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Home ›Morto un operaio all’Ilva di Taranto
Ogni giorno nel mondo seimila lavoratori non tornano a casa
Continua la tragica sequenza di infortuni mortali sul lavoro. Uno degli ultimi cosiddetti “incidenti” è avvenuto all’Ilva di Taranto, già teatro di parecchi altri episodi simili.
Questa volta è toccato a un operaio albanese di 47 anni. Il 22 aprile è caduto da un’altezza di 15 metri mentre lavorava a delle strutture metalliche su una passerella. Secondo le dichiarazioni di alcuni colleghi, l’operaio stava lavorando sul ponteggio da 12 ore consecutive.
Il giorno dopo, al primo turno, i lavoratori delle ditte appaltatrici hanno bloccato i cancelli della portineria imprese, organizzando una protesta spontanea e immediata. Ma questa prima protesta rischia di rimanere puramente simbolica, se non avrà un seguito ed una estensione.
Infatti la situazione nei cantieri è estremamente grave. In una intervista pubblicata sul sito giornalettismo.com , un operaio dell’Ilva riferisce di condizioni contrattuali precarie, ricatti più o meno palesi, nessuna considerazione per la sicurezza dei lavoratori.
È quella delle ditte [appaltatrici] la situazione peggiore. L’operaio morto era uno di quelli che hanno contratti precari, ad esempio da 3 mesi + 3.
A proposito di imbracature e dispositivi di sicurezza:
[L’operaio caduto] non aveva la cintura di sicurezza. Non so però se non l’aveva avuta dall’impresa o non l’aveva messa lui, per mettersi in luce con i capi, così magari gli rinnovano il contratto... Se tu chiedi, loro hanno l’obbligo di darteli... però se tu non chiedi, loro risparmiano.
Il meccanismo naturalmente gira tutto attorno alla realizzazione dei massimi profitti per l’azienda, ed in questo meccanismo hanno un ruolo fondamentale i capi-reparto:
C’è un capo reparto. Lui non ha uno stipendio fisso, guadagna secondo la produttività annuale del suo reparto. [In sostanza...] meno spende, più prende. [Inoltre...] quando ci sono degli infortuni, se li denunci, devono essere pagati. [Quindi...] cercano di non farti denunciare l’infortunio!
Ci sono gli Uffici Sil (sicurezza sul lavoro), operai dell’Ilva [pagati dall’azienda] che fanno questo tipo di mestiere. Ma i controlli sono solo al primo turno, di mattina. Loro passano per i vari reparti - a meno che non sappiano già che lì è “meglio non andare” - e dicono all’operaio che deve smettere di lavorare perchè non è assicurata la sua incolumità. Però poi i Sil a fine turno vanno via e quando arrivano gli operai del secondo turno o quelli di notte, quel lavoro è ancora lì in attesa di essere terminato, senza che nessuno possa impedire loro di compierlo.
In un’altra intervista, rilasciata a Radio Onda Rossa, un altro operaio sottolinea come manchi ogni informazione sui rischi legati al lavoro. A causa di un ricatto occupazionale altissimo, soprattutto nelle ditte appaltatrici, gli operai raramente si rifiutano di lavorare, anche fuori dalle condizioni di sicurezza.
Inoltre manca ogni coscienza di classe e sono diffuse la rassegnazione e l’apatia, anche a causa dell’operato dei sindacati, che si guardano bene dall’organizzare lotte vere, intenti piuttosto a raggiungere compromessi e accordi con l’azienda. La partecipazione allo sciopero nell’Ilva, il giorno successivo a quello nelle ditte, è stata piuttosto bassa.
Comunque raramente nell’azienda, che conta 12 mila operai, agli scioperi aderiscono più di 1000-2000 operai.
L’intervista si conclude con un comprensibile sfogo nei confronti dei colleghi:
Vale più la produzione che la vita di un essere umano... In una situazione del genere, come fai a stare tranquillo?
Non si può infatti assolutamente stare tranquilli. Il Primo Maggio (!) si è verificato l’ennesimo incidente, questa volta per fortuna non fatale per i quattro operai coinvolti. Riporta la Repubblica:
Durante la fase di colata dalla siviera si è staccato un crostone che, cadendo nell’acciaio liquido ad altissima temperatura, ha provocato la fuoriuscita di parte dello stesso liquido che ha investito i quattro lavoratori.
Ma la situazione dell’Ilva non è affatto una eccezione. Nella stessa tragica giornata del 22 aprile, ci sono stati altri 5 morti sul lavoro. A Frosinone un operaio di 44 anni, sposato e padre di due figli, è morto mentre lavorava alla ristrutturazione del tetto di una casa; è precipitato da un’altezza di oltre otto metri, mentre era su una scala senza imbracatura. A Padova due fratelli sono rimasti folgorati toccando dei cavi dell’alta tensione con il braccio di una idropulitrice, mentre pulivano un camion cisterna. A Ferrara un operaio bosniaco di 21 anni, che lavorava alla costruzione di un sovrappasso ferroviario, è morto investito da un Eurostar; pare che il giovane fosse al primo giorno di lavoro. Alla Fincantieri di Monfalcone, un operaio croato di 41 anni, che lavorava per una ditta appaltatrice, è morto schiacciato da un macchinario. E, sempre nello stesso giorno, infortuni gravi si sono verificati a La Spezia, dove un operaio ha avuto braccio stritolato da una impastatrice, a Salerno, sempre in un cantiere edile, e a Bergamo, dove un autista, investito da un muletto, ha subito l’amputazione di una gamba.
A livello mondiale, i numeri sono quelli di una vera e propria carneficina. Secondo L’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), il numero dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro e malattie professionali in un anno è pari a circa 2.200.000: 6000 morti al giorno!
Le morti causate da malattie professionali (in particolare dovute a contatto o inalazione di sostanze nocive e cancerogene) sono diluite nel tempo, potendo verificarsi a decine di anni di distanza, e per questo difficili da quantificare.
L’ILO stima che in questo modo perdano la vita ogni anno più di 438.000 lavoratori. Solo l’amianto è responsabile della morte di almeno 100.000 persone l’anno, più di 5000 solo in Italia. E anche la silicosi, che alcuni ritengono a torto un problema dei tempi andati, continua a mietere vittime.
Compagni, lavoratori, il capitalismo in crisi non ci riserva altro che barbarie. La fame di profitti richiede sacrifici in busta paga, condizioni di lavoro peggiori. Ma al capitale il sudore spesso non basta.
Pretende sangue. Il serial killer, feticista del profitto, ha licenza d’uccidere. In parlamento e in tribunale, gli assassini che siedono nei consigli di amministrazione trovano i loro complici di classe.
Solo la lotta di classe proletaria può porre fine a questo stato di cose. Solo una organizzazione sociale e produttiva fondata sui bisogni dell’uomo e non sul profitto potrà finalmente garantire sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.
MicBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2008
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