La crisi morde e azzanna i giovani

Sulla disoccupazione giovanile

In apparenza, questa società sembra fatta su misura per i giovani e il restare giovanili (cioè, cercare di) è diventato un comandamento biblico per schiere di borghesi non più ragazzine, che, sfidando inutilmente le leggi biologiche, si fanno trasformare in esseri da far invidia alla “Creatura” di Frankenstein. Se la chirurgia plastica dà l'illusione di manovrare la macchina del tempo, le movide, i fiumi di alcool che scorrono dal tramonto all'alba, gli “eventi” di massa all'insegna dello sballo - replica ingigantita dei normali fine settimana - creano l'illusione di vivere in una specie di eterno Paese dei Balocchi. Ma anche nel nostro mondo, come in quel fantastico paese, il prezzo da pagare è quello di “mettere in pausa” l'intelligenza critica, di farsi triturare, inghiottire e digerire da un sistema che tutto riduce a merce da consumarsi il più in fretta possibile, per non ostacolare il ciclo di valorizzazione del capitale. Quasi ogni aspetto della socialità giovanile (e non solo) è stata fagocitata dalle leggi del mercato, il che, detto in altri termini, significa che senza denaro le possibilità di socializzazione si riducono all'osso, che il “tempo libero” è molto spesso condizionato/monopolizzato dai padroni del cosiddetto intrattenimento, dei divertimentifici che pullulano ovunque. Il paradosso - del tutto coerente col sistema sociale in cui si vive - è che denaro e “tempo libero”, per milioni di giovani proletari - ma anche e sempre di più piccolo borghesi - vanno per strade diverse, anzi opposte, a causa della crisi manifestatasi in maniera esplosiva nel 2007. Non siamo noi comunisti a dirlo, ma “rispettabili” istituti di ricerca della borghesia, i quali, pur tra reticenze e depistaggi, non possono fare a meno di rilevare come i giovani siano quelli che, finora, stanno subendo maggiormente gli effetti della crisi. Tra luglio e agosto, infatti, sono stati pubblicati alcuni rapporti sull'occupazione giovanile e sulla diffusione della povertà in quella fascia di età: tutti, nessuno escluso, tracciano un quadro molto nero, benché i dati non coincidano perfettamente. Per l'OCSE, nel primo trimestre di quest'anno, nel nostro bel paese di lucciole e papponi d'alto bordo, i giovani disoccupati sono cresciuti del 5% rispetto al 2007, raggiungendo così il 25,4% della forza lavoro giovanile, contro una media del 16,4% dei paese aderenti (ricordiamo che l'OCSE riunisce una trentina di paesi tra i più industrializzati). Allo stesso tempo, il 44,4% dei giovani lavoratori dipendenti ha un contratto variamente precario, in aumento del 2% rispetto a tre anni fa. Se si aggiunge che nella “avanzata” Milano l'80% circa delle nuove assunzioni (quando e se ci sono) assume la veste del contratto precario o che solo il 6% dei neolaureati ottiene un contratto a tempo indeterminato, si può avere un'idea di quanto abbondante sia il famigerato tempo libero a disposizione dei giovani proletari, ma anche, come si è appena detto, di non pochi piccolo borghesi. Ciononostante, l'OCSE, con uno spiccato senso dell'umorismo (crediamo involontario) individua in una presunta rigidità della normativa sul mercato del lavoro la causa, o una delle cause principali, del probabile ritardo nella ripresa dell'occupazione e della produttività. Dire faccia di bronzo è dire niente: con una disoccupazione giovanile oltre il 25% (ma per l'ISTAT, a luglio era al 26,8%), con la precarietà dilagante, il mercato del lavoro sarebbe ancora troppo rigido; probabilmente, per i borghesi, il contratto ideale sarebbe quello “a fischio”, come si fa con i cani: un richiamo per assumere, un altro per licenziare. Signora borghesia!, un po' di pazienza, siamo sulla buona strada. Infatti, nonostante le presunte rigidità del mercato del lavoro italiano e dei paesi “avanzati”, è proprio qui che, secondo il rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, agenzia dell'ONU), c'è stato un notevole aumento - 4,6% - della disoccupazione giovanile, anzi, il maggior incremento mai registrato dal 1991, anno in cui si incomincia questo tipo di rilevazione. A ruota, col 3,5%, seguono i paesi dell'ex impero sovietico. Complessivamente, nel mondo ci sono 81 milioni di giovani senza occupazione, cioè 7,8 milioni in più rispetto al 2007, “1,1 milioni nel 2007-2008 e 6,7 milioni nel 2008-2009”, e anche questo è un record assoluto. Per inquadrare più in dettaglio l'incidenza della crisi, basti considerare che “a titolo di paragone, nel corso dei dieci anni che hanno preceduto la crisi attuale (dal 1996-1997 al 2006-2007) il numero dei giovani disoccupati è aumentato, in media, di 191.000 unità all'anno” (citazioni dal rapporto ILO dell'11 agosto) (1). Inutile dire che in questo scenario tutt'altro che roseo, le ragazze sono le più colpite, così come, in Italia, i giovani del Meridione. Questi dati non sono destinati a migliorare gran ché: per la fine del 2010, l'ILO prevede che la disoccupazione giovanile mondiale raggiungerà il 13,1% (picco finora mai toccato), mentre nel 2011 dovrebbe scendere di poco, al 12,7%, e, in ogni caso, non ci saranno progressi significativi nella riduzione della povertà dei giovani lavoratori, che, sempre secondo l'agenzia dell'ONU, in 152 milioni devono sopravvivere con 1,25 dollari al giorno (il 25% di tutta la forza lavoro compresa tra i 15 e 24 anni).

