Il SI COBAS, il mito della “Palestina” libera e la pratica comunista

Le vicende mediorientali hanno riportato in auge il vecchio mito della “resistenza” Palestinese, un mito al quale da sempre è fortemente legata – con diverse sfumature – la sinistra radicale istituzionale ed extraparlamentare. Tra i sostenitori della “resistenza” ritroviamo anche i sindacati “di base”, tra i quali spicca il SI COBAS che recentemente ha attirato su di sé l’attenzione di molte aree politiche per il ruolo giocato nelle vertenze che hanno coinvolto i facchini. Il SI COBAS ha preso posizione sulla vicenda palestinese attraverso un comunicato dal titolo: “Solidarietà incondizionata alla lotta del popolo palestinese!”(1). Riteniamo interessante analizzare questo comunicato per due motivi. Innanzitutto perché permette di riprendere, seppur in modo sintetico, l’analisi dell’imperialismo e la nostra critica all’ideologie nazionaliste. In secondo luogo perché ci consente di sviluppare alcune importanti riflessioni sul SI COBAS, visto da diverse organizzazioni politiche come l’esempio di un “sindacato di classe” o almeno come un suo possibile embrione (2).

Innanzitutto va detto che il comunicato sulla Palestina evidenzia chiaramente la reale “natura” del SI COBAS; su questo aspetto ritorneremo nelle conclusioni. Non si tratta infatti di un documento legato a vertenze o allo svilupparsi di una lotta rivendicativa, bensì di un documento dai contenuti strettamente politici. Un insieme di analisi e indicazioni politiche su quanto sta accadendo in Palestina, sintesi delle posizioni prevalenti tra il ceto politico che dirige il SI COBAS.

Riportiamo alcuni passaggi del comunicato, per noi estremamente significativi.

Solidarietà incondizionata alla lotta del popolo palestinese […] Dalla resistenza eroica di Gaza rinasca una nuova Intifada per liberare tutta la Palestina e avviare il riscatto degli oppressi nel Medio Oriente e nel mondo! […] Mettere sullo stesso piano i razzi di Hamas e l'ecatombe perpetrata da Israele, oltre ad essere risibile sul piano dei numeri, è disgustosa perché mette sullo stesso piano vittime e carnefici, oppressori e oppressi […] la lotta eroica di Gaza dimostra che il popolo palestinese non intende piegarsi all'aggressore sionista, che è disposto, nonostante le immani sofferenze a cui è sottoposto, a lottare e a rilanciare con ogni mezzo la prospettiva della propria liberazione.

Per rendere chiara la critica politica che muoviamo al comunicato riteniamo utile esporre brevemente quello che secondo noi è il giusto atteggiamento che i comunisti devono assumere di fronte a queste vicende. Cerchiamo insomma di rispondere alla classica domanda: “ma nel concreto voi cosa fate? Cosa fareste se foste presenti in quella situazione?”. Da sempre le vicende mediorientali sono al centro della nostra attività che – anche in questo caso – si articola in un lavoro di analisi ed in una attività pratica. Attraverso l’analisi affiniamo gli strumenti di critica marxista alla realtà che ci circonda. Per quanto riguarda la Palestina i punti che generalmente cerchiamo di mettere in rilievo sono i seguenti.

