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Home ›Un 11 settembre operaio (dimenticato da tutti)
Cernobbio (Como): il Workshop Ambrosetti, che riunisce il “Gotha” della borghesia mondiale, è stato funestato da un atto criminale. Alcuni camerieri e addetti alle pulizie – quest'ultimi per lo più immigrati e, in parte, senza permesso di soggiorno – hanno incendiato la splendida villa che ospitava l'incontro, dopo aver sbarrato dall'esterno porte e finestre. Le vittime si contano a decine, se non a centinaia. La magistratura ha aperto un'inchiesta, ma, come quasi sempre accade in questi casi – vedi l'episodio analogo lo scorso anno a Davos - è probabile che i colpevoli della strage vengano “puniti” con condanne poco più che simboliche, in attesa che tutto torni come prima. Personale di servizio, hostess, addetti al call center, col pretesto dei salari da fame e di un presunto supersfruttamento, tenderanno agguati mortali ai datori di lavoro – e ai rappresentanti degli stessi - chiamati astiosamente dai lavoratori omicidi “padroni”.
No, non abbiamo bevuto troppo, né ci siamo fumati erbaggi aromatici illegali: abbiamo solo provato a giocare con la fantasia, immaginando cosa succederebbe se quella storia da teatro dell'assurdo, appunto, succedesse veramente. Le televisioni interromperebbero le trasmissioni e riempirebbero gli schermi con speciali non-stop; idem la carta stampata e le sue estensioni sul web. La realtà, invece, come tutti sanno, è esattamente l'opposto. Sono gli operai o, per essere precisi, molto spesso le operaie, a morire bruciati, asfissiati, sfracellati al suolo per sfuggire alle fiamme, mentre i padroni, al massimo, ricevono qualche “buffetto” penale, giusto per dimostrare all'opinione pubblica che la giustizia è imparziale, non difende gli interessi dei ricchi, che lo stato, in breve, è di tutti. I mass media, poi, come da copione, hanno altro da sbattere in prima pagina: che diamine, in fondo la strage di operai non è una Notizia (con la enne maiuscola), visto che ogni anno, nel mondo, di operai e operaie ne muoiono – o, se vogliamo, ne vengono assassinati – a milioni sul posto di lavoro. Ma l'uccisione dell'ambasciatore statunitense e di altri tre uomini del consolato USA a Bengasi è una pezza d'appoggio sufficiente per relegare al quarto o quinto posto (o più giù ancora) la morte di centinaia di lavoratori tra Pakistan e Russia..
I fatti sono noti, martedì 11 settembre, a Karachi, si sviluppa un incendio in una fabbrica tessile e in pochi minuti muoiono quasi trecento operai/e; nello stesso giorno, con le stesse modalità, muoiono venticinque lavoratrici a Lahore e quattordici operaie vietnamite a Egorevsk, nella regione di Mosca. Identiche le modalità del crimine, identiche le condizioni di lavoro: orari massacranti, salari irrisori – quando vengono pagati – assenza delle norme di sicurezza minime (le uscite erano sprangate dall'esterno o impedite dalle inferriate), dispotismo padronale assoluto – che non tollera nemmeno le espressioni del più blando sindacalismo – rafforzato, se mai, dalle squadracce, anche a sfondo religioso (in Pakistan) al servizio degli “imprenditori” (come si usa dire). E se non bastano i licenziamenti, le violenze aperte dei picchiatori, gli anatemi del fondamentalismo religioso a far “accettare” l’inferno capitalistico a milioni e milioni di lavoratori, ci pensa lo stato, con le sue leggi, la sua polizia, la sua magistratura a difendere i paradisi terrestri del capitale, la Terra Promessa verso cui, tendenzialmente, vorrebbero condurci i Marchionne e i Monti. Degni esponenti, questi, della borghesia “occidentale”, “per bene”, che però non può fare a meno – e per le quali prova invidia - delle sue sorelle forse un po’ rozze, d’accordo, dei cosiddetti paesi emergenti, dei paesi “in transizione” (ex impero sovietico) o in via di sviluppo (di che?). Marchionne si è impegnato con scrupolo nell’eliminazione dei “lacci e lacciuoli” al pieno dispiegamento del terrorismo padronale in fabbrica, mettendo in un angolo, anzi, fuori dall’angolo, una FIOM più che disposta a cooperare per il bene dell’azienda, ma ricettacolo di operai che, in molti casi, non hanno a cuore il suddetto bene come i vertici sindacali, e questo crea problemi – o li può creare – all’estorsione senza freni del plusvalore, cioè dello sfruttamento operaio.
Monti non è da meno, dicendo – e operando in tal senso – un giorno sì e l’altro pure, che il problema della crescita sono le eccessive tutele di cui godrebbe una “parte sociale”, vale a dire il lavoro salariato, arrivando a indicare nel pur riformistico Statuto dei Lavoratori (1) uno degli ultimi ostacoli alla famigerata competitività, benché il povero Statuto sia stato, di fatto, abbondantemente intaccato da tutti i precedenti governi (spalleggiati dai sindacati, inutile dirlo).
Infine, ma lo diciamo quasi con vergogna, di fronte alle stragi operaie, non possiamo fare a meno di pensare alla fatuità di certo neoriformismo, che vede il lavoro operaio, la sua durezza e, soprattutto, il suo sfruttamento, sopravvivenze di un mondo passato, messo in soffitta da una mistificata società della conoscenza,, di cui la piccola borghesia proletarizzata, o quanto meno declassata (questo lo diciamo noi…) è il soggetto centrale. Che tutto ciò sia un fenomeno importante, al di là delle interpretazioni ideologiche neoriformiste, è fuori dubbio, così come che i nuovi strati sociali del “lavoro cognitivo” (pessima espressione) ultraprecarizzati rientrino a pieno titolo nella schiera enorme della forza lavoro sfruttata dal capitale, ma ciò non toglie che la carne e il sangue, in senso letterale, della classe operaia rimangano il pasto principale della belva capitalista.
CB(1) Lo Statuto dei Lavoratori, varato nel 1970, non fu una conquista operaia, come vuole la leggenda della “sinistra”, ma essenzialmente uno strumento per contenere e irregimentare la conflittualità operaia dentro la gabbia delle compatibilità economico-sociali capitalistiche, narcotizzando la classe con la concessione di “diritti” che in parte frenavano alcuni aspetti del dominio padronale, per esempio, la libertà di licenziamento. Tutte le “parti sociali”, Confindustria compresa, lo celebrarono come una conquista di civiltà, e non a caso.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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