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Home ›La marea nera, emblema di un sistema che soffoca il pianeta
La mano invisibile del mercato nel Golfo del Messico ha assunto le forme visibilissime e terribili di una enorme chiazza nera arrivata a lambire le coste di Louisiana, Alabama, Florida e il delta del Mississippi. L'esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, avvenuta il 20 aprile probabilmente a causa di una grossa bolla di metano, ha reclamato subito 11 vittime tra gli operai, di cui ben poco si è parlato, essendo la loro morte contabilizzata come mero “effetto collaterale” rispetto al business dell'oro nero. Dopo l'affondamento della piattaforma, il petrolio continua tuttora a fuoriuscire dal fondo dell'oceano al ritmo di migliaia e migliaia di barili al giorno (1). I danni già arrecati al fragile ecosistema locale, un ambiente di straordinaria bellezza e fascino che ospita specie rare e in via d'estinzione, sono praticamente irreversibili.
Ma la tragedia non si è affatto conclusa, ed anzi il peggio lo verificheremo nelle prossime settimane, perché la verità è che nessuno ha ancora idea di come bloccare o almeno contenere le perdite. Mentre scriviamo la British Petroleum, titolare della concessione petrolifera, sta calando una enorme cupola sulla perdita principale che fluisce dal tubo spezzato che collegava il pozzo alla piattaforma affondata. Ma una operazione del genere, che neanche secondo le ipotesi più ottimistiche potrà essere risolutiva, non è stata mai tentata. Appena dopo averla posata, purtroppo, s'è reso necessario spostare la cupola a causa degli idruri di metano che fuoriescono dal fondale, a 1500 metri, e rendono inutilizzabile la mega-struttura in cemento e acciaio alta 12 metri (2).
Ad un mese dall'affondamento quindi - oltre ad alcuni incendi controllati - l'unico intervento attuato è stato lo spargimento di sostanze chimiche che sciolgono il petrolio e lo spingono a depositarsi sul fondo. Si tratta di migliaia e miglia di litri di detergente (“come quello per i piatti”, secondo le parole di BP) che a lungo andare provocheranno effetti probabilmente peggiori del petrolio stesso. Serviranno più che altro a rendere meno visibile la sciagura. Ma anche da questo punto di vista c'è da credere che i risultati siano deludenti, visto che tutte le immagini satellitari sono segretate da giorni, ed è stato anche impedito a tutti i natanti locali di prendere il largo e poter osservare la situazione (3).
La mano invisibile del mercato, dicevamo. Infatti è chiaro che alla base di questo “incidente” c'è innanzitutto il contrasto tra la ricerca del massimo profitto privato e l'interesse collettivo, la salvaguardia dell'ambiente naturale - bene comune per eccellenza. Di fronte ai costi per la messa in sicurezza degli impianti, si è preferito il rischio “accettabile” di qualche possibile incidente. E il rischio, dopo gli incidenti spesso mortali che quasi quotidianamente si verificano sulle piattaforme di tutto il mondo, si è fatalmente tramutato in una enorme catastrofe, tanto terribile quanto prevedibile.
Oltre alla probabile arrogante fiducia nella capacità tecnica di gestire situazioni in realtà ignote, c'è stata infatti una costante e palese tendenza all'allentamento dei vincoli di sicurezza, in funzione della riduzione dei costi. Tra i tagli effettuati, anche il cosiddetto “interruttore acustico”, che forse avrebbe permesso di chiudere in extremis la valvola nel pozzo, che invece è risultata bloccata e non funzionante come tutti gli altri sistemi installati sul fondo dell'oceano. Sotto le forti pressioni della lobby petrolifera, in uno studio del 2003 proprio a riguardo dell'“interruttore acustico” lo US Mineral Management Service sanciva che “questi sistemi non sono raccomandati perché tendono a essere troppo costosi” (4). A seguito di quest'ultima catastrofe, Obama ha infine dovuto fare marcia indietro sui permessi di esplorazione e perforazione lungo tutte le coste degli Stati Uniti, ambito in cui si era finora risolutamente allineato con le politiche della precedente amministrazione. (I politicanti nostrani, nel frattempo, hanno pensato bene di autorizzare proprio in questi giorni trivellazioni in diversi punti, tra cui il Golfo di Taranto, le coste di Monopoli e le isole Tremiti (5).)
