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Governo, padroni e sindacati s’apprestano a confezionare una stangata per i lavoratori
l primo contratto sociale, quello del luglio del 93, firmato dal padronato e dai sindacati, aveva come obiettivo il contenimento del costo del lavoro, la moderazione rivendicativa, la politica dei sacrifici per mettere in condizione il capitalismo italiano di galleggiare all’interno del procelloso mare della competizione internazionale.
Dopo quindici anni da qual funesto luglio 93, il proletariato italiano si è trovato ad essere il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda il livello dei salari. Secondo i dati di più Osservatori statistici internazionali, l’Italia si trova al 23 posto per l’ammontare delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti.
Ad esempio, nell’industria manifatturiera le imprese italiane hanno mediamente un costo di 33 mila euro l’anno per dipendente. In Francia il costo è di 43 mila, in Danimarca di 45 mila e in Germania di 55 mila. Nel settore dei trasporti il costo unitario per addetto è di 38 mila euro in Italia, 51 mila della Francia, 71 mila della Germania e solo la Spagna è inferiore, anche se di poco, con 37 mila.
Le cose non cambiano, anzi si aggravano, se i conteggi si fanno sulle retribuzioni lorde. Sempre in Italia la retribuzione è mediamente pari a 14 euro l’ora lavorativa, indietro di ben 10 euro rispetto alla Germania e ad altri paesi dell’Europa centrale e di cinque nei confronti d’Inghilterra e Irlanda.
Lo stesso discorso vale per il potere d’acquisto dei salari. La forza lavoro italiana è quella che risente maggiormente del livello dei prezzi. Non a caso la sindrome della quarta settimana è ben presente all’interno delle famiglie dei lavoratori che hanno un potere d’acquisto inferiore a tutti i paesi europei, Spagna, Portogallo e Grecia compresi.
Sul fronte delle retribuzioni nette, al di fuori cioè di tasse e contributi, il tartassato proletariato italiano continua ad occupare le ultime posizioni.
Rispetto ai 53 mila euro annui di una famiglia tedesca e ai 48 di una francese, quella italiana non supera i 35 mila euro.
Nello stesso periodo la borghesia italiana ha attaccato anche il salario indiretto mettendo in atto la riforma delle pensione, della sanità, in concomitanza di un significativo aumento dei costi dei servizi. Ma non basta. La recente crisi economica, le cui devastanti conseguenze sono ancora tutte da calcolare, pone all’ordine del giorno una nuova ondata di sacrifici per i produttori di plusvalore. I magri saggi del profitto, l’esplosione della bolla speculativa, la pesante ricaduta sulla già debole struttura dell’economia reale, sono alla base della nuova stagione di lacrime e sangue per il proletariato italiano.
In tempi rapidi lo Stato, i Sindacati e la classe imprenditoriale hanno già abbozzato i contorni di quello che sarà il nuovo patto sociale, ovvero hanno prefigurato lo schema entro il quale dovrà prodursi il nuovo e più efficiente meccanismo di sfruttamento della forza lavoro alla luce delle sempre più pressanti esigenze di sopravvivenza dei rapporti di produzione capitalistici. Tre sono i punti cardine attorno ai quali ruota la proposta di riforma del rapporto tra capitale e forza lavoro.
Il primo riguarda la modificazione della composizione del salario. Il progetto prevede che la parte salariale fissa si contragga il più possibile, legando quella variabile all’aumento della produttività.
In altri termini una quota rilevante del salario dovrà essere legata ai profitti del capitale, altrimenti gli aumenti delle retribuzioni resteranno al palo senza muoversi di un centesimo. O il capitale realizza profitti sulla base di una maggiore produttività, in pratica in virtù di un aumento dello sfruttamento, o per i lavoratori, come per i gatti, non c’è trippa da masticare. Va da sé che la nuova composizione del salario, per essere efficace ed efficiente, deve essere oliata da un automatismo ferreo che scatti in sincronia con l’andamento del ciclo di produzione, senza alcun tipo di contrattazione, in una sorta di automatico adeguamento verso il basso del salario a sostegno di un non adeguato aumento dei profitti.
Il secondo riguarda il nuovo modello contrattuale con il potenziamento della contrattazione al secondo livello, relegando i contratti nazionali alla “difesa del potere d’acquisto” imperniato sulla strumentale definizione di un’inflazione realisticamente prevedibile. La manovra è sin troppo evidente. L’obiettivo è quello di consegnare il mondo del lavoro nelle mani del capitale chiudendo le trattative all’interno della singola unità produttiva dove il confronto tra capitale e lavoro è tutto a vantaggio dell’imprenditore e a discapito dei lavoratori, non fosse altro che per lo smembramento del mondo del lavoro nei confronti del capitale e per la più facile ricattabilità da parte degli imprenditori.
È il modo migliore per isolare il lavoratore nel momento della contrattazione.
Se poi si pensa che nella realtà produttiva italiana, in molte piccole e medie fabbriche, non c’è nemmeno la formale presenza sindacale, si ha il senso dell’innovazione contrattuale e dei suoi negativi effetti per i proletari.
Il terzo che è fraudolentemente presentato come una concessione ai lavoratori e riguarda la defiscalizzazione degli straordinari e di tutte le voci del salario variabile. In realtà la manovra è a vantaggio, ancora una volta, del capitale che vede abbassarsi il costo del lavoro.
L’onere dell’operazione è accollato allo Stato, alla comunità sociale, ovvero ai produttori di plusvalore che rappresentano quota parte consistente delle entrate fiscali, senza intaccare il capitale che ne rimane esente. In più, è prevedibile, che le minori entrate da parte dello Stato saranno compensate da un minore esborso di finanziamenti alle Regioni e alle Province che, a loro volta, faranno pagare più cari ai lavoratori stessi i servizi che erogano, aumenteranno le tasse, chiudendo il cerchio in una sorta di partita di giro.
A tutto questo va sommato l’attacco precedente nei confronti dei lavoratori dipendenti. Nel nuovo patto sociale è compreso tutto l’armamentario della legge 30. Contratti atipici, precarietà, flessibilità, lavoro interinale ecc. che penalizzano i proletari nel rapporto lavorativo, nelle loro condizioni di vita e li costringono ad accettare il prolungamento della giornata lavorativa imposta dagli straordinari, per arrivare alla fine del mese e pur di mettere insieme, in qualche modo, il pasto con la cena.
Il capitale non concede sconti, non è nella sua natura predatrice, tanto meno quando i morsi della crisi lo rendono più famelico.
fdBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2008
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