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Home ›La crisi morde: cause ed effetti
Sotto accusa, come causa della crisi generale e non suo effetto, il delirio che insegue il mito del “denaro che figlia altro denaro”, finendo col travolgere tutto e tutti, con i mercati finanziari prima liberalizzati e poi globalizzati. Illusione che indubbiamente si cerca di realizzare complicando ulteriormente la situazione. E mentre il capitale è scosso da continui contrasti interni, proprio al centro dei suoi reali processi di valorizzazione, solo qualche isolato “pensatore” osa, cautamente, addebitare parte delle attuali difficoltà alle insanabili contraddizioni presenti nel modo di produzione capitalistico. Fra cui la produttività tecnologica la quale, sotto il dominio del capitale, espelle forza-lavoro ma – proprio per questo – alla fine non recupera sufficiente plusvalore per remunerare gli investimenti e spinge il capitale monetario a indirizzarsi verso il mondo finanziario nella convinzione di poter avere quel profitto che nella sfera produttiva non si estorce a sufficienza.
Gli alchimisti borghesi non sanno più quale magica pozione offrire al capitale perché possa riprendere vigore e meritarsi un giusto profitto. I più pragmatici stregoni cercano di rianimare persino il… topolino a suo tempo partorito (e imbalsamato), la tassazione delle transazioni finanziarie (Attac), con l’aggiunta di una “nuova politica nazional-protezionista” che dovrebbe frenare un eccesso di circolazione concorrenziale sia di merci che di capitali. E si rispolvera l’altro mito, la “cooperazione” tra gli antagonismi economici e nazionali del vari Paesi, sempre capitalisticamente intesi e valutati. Circolano poi mistificazioni della realtà di questo tipo: il commercio internazionale deve essere un perno di coesione tra i paesi, e quindi nessuno di essi deve trovarsi in avanzo sugli altri… Si rispetti, insomma l’altrui merce concorrenziale!
Oltre a questa spirale che avvolge il mondo capitalista trascinandolo verso un fondo senza fine, la situazione generale (con riferimento al centro dei fondamentali processi produttivi del capitale) è da molti osservatori borghesi paragonata, se non peggio, alla “Grande Recessione” degli Anni Trenta. E, visto che per la produzione non si sa più a quale santo appellarsi (qualcuno, nostalgicamente, comincia ad accendere lumini al dio Marte…) ritorna l’invocazione ad aiuti statali sempre più consistenti in favore delle banche, la cui esistenza è fra l’altro complicata dalle regole di Basilea 3, che prevederebbero (a parole, e… tempo al tempo) vincoli alla patrimonializzazione e difficoltà tecniche nel ripristino delle riserve obbligatorie su base monetaria.
Inevitabile la domanda: ma con quali risorse? E se uno Stato fallisse (la Grecia?), chi pagherà i Cds, le assicurazioni contro i rischi di fallimento? Chi li ha emessi? Si parla del coinvolgimento di alcune Banche europee che salderanno i debiti con i soldi ricevuti dallo Stato. Quindi la matassa speculativa si imbroglierà ancora di più, mentre tutto sembra precipitare in un abisso nel quale potrebbero essere trascinati anche Portogallo, Spagna, Irlanda e magari l’Italia, e con loro le banche continentali.
Si valuta che un eventuale disastro della Grecia significherebbe perdite, per le banche francesi e tedesche, attorno ai 300 miliardi di euro; 150 mld per Bce e 630 mld di euro per gli altri istituti di credito europei. Senza contare le conseguenze sui vari Pil europei e sulle tensioni sociali. Un “problema”, quest’ultimo, che sta già mobilitando i “servizi d’ordine” degli Stati europei. E non solo.
Tornando alla Grecia, siamo alla terza manovra di “lacrime e sangue” in 16 mesi: ridotte del 20% le pensioni oltre 1.200 euro mensili e del 40% quelle di chi ha smesso di lavorare a 55 anni; la soglia fiscale da 12mila euro l’anno viene abbassata a 5mila; 30mila dipendenti pubblici saranno sospesi con il 60% del loro stipendio e licenziati se entro 12 mesi non troveranno lavoro.
Fra le poche risposte che circolano alla domanda: che fare contro il default dei conti pubblici, “politicamente e tecnicamente”, vi sono tre ipotesi:
- annullamento forzoso di una parte del debito, senza alcun risarcimento dei creditori;
- una moratoria per alcuni anni su una parte del debito senza versamenti degli interessi non dati, neppure in seguito;
- il ricorso all’aumento delle imposte per far fronte ai debito.
Con una buona dose di sfrontatezza e di ipocrisia politica e… tecnica, si potrebbero presentare come soluzioni che non farebbero pagare la crisi alle “categorie popolari”. Sappiamo però tutti chi – fra queste cosiddette categorie – pagherà alla fine il salatissimo conto: sul proletariato, prima e dopo, ricade ogni conseguenza in termini di peggioramento delle sue condizioni generali. Fino a quando sopporterà il tutto?
DCBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
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