I “mercati” si avventano sul proletariato greco

Intensificare la lotta di classe, costruire il partito della rivoluzione: l'unica concreta risposta

Com'era stato ampiamente annunciato, sul proletariato e su ampi settori della piccola borghesia si è abbattuta la mazzata che accompagna le misure di salvataggio dei conti pubblici, messe a punto dall'Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale.

Centodieci miliardi di euro in tre anni (ottanta dall'UE, trenta dal FMI) al cinque per cento di interesse che dovrebbero mettere al riparo la Grecia dal fallimento e arrestare l'ondata speculativa contro l'euro (ispirata dagli USA?). Ma niente è certo, nell'epoca in cui la finanza speculativa e i suoi giochi truffaldini dettano legge all'economia mondiale. Anzi, molti temono il contagio, lo scivolamento, in parte già in corso, di altri stati verso l'avvitamento e il crack dei bilanci statali.

E' noto il percorso che ha portato alcuni regioni d'Europa sull'orlo della bancarotta, lo stesso, nella sostanza, che ha fatto prima gonfiare e poi esplodere la bolla dei subprime negli Stati Uniti, un meccanismo che ha dato l'illusione di poter eludere il processo di produzione della ricchezza reale, basandosi sulla promessa di un ricchezza di là da venire: il credito facile e, dunque, il debito facile. E' stata - ed è - la presunta alternativa del cosiddetto neoliberismo a un saggio del profitto non sufficientemente adeguato agli investimenti necessari per far marciare il processo complessivo dell'accumulazione capitalistica. Ecco allora la speculazione, l'aumento enorme del consumo finanziato ipotecando case e redditi futuri, la falsificazione spudorata dei conti pubblici e delle grandi istituzioni finanziarie, accompagnati da una crescente pressione (sfruttamento) sulla forza-lavoro. Ma tutto questo non ha fatto altro che alimentare il circolo vizioso della finanza speculativa, della ricchezza fittizia, senza rilanciare l'economia reale, fino alla resa dei conti, inevitabile.

Ancora una volta, però, né poteva essere diversamente, chi pagherà il conto non sono le grandi banche, i fondi di investimento, le agenzie di rating (“i mercati”), che hanno deliberatamente ordite gigantesche truffe contro lo la Grecia e altri stati, li hanno portati all'indebitamento per speculare, in seguito, sul debito medesimo. Come Obama ha trasfuso fiumi di denaro nelle banche americane, così l'UE e il FMI stanziano una montagna di soldi a favore degli stessi “lupi di borsa” detentori dei titoli greci e responsabili, assieme ai governi loro complici, della bufera che si è scatenata sulla Grecia e incombente sui cosiddetti P.I.I.G.S. La Merkel, nonostante le esitazioni elettoralistiche, in realtà non si è mai sognata di lasciare sotto il temporale gli istituti finanziari tedeschi, esposti per qualche decina di miliardi di euro nel debito ellenico, e, forse le sue esitazioni pubbliche avevano anche lo scopo di alzare i rendimenti dei titoli di Atene e riformulare, a favore della Germania, i criteri di permanenza nell'area euro. Certo è che la “solidarietà” europea nei confronti della Grecia è tutt'altro che disinteressata, visto gli interessi che Atene dovrà versare.

Dall'altra parte della barricata, invece... taglio o drastica diminuzione di tredicesima, quattordicesima e congelamento fino al 2014 degli aumenti di stipendio per gli statali, innalzamento dell'età pensionabile, procedure di licenziamento più veloci, aumenti delle imposte su molti generi di largo consumo. Provvedimenti che si aggiungono ai licenziamenti, alla cassa integrazione, alla disoccupazione, alla precarietà e al lavoro nero che, come in Italia, ha dimensioni imponenti.