Sebbene non in maniera così drammatica, la situazione italiana rispecchia in pieno - come in parte s'è già visto - queste tendenze mondiali. Anche qui la povertà tra giovani e bambini è aumentata, più che in altri stati dell'OCSE e, d'altra parte, non c'è da stupirsi, visto che per l'ISTAT “l'80% del calo dell'occupazione ha colpito i giovani, in particolare quelli che vivono nella famiglia d'origine” (in C. Tajani) (2).

Dunque, mentre la “società” - vale a dire le spietate esigenze del capitale - da una parte precarizza la forza lavoro giovanile, con le ovvie ricadute sul salario e, quindi, sul reddito, dall'altra alza in continuazione i limiti di età per la pensione (in Italia e nel mondo), impedendo in tal modo l'accesso a un posto di lavoro a masse crescenti di giovani proletari e degli strati sociali inferiori. Giovani a spasso nel vuoto di un “tempo libero” imposto dalla borghesia secondo i suoi criteri, anziani spremuti fino all'esaurimento psicofisico: è una contraddizione stridente, ma questo e non altro può offrire oggi il capitalismo. Senza contare che il capitalismo è fatto di contraddizioni. Come quella per cui, di fronte alla situazione sinteticamente delineata, la lotta di classe proletaria continui a marciare a un ritmo troppo basso, nonostante i sussulti dell'ultimo periodo. Le ragioni, come abbiamo detto altre volte, sono molteplici; tra queste, ce n'è una particolarmente importante, per quanto riguarda la passività giovanile, ossia il ruolo di ammortizzatore sociale primario interpretato dalla famiglia. Finché questa tiene - e la tenuta è legata all'evoluzione della crisi - la borghesia può ragionevolmente continuare a sperare che il vulcano su cui è seduta, cioè la frustrazione, la rabbia di masse crescenti di giovani, non esploda, deviandone il potenziale esplosivo nella palude dello sballo, del consumo compulsivo e cieco, della brutalizzazione fisica e intellettiva.

Ma c'è un altro elemento ancora (che però interessa tutte le età), non meno importante, vale a dire la mancanza di prospettive in un diverso modo di vivere e di un punto di riferimento classista, in grado di dare corpo e anima all'insoddisfazione, all'inquietudine sociali informi eppure presenti. Da che mondo è mondo (di classe) solo la crisi, inevitabile nel capitalismo, può scuotere molte coscienze; certo, la crisi è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per rendere credibile l'alternativa in un “altro mondo possibile”: il resto dipende da noi, da chi vuole rottamare questo antistorico sistema sociale.

CB

(1) ilo.org

(2) economiaepolitica.it

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.