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Home ›Sulle recenti rivolte nei Paesi arabi
Le piazze si sono riempite. Scontri con la polizia, un ambasciatore americano morto a Bengasi con i suoi collaboratori. Morti anche tra i manifestanti e le forze dell'ordine. Il tutto, si dice, per un filmato blasfemo contro Maometto.
Il mondo arabo è ancora alla ribalta. Le piazze di Tunisi, Cairo, Bengasi, Khartum e Sana'a si sono violentemente riempite di nuovo. In questo caso le rivolte sono ideologicamente e politicamente guidate dalle frange estremiste dei salafiti contro le presunte offese al profeta Maometto, contro l'occidente “blasfemo”, contro la presenza americana, le sue ambasciate, contro il suo ruolo di predatore energetico in Iraq e Afghanistan. Questo il quadro delle rivolte come appare e come gli stessi movimenti salafiti tendono ad accreditarlo presso l'opinione pubblica interna e internazionale. Ma c'è dell'altro. Una delle componenti che ha scatenato le rivolte di piazza va ascritta alla profonda delusione della “rivoluzione della primavera araba”. Solo gli ingenui e quelli politicamente in mala fede potevano pensare che dalle esperienze tunisine, libiche ed egiziane potessero nascere delle fasi politiche nuove che dessero il via all'inizio di un processo di miglioramento delle loro economie. Nello scenario politico semovente di questi paesi, tutto compreso all'interno di soluzioni borghesi, non c'era nemmeno uno straccio di “laicismo democratico” sufficientemente forte da rompere definitivamente con il passato dei “grandi dittatori”. I partiti di questa tradizione, ovvero i rappresentanti politici di frange di una borghesia debole e minoritaria, fuori dai meccanismi statali del potere economico e politico, non ha avuto la forza di fare i conti con il vecchio regime. Ben Ali, Mubarak e Gheddafi sono stati destituiti quali vittime sacrificali perché crollasse la facciata del vecchio edificio ma rimanessero intatte le fondamenta.
Chi si aspettava che le “rivoluzioni” fossero la premessa di un miglioramento economico della popolazione è rimasto a bocca asciutta. L'economia è andata peggiorando, la disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti, 25-30% come medie nazionali con punte oltre il 50% tra i giovani anche con diploma se non con una laurea. La pauperizzazione sta colpendo anche il ceto medio che si somma alla devastante miseria dei contadini e dei proletari.
Un altro elemento che va messo in rilievo è rappresentato dal tentativo di rivincita dal fondamentalismo salafita, quello duro e puro, che è risultato sconfitto nelle elezioni post primaverili. In Tunisia hanno vinto gli islamisti moderati, in Egitto l'ala meno radicale della Fratellanza musulmana. E' pur vero che i salafiti di Al Nour hanno conquistato il 25% dei seggi nel Parlamento egiziano, ma è altrettanto vero che non hanno ricevuto una adeguata fetta di poltrone ministeriali e di potere effettivo. In Libia “hanno vinto” tutti, gli ex elementi del vecchio regime che hanno saputo riciclarsi, le rappresentanze più consistenti del sistema tribale, la nomenclatura petrolifera che non vedeva l'ora di togliere di mezzo il colonnello, tutti meno le frange fondamentaliste che sono letteralmente rimaste a bocca asciutta.
I salafiti hanno ritenuto di giocare le loro carte tentando di usufruire del perdurante malessere sociale che le popolazioni arabe sono ancora costrette a vivere nel post “primavera”. L'occasione delle rivolte è stata fornita da un filmato sulla vita di Maometto che ha infuocato le masse contro la blasfemia, contro l'occidente, gli Usa ma anche contro i neo regimi che il salafismo vuole travolgere in nome della tradizione religiosa, della sharia e della conquista del potere a proprio uso e consumo. Non a caso quel filmato che nessuno aveva mai visto, ritirato immediatamente dalla circolazione dopo pochi giorni, riappare improvvisamente su di un sito salafita, viene visto e divulgato ai quattro angoli del medio oriente e imposto all'opinione pubblica musulmana. La cosa sarebbe passata quasi inosservata lo stesso se non ci fosse stata la mobilitazione delle cellule integraliste che hanno colto, con l'11 settembre, un'imperdibile occasione per il proprio rilancio.
In realtà tre giorni prima in Tunisia ci sono stati scontri di piazza, assalti alle caserme e alle sedi sindacali da parte dei salafiti tunisini, segno che la tensione sociale stava già avanzando e che il filmato è stato solo la classica goccia del vaso pieno. A colmare la misura in Tunisia, in Egitto, Libia e Yemen ci ha pensato anche un vecchio salafismo, da anni al potere in Arabia saudita, il wahabbismo, che foraggia a suon di petrodollari queste formazioni. I custodi della tradizione, altrimenti definiti i fedeli della preghiera e del combattimento, sono rappresentativi di una piccola e media borghesia isterica, prevalentemente rappresentata da professionisti e intellettuali ma non solo, sempre ai margini delle stanze che contano, che ambiscono ad arrivare al potere attraverso la forza della fede e del kalashnikov.
Fede in Maometto, nella rendita petrolifera, nella gestione economica e politica di un capitalismo bandito nelle forme del modello occidentale ma accettato e perseguito nella trasfigurazione religiosa integralista che tutto giustifica e ricompone nel nome di dio, compresi i rapporti tra capitale e forza lavoro. La rivincita salafita avrà dei seri problemi a portare a compimento il proprio piano, ancora più reazionario e conservatore dei regimi usciti dalla fase precedente, nel frattempo però riceve l'appoggio rabbioso delle frange più arretrate delle società arabe.
Giovani diseredati, sottoproletari delle periferie urbane, proletari frustrati nelle aspettative che avevano ingenuamente riposto nella prima fase delle rivolte, sono la sua massa d'urto. E qui sta l'ennesima tragedia di classe che va consumandosi a queste latitudini. La spirale del disorientamento proletario sembra non avere limiti. Senza un programma politico rivoluzionario, senza una organizzazione in grado di proporlo alla disperazione delle masse, solo la brace della conservazione capitalista, nascosta dietro le incolte barbe del salafismo, può raccogliere il vano agitarsi di ciò che avviene nella padella delle aspirazioni proletarie.
FDBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
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