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Home ›Stato e ‘ndrangheta, uniti contro la lotta di classe
Dalla Calabria alla Lombardia
La mafia è borghesia armata. Borghesia, classe dominante a tutti gli effetti, che se a volte entra in conflitto con gli apparati repressivi dello stato, molte altre volte dello stato è complice nella gestione del potere e dello status quo.
Sono finiti da un pezzo i tempi in cui la mafia - usando le parole di Giuseppe Carlo Marino - nasceva in quell’elemento "sveglio" del popolo che aveva appreso bene la lezione dei potenti per diventare a sua volta una gigantesca macchina di oppressione sui ceti popolari. Oggi, infatti, tutte le organizzazioni mafiose sono divenute parte integrante dell’azienda Italia, per cui la loro radice non è più nel popolo quanto nel resto del padronato. Restando invece, esattamente come prima, una gigantesca macchina d’oppressione sulla classe lavoratrice.
Ricordate la polemica di qualche mese fa tra Maroni e Saviano a proposito del radicamento della ‘ndrangheta anche nei territori del Nord governati dalla Lega? Lo scorso autunno è uscito un libro di Enzo Ciconte, ‘ndrangheta padana, che sull'argomento chiude definitivamente la bocca a Maroni e a tutti coloro che vedono nelle mafie un problema esclusivo dell'Italia meridionale.
Ciconte, professore universitario di Storia della criminalità organizzata e autore di numeri libri sulle mafie, spiega anzitutto che la ‘ndrangheta si è perfettamente adattata ai tempi nuovi, per cui
la coppola e la lupara sono sparite; ben altre sono le armi del mafioso contemporaneo. Non è più la ‘ndrangheta che minaccia o si accaparra i subappalti; siamo di fronte a qualcosa di più, alla progressiva integrazione nella cultura mafiosa di meccanismi che appartengono al funzionamento e al regolamento dell’impresa capitalistica.
Nello specifico, l’inserimento della mafia calabrese al Nord e soprattutto in Lombardia
non è avvenuto all’improvviso né è avvenuto solo per opera dei mafiosi meridionali. E’ stato un processo lungo, durato anni, e ad esso hanno dato un contributo notevole uomini del Nord, ‘padani’ di nascita.
Questo inserimento, che va molto in profondità, è stato possibile grazie a una variegata genìa di borghesume, i cosiddetti uomini-cerniera, ossia
uomini che popolano il sottobosco economico e finanziario, che danno consigli, informazioni, notizie, che propongono investimenti, acquisti, partecipazioni azionarie [... e che sono quindi] direttori o funzionari di banca, oppure ancora imprenditori, commercialisti, broker, finanzieri, ragionieri, direttori di finanziarie, di agenzie e di società immobiliari, colletti bianchi di varia estrazione e provenienza.
Ciconte insiste molto nello smontare il falso mito dei poveri imprenditori vittime della mafia, poiché essi sono “collusi per scelta, non certo perché qualcuno li costringa a esserlo. La ragione di questo rapporto poggia le sue fondamenta sempre sullo stesso motivo: l’interesse economico.” L’autore, che fa nomi e cognomi, dimostra come in Lombardia la ‘ndrangheta sia presente in ogni situazione in cui girano grosse quantità di soldi. Ecco cosa dice in un’intercettazione Carlo Antonio Chiriaco, arrestato per mafia nel luglio 2010, direttore sanitario dell’Asl di Pavia e tra gli uomini più influenti di tutta la sanità lombarda:
da noi dipendono tutti gli ospedali della provincia… tutti i medici di medicina generale… i cantieri… la veterinaria… gli ospedali praticamente… siamo noi che diamo i soldi… siamo noi che controlliamo.
Un altro mafioso sostiene apertamente che a livello locale “non è importante destra o sinistra”, il proprio referente politico e istituzionale può essere chiunque. Anche un uomo dell’Arma come Giuseppe Romeo, al vertice del comando provinciale dei carabinieri di Vercelli.
L’intimidazione e il ricatto nei confronti di chi lavora per aziende legate alla ‘ndrangheta è costante. Ad esempio, i dipendenti della Perego General Contractor sono
costretti, sotto minaccia di una riduzione dell’orario di lavoro, a smaltire illegalmente i rifiuti e a non rivolgersi ai sindacati.
Un dipendente spiega inoltre che Andrea Pavone, uomo della Perego legato a diverse famiglie ‘ndranghetiste,
ci intimava a non più contattare i sindacati e per qualsiasi cosa a rivolgersi direttamente a lui. In caso contrario avrebbe indagato e preso provvedimenti, anche di licenziamento.
Un altro esempio di come la ‘ndrangheta tratta i suoi operai è il seguente: un uomo che lavorava per una ditta dei Pelle, potente famiglia ‘ndranghetista, aveva deciso di licenziarsi; i mafiosi, infastiditi da questa scelta, si impegnano a fargli intorno terra bruciata. E così l’operaio
non avrebbe mai trovato un nuovo impiego in quanto, se qualcun altro lo avesse assunto, loro avrebbero convocato il nuovo datore di lavoro e gli avrebbero riferito che l’operaio era ‘loro’ [... per cui] “se va da un’altra parte a lavorare, chi è è, dove va va, lo chiamiamo e gli diciamo: tu ti prendi l’operaio nostro? Non prende a nessuno; e chi se lo prende?”.
Gli operai come proprietà del padrone. Servi della gleba.
Il libro si chiude con un inquietante sguardo sul mondo altro, il livello nascosto fatto di capi ‘ndranghetisti, massoni e uomini dei servizi segreti. Giovanni Zumbo, commercialista legato a questo livello (e che fu amministratore dei beni confiscati alla ‘ndrangheta dal 1992 al 2007!) dice:
molte volte mi trovo a sentire… non a fare, ma a sentire determinate porcherie che a me mi viene il freddo!
E se viene il freddo a lui… Zumbo continua sostenendo che in quel livello nascosto
ci sono i servizi militari, che sono solo militari cioè non possono entrare persone che non sono militari, io faccio parte comunque di questa come esterno.
Il fatto che sconcerta di più i magistrati reggini è che Zumbo
abbia avuto la possibilità, per un prolungato periodo di tempo e con apparente totale facilità, di conoscere nel dettaglio le più importanti e delicate indagini dell’Arma dei carabinieri.
Ora, tutto questo può sembrare incomprensibile solo a chi ritiene che fra stato e mafia, e nello specifico fra stato e ‘ndrangheta, vi sia una totale contrapposizione, soprattutto sul piano strategico. Ma non è affatto così, e il motivo è chiaramente espresso dallo stesso Ciconte: la Calabria è socialmente disastrata, e
se nel recente passato non sono scoppiati moti sociali di ampie proporzioni è solo perché la ‘ndrangheta ha rappresentato un vero e proprio ammortizzatore sociale offrendo sostegno a chi ne ha avuto bisogno.
Un vero e proprio antidoto contro la rivolta sociale e la lotta di classe. Perché mai lo stato dovrebbe sbarazzarsene? Per trasformare la Calabria in una polveriera? Meglio collaborare, spartirsi la torta e gestire insieme la miseria in cui affonda la punta dello stivale.
GS
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #03
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