La questione nazionale e coloniale - Conclusioni

L'ora della verità - Presupposto teorico al prossimo interventismo

Da Battaglia comunista n. 3 - febbraio 1974

... Ci rimproverano di

mettere sullo stesso piano tutti gli imperialismi, ignorando che la nozione stessa di imperialismo significa lotta a coltello fra paesi imperialisti in concorrenza reciproca, ed è questo il terreno della loro inevitabile guerra reciproca.

Questa non è che una banale sfaccettazione dell'imperialismo, ma, se l'imperialismo fosse soltanto questo, dove andrebbe, allora, l'unità di classe del capitalismo imperialista contro cui dovrà scontrarsi l'unità di classe del proletariato internazionale? E' da questa impostazione fondamentale del conflitto tra le due classi antagoniste sul piano internazionale, e soltanto da essa, che si discende all'esame subordinato degli imperialismi nazionali e dei rispettivi conflitti di classe. Cominciando dall'imperialismo del proprio paese, ma a condizione che queste varie e contraddittorie facce dell'imperialismo siano considerati come semplici momenti della globalità di tutto il sistema oggi dominante sul mondo. Rovesciare i termini del problema porterebbe a sezionare il fronte dell'avversario di classe, a formulare una differenzazione di simpatia politica o di tipo moralistico, e soprattutto porterebbe a rompere la strategia, tanto quella della conservazione quanto quella della rivoluzione, con questo risultato: il capitalismo manterrà, in ultima analisi, unitario e saldo il suo fronte di difesa, mentre il proletariato, in ordine sparso, marcerà verso una nuova sconfitta.

Ecco allora la "simpatia", gli "applausi", gli "auspici" e il "tifare" fra questo o quello dei contendenti di turno, riducendo la dialettica a semplice formalismo soggettivo o, peggio ancora, a capriole opportuniste.

E la dialettica è del tutto formale, come in questo caso, quando nasce dalla "preoccupazione di prendere chiaramente partito", come se il prendere partito sulla questione nazionale e coloniale fosse semplicemente quello di accontentarsi di "ripetere e catalogare posizioni vecchie ed acquisite". Magari senza "ripetere né catalogare" una sola posizione teorica o politica che si rifaccia a Lenin o al secondo Congresso dell'Internazionale; posizione che noi della Sinistra italiana abbiamo accettato nella fase in cui era vivo ed operante il centro di polarizzazione rivoluzionaria rappresentato dalla Russia di Lenin e dall'Internazionale comunista, a cui tutti i moti coloniali dovevano convergere come loro centro naturale, capace di realizzare una operante solidarietà e offrire un sicuro modello ideale allo svolgimento della loro rivoluzione nazionale.

Indicazione tattica fondamentale per tale orientamento era:

  1. lo sviluppo autonomo e indipendente del partito comunista nelle colonie;
  2. un'opera indipendente di formazione ideologica e organizzativa;
  3. l'appoggio ai movimenti di ribellione coloniale da chiedersi soprattutto ai partiti comunisti delle metropoli.

Le posizioni tattiche che hanno caratterizzato e caratterizzano la "Sinistra italiana" (con il migliore Bordiga) ponevano l'accento sulla strategia piuttosto che sulla tattica, considerando questa come momento particolare, contingente e quindi mutevole, e in ogni caso indispensabile nel quadro generale del complesso di classe che è proprio della strategia. Ricordiamo a questo proposito che l'attacco contro la Sinistra da parte degli opportunisti centro-destra del P.C. d'Italia, negli anni Venti, ebbe inizio proprio sul problema della tattica, dando ad intendere che la Sinistra lo ignorasse, e da qui la solita accusa di immobilismo di fronte ai problemi contingenti scaturenti dalla vita quotidiana delle masse e del partito. E la storia posteriore di questo partito ha dimostrato, anche tragicamente per il proletariato, in che cosa consisteva questa tattica e che cosa accade quando essa viene slegata dai pilastri fondamentali della dottrina e degli interessi storici della classe.

Questo è il modo corretto di considerare l'imperialismo, e la conferma storica è data in modo drastico e risolutivo dagli ultimi episodi indocinesi e del Medio-Oriente, in cui la competizione tra le due maggiori centrali imperialiste si stempera e si placa quando c'è da spartirsi zone d'influenza d'importanza economica e strategica per mantenere in piedi un determinato equilibrio che assicuri il dominio al rispettivo capitale finanziario.