Ma oltre alla bramosa ricerca di profitti ad ogni costo, resa certo più cieca della crisi globale, c'è anche altro. Secondo Mattew Simmons - noto esperto del settore, consulente di George W. Bush, membro del National Petroleum Council e del Council on Foreign Relations - il problema è che il petrolio “facile” lungo le coste della Louisiana e del Texas si sta esaurendo. Le compagnie reagiscono alla situazione con uno sforzo tecnologico alle soglie dell'impossibile. Proprio la Deepwater Horizon - impianto mobile e semi-sommergibile, per resistere meglio alle correnti marine e ai frequenti uragani - era una delle piattaforme più all'avanguardia nelle trivellazioni offshore ultra-profonde, quelle cioè che superano i 1.500 metri di profondità. Alla fine dell'anno scorso questa piattaforma aveva consentito a Bp di identificare il giacimento gigante di Tiber, scavando il pozzo sottomarino più profondo di tutti i tempi, alla profondità record di oltre 10 chilometri dal livello del mare. Il pozzo su cui operava ultimamente era pure ad alto rischio:
“Fatalmente, l'impianto Deepwater Horizon della Bp era fra i più tecnologicamente avanzati che ci siano. Però non pescava soltanto sotto a 1,6 chilometri di mare, ma si spingeva per altri 3,5 chilometri sotto la crosta terrestre: il profilo di rischio era altissimo, bisogna ammetterlo (6).”
Siamo quindi in presenza dell'azione simultanea di concause sistemiche e scellerate colpe individuali che si sommano e alla lunga non possono che produrre effetti devastanti. La crisi sta soffocando il sistema capitalista. La difficoltà globale di reperire fonti energetiche accessibili a basso costo aumenta le spese in capitale costante e aggrava la situazione complessiva. Le tecnologie per l'utilizzo di fonti energetiche alternative non sono state finora studiate e sviluppate a sufficienza, ed inoltre per essere installate richiedono decine di anni. Le pressioni, gli interessi industriali e finanziari che gravitano attorno all'industria estrattiva di petrolio e gas sono quindi enormi, e passano sopra ad ogni altra considerazione.
Il solo pianeta che abbiamo è in mano a criminali senza scrupoli, che in ogni caso agiscono in base a regole che li sovrastano. Verrebbe voglia di gettarli tutti a mare, magari proprio in quella enorme chiazza oleosa che hanno generato. Ma, dovunque gettiamo questa spazzatura della storia, è urgente che ci liberiamo della cricca borghese e delle regole del suo mercato, per cominciare a gestire direttamente noi lavoratori la produzione e l'intera società, per i nostri bisogni e non per i profitti di pochi, secondo un utilizzo razionale del nostro lavoro sociale, delle risorse disponibili e nel rispetto dell'equilibrio ambientale.
Mic, 2010-05-10(1) In una ventina di giorni sono stati probabilmente diffusi 15-20 milioni di litri di petrolio, ma pare che neanche i tecnici sappiano in realtà quantificare il flusso. Dall’osservazione del video della fuga di petrolio dal fondale del Golfo del Messico, alcuni esperti hanno poi valutato che il flusso fosse circa 12 volte superiore alle prime stime. La cifra di 70 mila barili/giorno è vicina alle peggiori previsioni fatte nei giorni precedenti, basate sulle caratteristiche del giacimento e del pozzo. Il sito Boston.com ha pubblicato una serie di foto che descrivono le dimensioni del disastro ben meglio di qualsiasi cifra.
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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