  1. Contestualizzazione delle vicende. Da circa un secolo il capitalismo è entrato nella fase imperialista. In tale fase grandi centrali imperialiste sono in continua lotta per la supremazia economica e politica. L’economia risulta totalmente internazionalizzata (3). Dietro gli attacchi israeliani ci sono certamente gli interessi di una borghesia locale ma, nel contesto imperialista, è praticamente impossibile che la “debole” borghesia israeliana si muova in modo del tutto indipendente. Le “aggressioni” israeliane rappresentano infatti anche uno strumento attraverso il quale potenze imperialiste internazionali portano avanti i loro interessi geopolitici e lo scontro con altre borghesie e potenze. Nello stesso contesto va inquadrata anche la cosiddetta “resistenza” (4). La “resistenza” è da sempre promossa e diretta da frange di borghesia palestinese e delle proprie organizzazioni politiche (dall’Olp ad Hamas) ed inoltre costituisce - anche questa - uno strumento sfruttato dalle potenze imperialiste internazionali per le loro strategie.
  2. Denuncia delle ideologie borghesi. Durante gli scontri bellici la forma di ideologia sulla quale puntano molto le borghesie è il nazionalismo. Attraverso il nazionalismo le frazioni borghesi, israeliane e palestinesi, cercano di coinvolgere ideologicamente proletari, sottoccupati, diseredati per il sostegno di una guerra che non è la loro. La borghesia israeliana fa appello alla “difesa della nazione” contro i “terroristi”, la borghesia palestinese incita alla “lotta di resistenza” per “liberare” la Palestina. Entrambe le ideologie voglio far passare una soluzione borghese del conflitto come una necessità di “tutto il popolo”, nascondendo così la divisione in classi sociali e i meccanismi di sfruttamento economici, che resteranno in piedi comunque terminerà la contesa.
  3. Internazionalismo. Solidarietà del proletariato internazionale. Solidarietà tra tutti gli sfruttati, al di là delle divisioni nazionali, contro tutte le borghesie.
  4. Necessità rivoluzionaria. La “liberazione dall’“aggressore israeliano” o la vittoria contro il “terrorista palestinese” non costituiscono soluzioni per le sorti degli sfruttati, che continueranno a restare tali. Bisogna lottare contro lo sfruttamento sotto ogni forma esso si presenti. L’unica reale “liberazione” per i proletari (e per l’umanità tutta!) è dal capitalismo. Le “lotte di liberazione” non costituiscono una sorta di “tappa intermedia” verso questa trasformazione. Nel capitalismo approdato alla fase di maturazione imperialista solo la presa del potere da parte proletaria, finalizzata alla trasformazione comunista della società, ha… carattere “progressivo”.

Fin qui l’analisi. Praticamente cosa “facciamo”? L’impegno pratico in questa vicenda è rivolto verso la circolazione delle nostre tesi. Ciò avviene attraverso diversi strumenti e attività, in relazione alle forze disponibili: articoli, volantini, opuscoli sulla vicenda, diffusione di materiale sul web, sul territorio, alle manifestazioni, sul luoghi di lavoro, partecipazione a dibattiti sul tema, interventi orali, ecc.

Con tale attività cerchiamo di stimolare, partendo anche dall’analisi di questa vicende, una presa di coscienza comunista, lottando contro l’ideologia borghese. Diffondere coscienza e programma comunista è ciò che ci proponiamo di fare sempre, adattando questo lavoro alle diverse situazioni. L’obiettivo che ci poniamo dipenderà dalle fasi storiche vissute dal capitalismo e dai rapporti di forza tra le classi. In un contesto che va verso la maturazione delle condizioni rivoluzionarie (5) diffondere coscienza e programma significa porsi come obiettivo la spinta della classe verso la presa del potere, oggi l’obiettivo principale è sviluppare gli strumenti per la soluzione comunista: formare nuovi compagni, concretizzare l’attività verso la costruzione del partito internazionale del proletariato.

Ciò è quanto facciamo oggi, da “lontano”, in relazione alle vicenda Palestinese, ma se fossimo presenti lì? In linea generale il discorso non cambia, cambieranno tipologie di attività e strumenti di lavoro. In situazione di scontro bellico, per esempio, la parola d’ordine sulla quale storicamente i comunisti fanno leva è: disfattismo rivoluzionario!. Denunceremmo quindi il carattere borghese dell’“aggressione” e l’inganno della “resistenza”, inviteremmo gli sfruttati a non collaborare con le borghesie, a solidarizzare tra loro, cercheremo di favorire – per quanto possibile – lo sviluppo di quelle proteste e scioperi contro la guerra che tendono a muoversi in modo autonomo rispetto le organizzazione borghesi, indicando comunque i limiti di tali azioni e facendo circolare le posizioni comuniste. Lo scopo resterebbe sempre lo stesso: diffondere coscienza e programma rivoluzionario, gettando il seme per costruire gli strumenti necessari per la soluzione rivoluzionaria: cercando di aggregare avanguardie comuniste in funzione del lavoro di costruzione del partito rivoluzionario.

