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Home ›Germania locomotiva d'Europa. I salariati gettati nella caldaia
La Germania, ormai comunemente definita “locomotiva d'Europa”, è spesso additata da economisti e governanti come esempio di politica economica virtuosa, da diffondere nell'Eurozona e altrove. Mentre invitano i lavoratori della loro area a “moderazione salariale”, flessibilità e produttività al pari dei lavoratori tedeschi, politici e “tecnici” snocciolano i loro numeri del successo tedesco, tra cui una crescita del pil superiore al 3% nel 2011, disoccupazione inferiore al 7%, il livello minimo degli ultimi 20 anni, esportazioni per un valore superiore ai mille miliardi di euro, in aumento dell'11,4% rispetto al 2010 e dirette anche verso i paesi emergenti, in particolare verso la Cina (anche se circa i due terzi delle esportazioni tedesche restano all'interno della UE). Il miracoloso “modello tedesco” era stato presentato dal Time già un anno fa, in un articolo dal titolo emblematico: “Come la Germania è diventata la Cina d'Europa” (1).
Mentre gli spagnoli, gli irlandesi ed altri europei stavano sprofondando nei debiti, costruendo troppe case e concedendosi lauti aumenti salariali, i tedeschi erano occupati a sistemare la loro economia. L'allentamento del mercato del lavoro, strettamente regolato, che ha reso più facile alle aziende assumere e licenziare, ha aiutato. La cooperazione dei sindacati ha permesso alla Germania di essere la sola economia europea, tra quelle principali, ad aver ridotto il costo del lavoro per molti anni, a partire dal 2005. La Germania sforna prodotti specializzati di una qualità tanto superiore, dalle auto sportive della BMW agli apparati per le pulizie della Kärcher, che gli acquirenti sono disposti a pagare di più per l'etichetta "Made in Germany". Ciò ha tenuto la nazione davanti ad economie emergenti come quella cinese e la ha aiutata a beneficiare della loro rapida crescita. Le esportazioni tedesche verso la Cina sono cresciute del 45% nei primi 10 mesi del 2010. Infatti, la Germania è il solo Paese tra quelli a maggiore industrializzazione, oltre al Giappone, in cui le esportazioni stanno giocando un ruolo di primissimo piano nell'economia - il 41% del pil nel 2009, a partire dal 33% nel 2000. L'industria tedesca può fornire una risposta a una delle questioni economiche più intricate che il mondo sviluppato di trova davanti: come sostenere la competitività dell'apparato manifatturiero contro le economie emergenti, caratterizzate dai bassi costi. La Germania "indica la via da seguire per gli USA e per altri Paesi", sostiene Bernd Venohr, un consulente d'affari con sede a Monaco.
Tuttavia, un recente studio dell'Ifri (Institut français des relations internationales), citato anche da M. Blondet sul suo blog (2), squarcia il velo sulla realtà sociale di questo “successo”.
A partire dal 2001, in Germania i vari sussidi sociali e di disoccupazione sono stati fusi in uno solo, seguendo le linee guida del Piano Hartz (elaborato da Peter Hartz, ex capo del personale Volkswagen). Oltre ad essere di entità ridotta, questi magri sussidi sono ora distribuiti da speciali centri di lavoro, presso cui i disoccupati devono presentarsi ogni due mesi. Per non essere esclusi dal programma, è richiesto che dimostrino “buona volontà”, accettando uno degli impieghi proposti, anche per pochissime ore e pagato peggio del precedente. In questo modo milioni di tedeschi sono finiti impegnati in “mini-job”, ossia lavoretti che possono essere anche di sole 15 ore settimanali, per 400 euro mensili. Il fatto che le liste di disoccupazione si siano d'improvviso svuotate ha dunque ben poco di miracoloso.