La durezza delle misure ha spinto in piazza - e per fortuna! - centinaia di migliaia di lavoratori, di giovani, di studenti, mobilitati sia dagli scioperi indetti dalle diverse centrali sindacali, che dall'iniziativa, per lo più autonoma, di settori giovanili politicizzati. Mercoledì 5 maggio, durante lo sciopero generale di quarantotto ore, gruppi di manifestanti sono arrivati ad “assediare” per un po' di tempo il parlamento, massicciamente presidiato dalla polizia, mentre gli scontri in un'altra parte di Atene sono sfociati nelle tragedia, con la morte di tre persone, impiegate di una banca incendiata da un lancio di bottiglie molotov. Le forze dell'ordine borghese ne hanno approfittato per intensificare la repressione, specialmente nel quartiere di Exarchia, ricco di centri sociali. Se, però, stando a certe fonti di informazioni alternative, le vittime erano al lavoro con gli altri colleghi, perché costretti a disertare lo sciopero, pena il licenziamento, in un locale, per altro, privo delle più elementari norme di sicurezza, e, per di più, l'attacco è stato orchestrato da gruppi neonazisti, allora a chi si deve ricondurre la responsabilità della tragedia?

Diversi commentatori paragonano la situazione greca con quella argentina del dicembre 2001. Indubbiamente, somiglianze ce ne sono, ma anche diversità. C'è però un'altra analogia con l'Argentina, che ben pochi vedono o hanno interesse a vedere ossia la mancanza di un'organizzazione rivoluzionaria - il partito – in grado di captare le spinte multiformi provenienti dalla classe, la sua rabbia, la sua generosa determinazione alla lotta, e di dirigerle su di un percorso coerentemente anticapitalista. Solo dalla saldatura dialettica tra masse in movimento e direzione politica rivoluzionaria scaturisce la possibilità concreta di scardinare i meccanismi economico-sociali, e dunque politici, della società borghese. In caso contrario, la generosità, la disponibilità al sacrificio, anche estremo, sono destinate a scomparire come acqua nelle sabbie del riflusso, prima o poi inevitabile: gli sporadici - finora - gruppi di lavoratori che, qui e là, hanno agito autonomamente dai sindacati, rientreranno nell'alveo dei sindacalismo, magari “alternativo”, e la repressione statale farà il resto. L'Argentina si è risollevata, almeno in parte, dal tracollo proprio perché è mancato uno dei due elementi fondamentali del processo rivoluzionario. Le istituzioni borghesi hanno resistito all'onda d'urto delle pur radicali proteste di piazza, garantendo in tal modo che il meccanismo di estorsione del plusvalore, mai interrotto, riprendesse con maggior vigore: precarietà, intensificazione dei ritmi di lavoro, giro di vite su salari e pensioni.

Per evitare che lo stesso possa accadere in Grecia, e altrove, occorre che il proletariato, sfruttato e spolpato, metta in campo lotte diffuse e determinate, come i lavoratori greci hanno già coraggiosamente e caparbiamente cominciato a fare, lotte che superino, però, i limiti del sindacalismo in cui ancora prevalentemente si muovono. Ma occorre anche che dalla dinamica generale della lotta di classe emerga per tempo una avanguardia politica organizzata che abbia appreso le lezioni del passato, delle vittorie parziali e delle sconfitte storiche. Sarà necessario che questa avanguardia faccia i conti con le deformazioni del riformismo più o meno radicale, che in veste stalinista, trotskista, anarchica ecc. diffonde l'illusione che la crisi sia superabile con una guida statale, da un verso, o cooperativa, dall'altro, delle imprese, senza rivoluzionare l'intero sistema produttivo, senza eliminare il denaro, il mercato, il profitto e lo sfruttamento, senza che il proletariato prenda tutto il potere nelle sue mani e cominci a gestire direttamente, in libera associazione, la produzione e l'intera società. La costruzione, il radicamento di una tale avanguardia di classe a scala nazionale e internazionale - che si organizzi non come un partito di governo, in sostituzione della classe, ma come un partito di agitazione e di direzione politica sulla base del programma rivoluzionario - è un passaggio essenziale lungo il percorso difficile, ma ineludibile, della presa di coscienza collettiva sulla necessità di farla finita con il mondo della borghesia e della realizzazione dal basso di una società finalmente libera.

CB, 2010-05-09

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.