Monopoli, oligarchia, tendenza al dominio anziché alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di mazioni piccole e deboli, sono le caratteristiche dell'imperialismo che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente.

Lenin

Previsione divenuta realtà viva in questo scorcio di storia, e che Lenin ha saputo e potuto elaborare seguendo il filo conduttore della metodologia marxista.

E noi, come partito, continuiamo a vedere gli stessi problemi da questa rigida angolazione di classe, che era stata, del resto, quella della parte intellettualmente più viva e più pulita della nostra Frazione all'estero. Ed essa in questi termini inquadrava l'aspetto storico-economico dell'esportazione del capitale finanziario, caratteristica predominante di questa fase della dominazione imperialista in confronto

...al periodo di ascesa del capitalismo che Marx ha schematizzato nel Manifesto, quando dice che il modo di produzione capitalista, rovesciando i sistemi feudali, determina la costituzione di Stati borghesi antagonisti. Nella fase della decadenza del capitalismo, il capitale d'esportazione corrisponde alla esportazione della struttura capitalista della metropoli; nello stesso tempo corrisponde alla impossibilità per gli strati privilegiati locali di elevarsi a un ruolo di autonomia e di competizione. Esattamente come è avvenuto alle Indie, dove il capitale finanziario inglese, creando industrie di trasformazione, è pervenuto a collegarle alla madre patria.

Da "l'Internationaliste", II anno, gennaio 1948

Questo e non altro è nelle sue linee generali il quadro della dinamica insita nel sistema capitalista, entro il quale si sono sviluppate e vanno ormai concludendosi le guerre coloniali nelle quali, semmai, va individuata la presenza attiva del proletariato - là dove il proletariato è presente - per vederne la possibilità di sviluppo autonomo in stretto collegamento con il proletariato delle metropoli e del suo schieramento internazionale.

... Le guerre localizzate di Corea, del Vietnam e del Medio-Oriente sono state - e nella condotta dello scontro armato e nella loro conclusione (praticamente non conclusiva) - altrettanti episodi che hanno visto il dosato intervento dell'America e della Russia, mai in prima persona ma in ogni caso di tale rilevanza da consentire loro di saggiare le rispettive capacità belliche, di concludere e allargare le rispettive zone d'influenza per il più conveniente impiego del capitale finanziario. Azioni che i due centri dell'imperialismo hanno condotto con metodo e con assoluto controllo e capacità di delimitazione, e il tutto nel modo più dispotico e assoluto come se gli atti del dramma avessero un unico regista, ma con due facce solo approssimativamente dissomiglianti.

Il proletariato di questi paesi, la dove era presente, mancando le condizioni previste dalle tesi dell'Internazionale e non potendosi esprimere nella sua autonomia di classe, ha finito per combattere per la causa della borghesia nazionalista, prigioniero nelle maglie della strategia imperialista.

In tali condizioni, la solidarietà e la simpatia per le vittime dell'imperialismo è pretesto, comodo e mistificatorio disimpegno che non comporta né rischio, né sacrificio. Di solidarietà si potrà parlare, e non a vuoto, solo quando saremo capaci di costruire su scala internazionale validi strumenti di lotta rivoluzionaria. Senza uno schieramento internazionale del partito rivoluzionario, che garantisca una solidarietà attiva, ogni tentativo di rivolta o di guerra è destinato ad avere la fine di sempre, ad essere cioè risucchiato dalle forze che oggi amministrano indisturbate tanto la guerra che la pace per nuove Coree e nuovi Vietnam.

Autodeterminazioni e indipendenze nazionali

Da Battaglia comunista n. 16-17, 1983

Abbiamo sempre condiviso pienamente l'esame di Lenin sull'imperialismo e la diagnosi che ne dà e la terapia che indica (la rivoluzione proletaria, comunista, internazionale). Non siamo d'accordo con Lenin - e apertamente lo dichiariamo - quando egli afferma, immediatamente dopo la Rivoluzione d'Ottobre, rivoluzionarie e progressive in quanto tali le guerre nazionali, possibili anche in epoca imperialista. (Lenin, Il programma militare della rivoluzione proletaria, Opere complete, vol. 23, pag. 75-85)

Ma il primo problema che un comunista deve porsi è questo: in che misura esse sono utili alla rivoluzione proletaria? In quale misura sono considerabili tappe di questa?

