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Home ›L’annunciata caduta del governo Prodi
Alle elezioni per eliminare qualsiasi opposizione
Il governo Prodi è miseramente caduto e altrettanto miseramente è fallito il tentativo del presidente del senato Marini di dar vita a un governo “istituzionale” con il compito di riformare la legge elettorale e di portare subito dopo il paese alle elezioni. Alle elezioni si andrà invece con la legge elettorale in vigore nonostante sia ritenuta da tutti, compresi i suoi estensori, una cattiva legge anzi - come ebbe modo di definirla a suo tempo il leghista Calderoni, uno dei suoi estensori - una “porcata”. Questa incoerenza potrebbe far supporre che questa crisi sia il frutto dei soliti giochi parlamentari, il solito scontro fra le forze politiche che si contendono il governo del paese e che sfruttano ogni occasione buona per volgere le cose a proprio vantaggio.
Anche la cronaca parlamentare sembrerebbe confermare questa lettura. Il ministro della giustizia, Mastella, che l’ha causata facendo venir meno la fiducia del suo partito al governo, sarebbe infatti giunto a questa decisione perché sua moglie è stata rinviata a giudizio per tutta una serie di reati commessi nello svolgimento delle sue funzioni in qualità di Presidente del Consiglio Regionale della regione Campania.
Probabilmente c’è anche questo, ma visto il personaggio e la sua nota abilità a muoversi nella bassa cucina della politica nazionale, la cosa, in verità, appare alquanto inverosimile non fosse altro perché con la caduta del governo Prodi, Mastella ha perduto la poltrona di Ministro della Giustizia da dove avrebbe con più facilità potuto rintuzzare il colpo infertogli dalla magistratura.
In realtà, si rischia di capire poco di questa crisi se non la si colloca nello scenario più ampio della crisi economica e sociale in cui il sistema Italia - e non solo - si dimena da anni. Inizialmente è stata la scala mobile ad essere indicata come l’origine di tutti mali perchè che faceva crescere i salari nominali più del tasso di inflazione generando così altra inflazione; poi il sistema pensionistico, e poi ancora il mercato del lavoro troppo rigido, il sistema sanitario troppo costoso, infine le tasse troppo alte a carico delle imprese.
Ma ora si scopre che nonostante la scala mobile sia sta abolita da un pezzo, le pensioni siano state dimezzate, ridotta la copertura sanitaria e alle imprese sia stata concessa la completa deregolamentazione del mercato del lavoro con annesse flessibilità e precarietà senza limiti e la libertà di licenziamento, che il sistema Italia, come peraltro l’intero sistema capitalistico mondiale, non solo non ha superato la crisi, ma questa, come un cancro, ha metastatizzato l’intero sistema economico e finanziario minacciando di esplodere da un momento all’altro.
Sta emergendo, cioè, che lungi dal costituire una terapia, queste riforme erano il solo mezzo che garantisse la sopravvivenza del sistema. Soltanto attaccando in permanenza le condizioni di vita del proletariato, degli strati sociali più deboli a esso assimilabili e ora anche di fette crescenti della piccola borghesia il sistema può far fronte alla crisi strutturale in cui si trascina da qualche decennio. Proprio in questi giorni, però, l’ufficio studi della Banca d’Italia ha reso noto che la disuguaglianza sociale ha ormai superato i livelli di guardia. La questione sociale che almeno nei paesi capitalisticamente più avanzati, si riteneva fosse sta risolta per sempre è così ritornata prepotentemente alla ribalta ma senza che se ne intravedano possibili soluzioni tanto più che sullo sfondo si agita lo spettro di una crisi economica mondiale.
Nell’impossibilità di tirare in ballo salari, pensioni e stipendi, ecco allora salire sul banco degli imputati non il modo di produzione capitalistico e le sue contraddizioni, ma un altro specchietto per le allodole: il sistema istituzionale e in particolare quello elettorale.
Quest’ultimo impedendo il formarsi di maggioranze forti ed omogenee non consentirebbe al governo in carica di realizzare quelle riforme necessarie con cui il paese potrebbe uscire dalla crisi e consentire così salari, stipendi e pensioni decenti. Ma quali sarebbero queste riforme necessarie per la salvezza del paese? Forse la riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, l’aumento della produttività e la riduzione dei costi della politica? Ma per far questo occorre cambiare la costituzione.
A prima vista sembrerebbe una balla colossale, ma in realtà dietro quelle riforme, soprattutto le prime due essendo la terza chiaramente demagogica, si cela la necessità di stringere ancora più il cappio attorno al mondo del lavoro cioè di chi ha già pagato il conto più salato e che da tempo attende invano una qualche compensazione per gli enormi sacrifici fin qui fatti. Ma se si procede alla riduzione della pressione fiscale sui salari, e sui profitti delle imprese, peraltro già abbondantemente ridotta dal governo Prodi, data l’impossibilità di sforare i parametri di Maastricht né di ridurre, per esempio l’esorbitante spesa militare che anzi, data l’aria che tira a livello internazionale, è destinata a crescere, è evidente che saranno necessari ulteriori tagli alla spesa sociale già abbondantemente falcidiata negli anni passati. In realtà, non potendo né volendo intaccare profitti e rendite, si punta a contenere la questione sociale stornando sul salario diretto, giusto per consentire il soddisfacimento dei bisogni di prima necessità, una corrispondente quota di salario indiretto. E non basta: in cambio di questo regalo i lavoratori dovranno accettare, dopo la precarizzazione generalizzata, anche lo smantellamento di quel che rimane del sistema di contrattazione nazionale e la completa subordinazione del salario alle esigenze di competitività delle singole imprese.
Ed è per far questo, per imporre cioè un ulteriore giro di vite a chi è già con l’acqua alla gola, che chi governa deve avere le mani libere da qualsiasi condizionamento. Ecco quindi la necessità di passare dall’attuale democrazia borghese di tipo parlamentare a una sorta di oligarchia elettiva che assegni di volta in volta a una ristretta minoranza la gestione del potere tagliando fuori qualsiasi possibile opposizione anche se solo di tipo parlamentare. Il Partito Democratico, come non manca di sottolineare in ogni occasione il suo segretario Veltroni, è nato proprio per accelerare questo passaggio e non a caso la crisi parlamentare ha subito con la sua nascita una formidabile accelerazione.
Altresì non è neppure un caso che il governo Prodi sia caduto subito dopo l’annuncio di Veltroni che il suo partito si sarebbe presentato alle prossime elezioni da solo indipendentemente dal sistema elettorale un vigore. A questo punto Mastella e tutte le altre consorterie che popolano il variegato panorama politico italiano, capìta l’antifona, si sono messe in movimento non tanto per bloccare questa sorta di piccolo golpe bianco orchestrato dai due partiti maggiori ma alla ricerca dell’alcova da dove meglio potranno difendere i loro interessi e/o della lobby che rappresentano.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2008
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