogno di un’organizzazione autonoma su vari livelli, soprattutto su quello politico, e abbiamo bisogno di un coerente programma anticapitalista e antimperialista. Sarà una strada lunga, ma la lotta contro il nazionalismo, il razzismo e lo sfruttamento saranno gli elementi di base per il risveglio di una classe operaia indipendente.
Jock, 19 febbraio 2015(1) Per maggiori dettagli vedi: Ukraine’s Crisis – Local Players and Imperialist Games leftcom.org
(2) Per maggiori dettagli vedi: leftcom.org
(3) Vedi anche l’articolo: leftcom.org
(5) Per maggiori dettagli vedi l’articolo citato alla nota 1.
Battaglia Comunista #03
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