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Home ›Settimana corta, salari ridotti - Per i lavoratori oltre al danno la beffa del ricatto
Al ministro Sacconi stanno a cuore i posti di lavoro. Improvvisamente, nel bel mezzo della crisi economica, le dichiarazioni del ministro suonano come un accorato grido di dolore a favore di chi vede il suo posto di lavoro messo in discussione o completamente eliminato. In sintesi, nel suo progetto, si propone di ridurre la settimana lavorativa (tre o quattro giorni lavorativi e gli atri di cassa integrazione) e/o di contrarre i salari con i contratti di solidarietà della giusta percentuale, evitando così lo spettro del licenziamento con tutte le conseguenze che la drastica misura comporterebbe.
La manovra con tutta la ridondante enfasi del caso, vorrebbe apparire come la migliore soluzione possibile che questo governo può mettere in campo a salvaguardia degli interessi del mondo del lavoro. Come dire che è meglio avere poco che niente. Che lavorare meno a salari ridotti è di gran lunga più vantaggioso che essere licenziati. Il discorso non è nuovo, è stato recitato con la stessa enfasi riguardo ai contratti a termine “meglio avere un posto di lavoro a tempo determinato che restarsene a casa, meglio lavorare tre mesi che restare senza uno straccio di contratto per tutto l'anno, meglio mettere sotto i denti un tozzo di pane secco che ingoiare saliva ecc..”. Il tutto giustificato dall'emergenza della crisi che, si sottolinea, non è soltanto nazionale ma internazionale, che tutto stravolge e rende più difficile. Altri governi, sembra di sentire la voce di Sacconi in sottofondo, sarebbero ricorsi ai licenziamenti selvaggi, noi no, con senso di responsabilità mettiamo al primo posto la salvaguardia del posto di lavoro quale priorità sociale irrinunciabile. La manfrina borghese è ben recitata ma mostra la corda anche per l'osservatore più disattento. Si chiamano in causa gli effetti devastanti della recessione economica come se la crisi fosse una sorta di maledizione divina o un evento naturale catastrofico imprevedibile e non il frutto perverso delle inconciliabili contraddizioni del sistema capitalistico.
Le crisi sono endemiche al capitalismo come la certezza della morte per il genere umano. Indipendentemente dalle cause che le pongono in essere, non c'è sviluppo dei rapporti di produzione capitalistici senza che si producano sconquassi economici che il proletariato è chiamato a pagare nelle forme e nei modi che la gravità della crisi impone.
Il prezzo è sempre lo stesso. Per quanto pontifichi Sacconi si prevedono dai 600 ai 900 mila posti di lavoro in meno a partire da gennaio 2009. La casa integrazione è già aumentata di oltre il 250%. Nel frattempo decine di migliaia di lavoratori a tempo determinato non sono stati riassunti e altrettanti stanno per essere licenziati entro la fine del mese.
Quando il capitale entra in crisi non può che attaccare la forza lavoro sia sul terreno del licenziamento secco che su quello della contrazione dei salari.
La proposta Sacconi eludendo il primo dei problemi entra nel merito del secondo avendo ben presente, non il mantenimento del posto di lavoro, ma le esigenze economiche delle imprese in crisi. Nessun capitale può permettersi il lusso di continuare a produrre merci se non ci sono sbocchi sul mercato. Nessuna impresa in crisi, pur riducendo la produzione, può permettersi il lusso di pagare i salari come prima.
Molto meglio, quindi, ridurre la produzione e decurtare i salari del 30 - 40% contrabbandando il tutto come una soluzione che va in favore dei lavoratori che altrimenti perderebbero il loro posto di lavoro cadendo nel baratro della disoccupazione. Il punto di partenza e di arrivo di queste manovre è sempre e solo l'interesse del capitale, delle sue priorità contingenti e di prospettiva, della sua sopravvivenza nella fasi di crisi.
Ai proletari rimane il solo ruolo di pagarne i conti in termini di licenziamenti e di decurtazioni salariali comunque camuffati.
Ma oltre al danno economico c'è la beffa del ricatto. Prendere o lasciare, o si accetta di lavorare meno riducendo i salari, oppure tutti casa, tanto c'è la fila sempre più lunga di disperarti pronti ad accettare un orario ridotto e un salario ancora più basso.
Questo è, al dunque, il caritatevole contenuto della proposta Sacconi. La sinistra istituzionale e i sindacati cosa dicono? Dicono che va bene con la sola postilla di estendere le misure salva posto anche ai precari, ovvero a quei lavoratori atipici che sono stati creati con l'avallo delle sinistre, Rifondazione compresa, e dei Sindacati. Non una parola sulla già avvenuta contrazione del potere d'acquisto dei salari, sulla difficoltà delle famiglie di arrivare alla fine della terza settimana e sul drammatico fatto che il 50% dei nuclei familiari con reddito da lavoro dipendente oscilla sulla linea della povertà.
Per Epifani e Cremaschi il dato obiettivo con cui misurarsi è la crisi, le difficoltà del capitale a valorizzarsi, quindi ben venga la soluzione Sacconi alla sola condizione di estenderla a tutti e non solo ai lavoratori cosiddetti garantiti.
Non una parola sul mantenimento e sull'incremento dell'istituto della precarietà. Tante chiacchiere, invece, sulle modalità di attuazione della misura, sul reperimento dei fondi necessari a metterla in atto, tanto poi saranno costretti alla firma come in tutti i casi precedenti di attacco ai salari e alla condizioni di vita dei lavoratori..
Quando il capitale chiama la risposta arriva sempre da parte dei cosiddetti difensori dei lavoratori È successo con la cancellazione della scala mobile, con la creazione dei contratti atipici, con la varie politiche dei sacrifici.
Anche questa volta arriverà, anzi sta già arrivando. La crisi è solo agli inizi , il peggio deve ancora venire e per i lavoratori saranno solo lacrime e sangue. È ora che il proletariato rialzi la testa contro le compatibilità della crisi, contro le manovre economiche del governo, contro l'imbelle politica dei Sindacati.
È l'ora del rafforzamento del partito di classe quale unica condizione per il superamento dello stato di stallo in cui giace la lotta di classe.
fdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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