Se e in quanto sono rivolte contro una borghesia imperialista sul terreno pur sempre delle contraddizioni interimperialiste, la Luxemburg, contro la quale polemizza Lenin nel suo scritto, ha ragione. Rileggiamola in Scritti politici, appendice a La crisi della socialdemocrazia, pag. 548 - Editori Riuniti 1970:

Le piccole nazioni, le cui classi dirigenti sono appendici e complici deí loro compagni dí classe dei grandi Stati, non sono altro che pedine nel gioco imperialistico delle grandi potenze e durante la guerra si abusa di loro come delle rispettive masse lavoratrici, come di strumenti per sacrificarle dopo la guerra agli interessi capitalistici.

La storia, gli avvenimenti accaduti nel tempo e che ci separano sia da Lenin che dalla Luxemburg, danno pienamente ragione a quest'ultima e hanno smentito Lenin. Infatti, le "rivoluzioni nazionali" succedutesi nei continenti non hanno fatto avanzare di un passo la prospettiva comunista o i rapporti di forza internazionali fra borghesia e proletariato. Hanno invece, volta a volta, favorito un fronte dell'imperialismo contro l'altro. (Premessa indispensabile alla comprensione di ciò, ovviamente è stata la considerazione della Russia come paese a capitalismo di stato, e quindi imperialista.)

Vediamo come ciò si renda possibile nel meccanismo sociale, politico e ideologico che si innesta nei paesi nei quali sia in corso una cosiddetta "rivoluzione nazionale". L'accentuazione del tema nazionalistico contro il nemico del momento, da parte di tutte le forze politiche in campo, anche quelle che si richiamano al proletariato, porta inevitabilmente a legare il proletariato stesso al carro della solidarietà nazionale sul terreno bellico. Ma in questo terreno è inevitabile l'intervento del fronte imperialista avversario del nemico del momento e dunque obiettivamente "alleato". Risultato definitivo: l'aggancio del proletariato agii interessi della potenza imperialista alleata (sia apertamente che non).

Un conto allora è dire che le guerre nazionali sono possibili, altro conto è definirle progressive o rivoluzionarie, come fa Lenin. Si potrebbe obiettare che l'autonomia politica ed organizzativa del proletariato, nel mentre consente l'affrancamento del capitale nazionale dai vincoli delle potenze imperialiste e quindi la liberazione delle sue capacità di sviluppo, è anche garanzia di una successiva tappa di sviluppo propriamente proletaria, anticapitalista. La realtà è però diversa. II fronte unico militare nel corso della guerra nazionale non può limitarsi al piano puramente nazionale: invade necessariamente il campo politico, amministrativo (attraverso i problemi di gestione logistica della guerra) e porta inevitabilmente (in caso di successo apparente della guerra - esempi algerino, vietnamita ecc.) alla creazione di uno Stato capitalista pur sempre dominato dall'imperialismo con il concorso delle forze presunte comuniste e con la conseguente loro soggezione alla necessità di difenderlo come tale.

L'equivoco dell'indipendenza formale dall'antico dominatore imperialista copre la sostanza della perdurante dipendenza dall'imperialismo. La borghesia nazionale (per quanto giovane, sottosviluppata, diversa nella sua configurazione storica da quella tradizionale europea) non ha prospettive di vita e di profitto - l'unica sua linfa vitale - al di fuori della rete di mercato mondiale. E questo è comunque dominato dall'imperialismo.

Anche nel caso di totale nazionalizzazione dell'economia (capitalismo di Stato) non è concepibile uno sviluppo autonomo della rete d'interessi imperialistici. A meno di fare la rivoluzione proletaria, a meno cioè di un potere proletario collegato al proletariato internazionale e al suo corso rivoluzionario.

