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Home ›La lotta di classe non muore mai... neanche in carcere
Ci pare degna di nota la notizia che riportiamo di seguito a proposito di uno sciopero (!) dei detenuti nelle carceri americane dello stato della Georgia avvenuto nel mese di dicembre per chiedere salari e condizioni di vita più dignitose. Importante perché testimonia una realtà a noi misconosciuta attraverso la lugubre cinematografia carceraria hollywoodiana dove invece - seppur in forme differenti - appare prepotentemente evidente la medesima sostanza del cosiddetto mondo libero, quella cioè fatta di sfruttamento del lavoro salariato ad opera del Capitale. Personificato in questo caso nell'apparato penitenziario (che spesso negli Usa è gestito anche dai privati).
La realtà carceraria americana è spesso divenuta negli ultimi 30 anni una sorta di “delocalizzazione” interna per alcuni segmenti del mercato del lavoro al fine di contrastare la caduta tendenziale del saggio di profitto con l'estorsione di plusvalore assoluto “facile”, come quello frutto del lavoro coatto carcerario. Ed è inevitabile per noi marxisti che prima o poi si verifichino al suo interno anche gli inestinguibili attriti di classe connessi. Come ricorda Marx, Carcere e Fabbrica nascono e si sviluppano insieme con l'affermarsi del capitalismo.
Salutiamo con piacere questo evento come anche il dato - per quanto ne sappiamo - niente affatto scontato che nonostante le profonde divisioni etniche al loro interno, la brutale repressione poliziesca, ed il parallelo intervento esterno del riformismo più variegato (religioso, etnico, civil-legalitario) e di movimenti politici borghesi in genere, i prigionieri in lotta siano riusciti a restare uniti intorno ai loro basilari interessi di “classe in sé”.
È altresì noto, ma ci teniamo a ribadirlo, che gli Usa presentano un tasso di carcerizzazione altissimo e senza precedenti nella storia - neppure nella Germania nazista, nella Russia staliniana o nell'odierna Cina - con la media di 1 persona ogni 100 sottoposta ad una qualche forma di restrizione della propria libertà (intesa in senso borghese) perché detenuti, in semilibertà vigilata o simili. Nella stragrande maggioranza i “reati”, compresi quelle contro le persone, hanno come fine il possesso di denaro in tutte le sue molteplici forme. Dato che con tutta evidenza mostra già da solo il carattere anti-sociale del capitalismo.
Nel seguito i fatti, in sintesi, ripresi dal sito blackagendareport.com.
DSSciopero storico dei detenuti della Georgia, che chiedono salari per il loro lavoro, opportunità di istruzione, assistenza sanitaria e nutrizione adeguate e migliori condizioni in generale. Gli scioperanti rimangono fermi nelle loro richieste per la pienezza dei diritti umani, anche se dopo diversi giorni molti sono usciti dalle loro celle, anche se solo per avere docce e cibo caldi. Molti di questi, tuttavia, continuano a rifiutare i loro incarichi di lavoro non retribuito e non richiesto. (...)
Si è creato all'esterno un gruppo di sostegno che include parenti, amici e una vasta gamma di sostenitori dei detenuti. Stanno cercando di avviare trattative con i funzionari degli istituti correzionali della Georgia per discutere di come alcune delle giuste rivendicazioni dei detenuti possano cominciare ad essere soddisfatte. Tra questi la NAACP ( National Association for Advancement of Colored People ), la Nation of Islam, l'Associazione Nazionale per la Riforma Radicale del Sistema Carcerario, i Verdi, e vari altri tra cui avvocati dei diritti civili, organizzazioni comunitarie di quartiere e ministri di vari culti religiosi. (...)
I detenuti si sono sollevati da soli spontaneamente, e le comunità di provenienza si sono mosse per il loro supporto. (...)
Il Concerned Coalition for Protection Prisoners Rights appoggia pienamente l'eroica sollevazione dei prigionieri della Georgia.
Questo non è Attica -- ha spiegato un rappresentante della coalizione. -- Non sono stati commessi atti di violenza da nessuno dei detenuti coinvolti. Ci auguriamo che i funzionari statali facciano altrettanto ed avviino un dialogo rapidamente.
Adesso, la palla è nelle mani dei funzionari statali dei penitenziari...
Hanno trasferito qui parecchi musulmani, oltre i normali standard -- ha detto un detenuto a Black Agenda Report questa mattina. -- Vogliono spezzare l'unità che abbiamo realizzato qui dentro. Abbiamo Crips e Bloods, abbiamo i Musulmani, abbiamo i Messicani, e abbiamo gli associati alla Fratellanza Ariana tutti in pacifica intesa e coesistenza su una piattaforma comune. Noi tutti qui dentro vogliamo essere pagati per il nostro lavoro, e vogliamo l'istruzione. C'è gente qui che non sa nemmeno leggere ... Stanno cercando di provocare la gente alla violenza qui, ma non lasceremo che questo accada. Vogliamo solo i nostri diritti umani.
I trasferimenti sono destinati a privare i gruppi della loro leadership e demoralizzarli. In alcuni casi potrebbero avere l'effetto opposto, rafforzando la volontà dei prigionieri e facendo emergere nuovi ed ancor più combattivi leader.
I prigionieri insistono sul fatto che il trasferimento punitivo è un atto di malafede, l'opposto di quello che dovremmo fare -- ha detto il reverendo Carlo Muhammad, della Nation of Islam di Atlanta. -- La coalizione li sostiene e chiede niente trasferimenti punitivi, sia all'interno dello stato tra istituti differenti, e assolutamente non al di fuori della Georgia.
I membri dell'opinione pubblica devono continuare a chiamare le prigioni sotto elencati, e il Dipartimento di correzione ed il governatore della Georgia, Sonny Perdue. Chiedete loro con fermezza e con rispetto di risolvere la situazione in modo non violento e senza misure punitive. Dite loro che credete che i prigionieri meritino i salari per il loro lavoro e l'istruzione. Chiedete loro di parlare con i detenuti e le comunità da cui provengono.
È semplice; in Georgia un adulto su dodici è in carcere, libero sulla parola, in sospensione condizionale o sotto la supervisione di un tribunale correzionale, e quindi i prigionieri siamo noi tutti. Sono le nostre famiglie. Essi sono i nostri padri, le nostre madri, i nostri figli e le figlie, i nostri nipoti e zie e zii e cugini. La maggior parte dei prigionieri torneranno in società prima, non dopo. È il momento per tutti noi di crescere e capire che inscatolamento, malnutrizione, maltrattamenti e abusi sui prigionieri non ci rendono più sicuri. Negare ai prigionieri una formazione significativa, opportunità educative e costringerli a lavorare senza stipendio non è il modo di fare.
È il momento di riconsiderare radicalmente carcere come noi lo conosciamo, e la politica pubblica americana della carcerazione di massa.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #03
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