A nostro modo di vedere, il comunicato del SI COBAS non solo non fa nulla di ciò ma agisce in un verso completamente opposto.

  1. Mettere sullo stesso piano i razzi di Hamas e l'ecatombe perpetrata da Israele, oltre ad essere risibile sul piano dei numeri, è disgustosa perché mette sullo stesso piano vittime e carnefici, oppressori e oppressi”. Una valutazione del genere non può basarsi solo su un dato quantitativo. Sarebbe come affermare che melone e mela non sono entrambi frutti perché hanno un peso diverso. I razzi di Hamas e le azioni israeliane, come abbiamo sottolineato, sono due diverse forme di uno scontro bellico tra borghesie, nel quale i proletari costituiscono solo carne da macello.
  2. Non solo, invece di denunciare indistintamente le frange della borghesia in lotta, il comunicato pone sullo stesso piano una organizzazione borghese quale è Hamas e i proletari palestinesi, accomunandoli attraverso la parola interclassista “oppressi”.
  3. Vengono denunciate, giustamente, le azioni politiche di “Usa” e “Occidente” che sostengono la politica di Israele, ma altrettanto non viene fatto per gli stati che si pongono al sostegno di Hamas o che in passato hanno sostenuto l’Olp.
  4. Non viene spesa una parola sui proletari israeliani. La guerra è pagata innanzitutto dai proletari, anche da quelli israeliani. Anche qui: non può essere solo il fattore quantitativo a determinare una valutazione politica. Molti di meno, certo, ma durante decenni di guerra son morti tanti proletari israeliani. Ed il costo economico della guerra non lo paga anche il proletariato israeliano? Per esempio attraverso il peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita.
  5. Non un rigo sulla necessaria solidarietà tra sfruttati palestinesi e israeliani. Stiamo ben certi che al minimo accenno di solidarietà di classe Hamas ed Israele non esiterebbero, entrambi, a puntare le loro armi contro i proletari. Così magari qualche compagno dubbioso capirebbe “finalmente” che Hamas ed Israele sono entrambi antiproletari oltre ad essere, lo ricordiamo, anticomunisti (Hamas nel suo statuto parla esplicitamente di anticomunismo).
  6. Si va, come sempre, alla ricerca delle solite soluzioni “intermedie” e “progressive”, affidando alla “resistenza palestinese” la capacità di “avviare il riscatto degli oppressi nel Medio Oriente e nel mondo”.

Nel documento ritroviamo gli slogan – riciclati e adattati alle vicende attuali – prodotti già in passato dall’ideologia stalinista e maoista, slogan che avevano avuto molto successo anche tra gli autonomi negli anni ‘60 e ’70. Questi slogan si mescolano a passaggi alquanto ambigui, una ambiguità dovuta – crediamo – anche all’eterogeneità presente tra le diverse anime politiche che sostengono il SI COBAS (6). Tali ambiguità viene alimentata in particolare attraverso l’uso massiccio di parole come “popolo”, “oppressi”, “oppressori”, ma la parte che risulta più ambigua è certamente quella finale. Per esempio: “Gli unici alleati della lotta palestinese possono essere solo gli sfruttati di tutti i paesi”. Giusto, ma ciò smentisce quanto scritto in precedenza: perché per esempio sono stati messi sullo stesso piano Hamas e i proletari, etichettati entrambi come “oppressi”? Ed ancora:

…rilancio di una prospettiva di liberazione della Palestina che sia ottenuta nell'unico modo in cui è possibile farlo: con una rivoluzione d'area che investa i regimi e divisioni statali in tutto il Medio Oriente, rimettendo in discussione l'attuale ordine imperialista imposto con la violenza, la guerra, il razzismo.

Che tipo di “rivoluzione”? I missili di Hamas farebbero parte di questa “rivoluzione”? E se si ha questa forza perché non mettere in discussione il capitalismo in quanto tale anziché “l’attuale ordine imperialista”? Perché solo in Medio Oriente?