E c'è di più. Non si è mai dato il caso (a parte quello del continente Cina e proprio perché "continente") di uno sviluppo economico di paesi neo-liberati anche lontanamente assimilabile ad un equilibrato sviluppo capitalistico. La dipendenza dall'imperialismo significa sviluppo secondo gli interessi mondiali del capitale imperialistico, nei quadro quindi della sua divisione dei lavoro, della sua specializzazione dei mercati.

In cosa dunque sarebbe progressiva la guerra nazionale?

Nella foga polemica contro la Luxemburg, Lenin si è lanciato in un pericolosissimo esempio:

una guerra nazionale, progressiva, rivoluzionaria, condotta poniamo dalla Cina, in alleanza con l'India, la Persia, il Siam ecc. contro le grandi potenze.

Quali? - chiediamo.

L'ipotetica guerra da dove avrebbe tratto le sue ragioni se non dalle contraddizioni intercapitalistiche, nella forma che esse assunsero dopo la Prima Guerra Imperialista? II proletariato, dunque, in nome di un presunto progressismo, si troverebbe ingabbiato o compresso nella sua autonomia di classe su un terreno non suo. India, Cina, Siam non sono certo Stati... proletari. Non ha dunque alcun senso, né logico né politico, affiancare tale ipotetica guerra a quella di futuri Stati proletari isolati o costretti all'autodifesa.

Lenin sembra ovviare al problema usando con dovizia la altrove maledetta parola "popoli".

Luxemburg bada essenzialmente alla struttura di classe degli stati nazionali; per Lenin sembra invece che non siano più precise configurazioni sociali e statali a condurre la guerra, ma "popoli".

Si aggiunga il termine "oppressi" e si avranno gli elementi necessari a stimolare il sentimento, l'emotività necessari a viaggiare sul filo teso sull'abisso, credendo di essere su un'autostrada. È chiaro dunque che la polemica di Lenin - in questo caso - appare molto viziata. Da là non possiamo trarre seri elementi a sostegno della tesi che i comunisti devono appoggiare le guerre nazionali come tali.

Questo significa forse che i comunisti debbono ignorare il fenomeno? Non sarebbero né comunisti né marxisti. Noi abbiamo posto e continuiamo a porre problema politico di cosa fare, come intervenire su un fenomeno che non possiamo certo negare. Lasciamo ad altri gli schematismi letterari a sfondo spesso imperial-sciovinistico, secondo cui dalle premesse analitiche esposte deriverebbe la totale estraniazione dai movimenti e la contrapposizione totale ad essi.

È un fatto che in molti paesi del mondo, le masse oppresse siano schiacciate sotto doppio peso della dominazione capitalista e della dipendenza del capitalismo nazionale dall'imperialismo. È un fatto che la rivolta contro l'oppressione si configuri innanzitutto come rivolta contro l'oppressore imperialista del momento. Il movimento nazionalista, cioè riassume sotto di sé anche le spinte più genuinamente proletarie, contro lo sfruttamento, contro le barbare condizioni di vita e di lavoro (o non lavoro).

Tali spinte devono essere raccolte là dove si manifestano. È un principio irrinunciabile a qualunque definizione di strategia e di tattica rivoluzionaria.

Ma questo non significa inserire nel programma comunista la liberazione nazionale come elemento separato dalla dittatura proletaria e dalla solidarietà di lotta del proletariato internazionale per il comunismo. Significa, invece, tracciare una netta barriera di classe tra le forze rivoluzionarie e le forze nazional-borghesi, tale che non ammetta alcun fronte unico e alcuna alleanza. Ciò richiederà la definizione di una tattica di lotta rivendicativa e lotta politica di cui non pretendiamo avere la ricetta pronta, ma di cui siamo in grado, forti dell'esperienza e della elaborazione e dibattito su cinquant'anni di controrivoluzione, di indicare le linee generali.

Sostegno alle lotte nazionali da parte dei comunisti nelle cittadelle imperialiste? No. Solidarietà invece con le lotte degli oppressi contro la dominazione imperialista e lotta, dunque, contro la propria borghesia imperialista sino al boicottaggio delle sue operazioni economiche e militari nei paesi dominanti.

Con ciò si liquida ogni sciovinismo (pericolo latente nei paesi dominanti) e si determina il terreno della reale unità di lavoro dei comunisti in tutti i paesi e della reale solidarietà proletaria internazionale.