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Home ›La spontaneità giovanile - Introduzione
Troppe volte, in buona o malafede (più spesso la seconda), siamo stati accusati di avere un atteggiamento snobistico, per non dire settario, nei confronti di quelle espressioni di lotta politico-sociale più o meno spontanee - in qualunque modo si manifestino - che, come tali, non presentano chiari connotati di consapevolezza politica in senso classista e comunista. L'accusa è naturalmente inconsistente, per non dire ridicola, se non altro perché in una società divisa in classi è normale che gli “uomini” (intesi come maschi e femmine) siano soggetti al condizionamento ideologico della classe dominante, che sgorga non solo dall'influenza schiacciante dei mezzi di informazione, culturali ecc. della borghesia, ma dagli stessi meccanismi sociali in cui viviamo, che, di per sé, impediscono il libero e consapevole sviluppo degli esseri umani in tutte le loro potenzialità. Ne consegue che, per forza di cose, ben difficilmente i movimenti di protesta e di rivolta possono avere coscienza compiuta del fine e del percorso necessario per raggiungerlo, tanto più quando essi sono lontani dall'avere quella omogeneità sociale che, in genere, esiste solo nelle arbitrarie interpretazioni dei nostri critici.
Il nostro partito, benché cronicamente carente di “uomini e mezzi”, non è mai venuto meno al suo lavoro politico nella classe e negli eventi magari non direttamente riconducibili alla classe, ma comunque alle contraddizioni generali della società borghese; in ogni caso, non ha mai fatto mancare la sua voce, le sue indicazioni e, se del caso, i suoi apprezzamenti nei confronti di episodi di protesta e di rivolta contro la borghesia. Apprezzamenti per lo più critici, certamente, ma questo fa parte dei doveri di un'organizzazione rivoluzionaria che non è mai stata nemmeno sfiorata dall'idea di chiudersi nel settarismo, per un malinteso senso di purezza politica, o, al contrario, di esaltare acriticamente tutto quanto viene eruttato dai sommovimenti profondi del modo di produzione capitalistico. Né, tanto meno, il nostro giudizio politico si è fondato principalmente sulla disponibilità alla lotta. Come sempre, per noi la questione principale non è la maggiore o minore “audacia”, la capacità di fronteggiare le forze dell'ordine borghese da parte dei giovai ribelli, ma quella politica. A ben guardare, infatti, ogni volta non è stata solo - o addirittura non tanto, in certi casi - la forza repressiva dello stato a spegnere le proteste, quanto la mancanza di prospettive politiche, la confusione, l'agire sotto il condizionamento di ideologie “di sinistra” che con il comunismo non avevano né hanno niente a che fare. L'esempio più drammaticamente clamoroso - in tempi recenti - è stato il G8 di Genova 2001, quando decine di migliaia di persone sono state letteralmente condotte al macello (“messicano”, secondo la definizione di un funzionario di polizia) da un guazzabuglio ideologico riformista che, a tratti, è sconfinato nella farsa irresponsabile della “dichiarazione di guerra ai potenti” delle allora Tute Bianche. Ma anche negli anni 1970, con una capacità di autodifesa dei cortei incomparabilmente superiore, l'esito non è stato meno tragico, se si pensa alla scia di sangue, di cocenti delusioni e di fatalismo rinunciatario che ha bruciato entusiasmi, energie, disponibilità all'impegno anche duro, desertificando - o quasi - i successivi trent'anni. Oggi, come allora e come sempre (almeno da decenni a questa parte) ciò che è mancato non è tanto lo “spirito” di ribellione, che sgorga spontaneo dai rapporti sociali, ma il partito rivoluzionario, sufficientemente radicato nella classe da essere in grado di elevare e dirigere politicamente i moti spontanei di rivolta - o più semplicemente di protesta - sulla via di un coerente anticapitalismo. Solo in questo modo, le lotte, le eventuali persecuzioni, i sacrifici non saranno andati sprecati, indipendentemente dalla conclusione della lotta specifica: anche una sconfitta non è sterile se lascia in eredità un patrimonio fatto di maggiore chiarezza politica, maggiore coscienza di classe e, non da ultimo, di compagni/e che vadano a irrobustire l'organizzazione rivoluzionaria, strumento indispensabile per la liberazione dell'umanità o, meglio, del pianeta dal cancro del capitalismo.
Gli articoli che seguono coprono un arco di circa cinquant'anni e sono la dimostrazione concreta di come il nostro partito si sia mosso nelle situazioni in cui la classe o i movimenti hanno scavalcato i reticolati stesi dalle forze “di sinistra” (sindacati compresi, naturalmente!) per proteggere l'ordine sociale della borghesia. Si vedrà come il, per molti famigerato nonché incompreso, rapporto spontaneità-partito sia stato, non da oggi, correttamente inquadrato.
La spontaneità giovanile e il partito rivoluzionario
I fermenti di piazza dal 1960 al 2008
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