Concludendo, abbiamo sottolineato come il SI COBAS abbia prodotto un documento politico composto mettendo insieme slogan storici, riciclati dal radical-riformismo e passaggi che risultano, a nostro modo di vedere, alquanto ambigui. Il comunicato riflette perfettamente la reale “natura” del SI COBAS e i limiti della propria impostazione. Questo sindacato infatti agisce facendo leva prevalentemente sulla questione rivendicativa ma non è un organismo della classe sorto sotto la spinta di una lotta, ed alla lotta rivendicativa strettamente legato. Il SI COBAS è nato per volontà ed impegno di militanti provenienti da diverse esperienze politiche; che dicono inoltre di richiamarsi ai principi del comunismo. Non solo, recentemente il sindacato è cresciuto in parte anche grazie al coinvolgimento di lavoratori ma la propria struttura si è sviluppata prevalentemente attingendo tra i militanti politici “solidali” (7).

Questo sindacato “di base” è dunque emanazione, e strumento, di militanti (o ex) provenienti da realtà politiche organizzate (8). Non siamo certamente noi a condannare la militanza politica (anzi!), ma: una militanza volta all’illusoria costruzione dell’ennesimo sindacato, che abbia la pretesa di porsi semplicemente quale motore delle lotte rivendicative, che tenta di radicare artificiosamente campagne riformiste – come quella del “salario per tutti” - la vediamo come un segno di debolezza anziché di forza. Così come la partecipazione attiva alle lotte rivendicative del proletariato è dovere di ogni comunista (certo!) ma un intervento nella classe che nasca dalle premesse adesso riportate, che invece di puntare a far crescere tra i lavoratori coscienza rivoluzionaria e programma comunista trasmette – come abbiamo visto - le analisi, i miti e i programmi (“minimi”, “progressi”, “intermedi”, ecc.) del radical-riformismo è un intervento che alla lunga anziché rafforzare la classe la indebolisce (9). Da sempre sosteniamo che per propria “natura” il sindacalismo è la cinghia di trasmissione del riformismo, i sindacati “di base” hanno sempre confermato questa nostra conclusione, il SI COBAS non fa eccezione.

NZ

(1) Il comunicato porta la firma “Il coordinatore nazionale del S.I.Cobas” (ovvero Aldo Milani) ma è sostenuto – come sottolinea lo stesso documento – da tutti i militanti del sindacato. Riporteremo solo alcuni paesaggi del documento, invitiamo il lettore a prendere visione del testo integrale dal sito web del SI COBAS.

(2) Tra chi sostiene questa tesi - oltre ad autonomi, collettivi studenteschi e centri sociali - ritroviamo anche diversi internazionalisti, ovvero militanti delle organizzazioni di area bordighista o “cani sciolti” che hanno come riferimento storico e politico la Sinistra Comunista italiana.

(3) Compravendita della forza-lavoro, commercio, accumulazione di capitale, tutti questi elementi oggi si sviluppano su scala internazionale.

(4) Da quando il capitalismo è entrato nella fase imperialista infatti le “lotte di liberazione” sono state uno strumento bellico attraverso il quale potenze internazionali, alleate con le borghesie locali, agiscono dello scontro interimperialistico.

(5) Crisi economica e politica (condizione oggettiva), mobilitazione del proletariato e presenza del partito rivoluzionario (condizione soggettiva).

(6) L’impressione è che nella stesura si sia badato a non scontentare le diverse realtà politiche che sostengono da sempre il SI COBAS.

(7) Non a caso in alcune iniziative che ruotavano intorno la vicenda dei facchini i partecipanti erano prevalentemente i “solidali” anziché lavoratori del settore.

(8) Tale discorso vale sostanzialmente per tutte le sigle del sindacalismo “di base”.

(9) Per un primo approfondimento su questo tema invitiamo alla lettura di “La lotta dei facchini e l’intervento politico”, consultabile anche sul sito web.

Lunedì, September 1, 2014

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.