Inoltre, secondo il sistema Hartz, il versamento dei contributi previdenziali e sanitari non è richiesto per questi mini-job. I padroni hanno dunque trovato enorme vantaggio a moltiplicare i posti da 400 euro al mese, per lavoratori immiseriti e per di più senza copertura previdenziale e sanitaria. I contratti per i mini-job hanno avuto una crescita enorme negli ultimi anni, segnando un aumento del 47% tra il 2006 e il 2009, superati solo dai contratti interinali cresciuti del 134% nello stesso periodo. Alcune aziende ne hanno approfittato grandemente. La catena di supermercati Scheckler è stata accusata di applicare una sorta di “dumping salariale”, assumendo due o tre mini salariati anziché un lavoratore a tempo pieno, risparmiando in questo modo sui contributi. Il programma Hartz copre attualmente ben 6,6 milioni di persone, di cui 1,7 milioni di minori e casi sociali difficili, a cui si sommano altri 4,9 milioni di lavoratori immiseriti. La paga, per cui non esiste un minimo di legge, in alcuni casi scende fino ad un euro all'ora. I lavoratori da un euro all'ora, spesso impiegati in mansioni simili a quelle dei nostri “lavoratori socialmente utili”, accettano sotto il ricatto della perdita dei sussidi. Infine, i sussidi sociali non sono completamente cumulabili: “per 100 euro di salario, il lavoratore perde il 20% del sussidio, per un impiego da 800 euro ne perde l’80%”.
Ecco quindi svelato questo banale gioco delle tre carte “made in Germany”: il 20% degli occupati sono “lavoratori poveri”, ossia persone che, pur avendo qualche impiego, non escono dalla miseria.
Ma questo non basta. Per il 2012 infatti si prevede un pil sostanzialmente fermo (+0,4%). Le esportazioni dovrebbero continuare a crescere, ma solo del 3,4%, a seguito della recessione in Eurolandia, alla cui genesi stanno contribuendo anche le stesse politiche economiche “imposte” dalla Germania. Il debito pubblico supererà l'82%, secondo i dati ufficiali e al lordo di vari artifici contabili: la recente piccola crescita è stata infatti drogata dagli incentivi alla rottamazione e da svariati aiuti statali alle imprese, più o meno mascherati. Inoltre sarebbe una bufala anche l'attenzione alla formazione e all'istruzione pubblica: al di là di alcune cosiddette “eccellenze”, in questo ultimo campo la Germania spende attorno al 4,8% del pil – come l'Italia e ben al di sotto della media dei paesi Ocse.
In realtà il “miracolo tedesco” si basa sì sull'aumento di produttività, ma legato semplicemente alla brutale contrazione dei salari e del livello di vita della classe lavoratrice. Il respiro corto di queste politiche economiche, le uniche che la borghesia a livello internazionale è in grado di mettere in campo, è già evidente ed un altro duro giro di vite si prepara. In Germania, come nel resto del mondo, il miglior futuro che la classe dirigente può offrire al proletariato (e al cosiddetto ceto medio) è una discesa senza fine nell'inferno della miseria e della totale precarietà.
MicBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #03
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Comments
non è che M.Blondet sia chissà quale fonte autorevole da citare con "anche M.Blodet" ;-)
Ho saputo dello studio francese attraverso il blog di Blondet. La citazione non vuole essere una patente di "autorevolezza", ma serve semplicemente a documentare le fonti dell'articolo, cosa che fa correttamente anche Blondet. Risalendo a ritroso, fino all'origine, uno può decidere se ritenere le informazioni attendibili :-)
Sulla collocazione ideologica di Blondet, che mi pare riferibile al cristianesimo più reazionario, sinceramente non ho mai avuto interesse ad approfondire più di tanto... Tra le notizie che riporta, però, se ne trovano alcune interessanti, spesso escluse (a torto o a ragione) dal "mainstream".
Sulla faccenda dei minijobs ci sono diverse ricerche, riprese, più o meno dirrettamente da Blondet, come dice Mic; per esempio, L. Gallino ne ha parlato in più di un'occasione:
Saluti,
Smirnov
al minuto 11 si parla dei contratti tedeschi:
Grazie, MaIn. Scenari è una rubrica interessante, infatti anche la puntata da te segnalata riporta alcuni dati utili...