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Home ›Nuovi contratti, maggiore sfruttamento
Con la stagione dei rinnovi contrattuali peggiorano le condizioni dei lavoratori
Tradizionalmente, la fine/inizio d’anno è tempo di bilanci. Ancora una volta, per il mondo del lavoro salariato il quadro che ne esce è pesantemente negativo e, allo stato attuale delle cose, contiene tutte le premesse perché i mesi che verranno portino nuovi pesi da caricare sulle spalle del proletariato. A meno, naturalmente, di quanto mai auspicate sorprese.
Non solamente è proseguita la caduta rovinosa di salari e stipendi, non solo gli infortuni sul lavoro hanno continuato a devastare migliaia di lavoratori - com’è documentato in questo numero del giornale - ma i soliti compari (padroni, governo, sindacati, con qualche lieve distinguo) stanno manomettendo le modalità di contrattazione per renderle più funzionali alle esigenze delle imprese. In poche parole, il contratto nazionale, con ogni probabilità, sta per essere mandato in soffitta o, quanto meno, ridimensionato, a vantaggio della contrattazione aziendale (o di area, territoriale, ecc.) quando non direttamente individuale. Le ricadute negative, per esempio in termini di aumento della fatica e di ulteriore divisione della classe, sono di per sé evidenti.
Sono anni, che i padroni “la menano” sulla necessità di legare gli aumenti salariali nonché l’organizzazione del lavoro alle necessità delle singole aziende, cioè, come dicono loro (i padroni), alla produttività, e ora pare essere giunto il momento. Non per niente, ci sono ancora contratti aperti che interessano oltre sei milioni di lavoratori, e altri, appena chiusi, sono già scaduti: il padronato, infatti, con questi contratti vuole disegnare concretamente la fisionomia delle future relazioni aziendali (come si dice nella lingua del padrone), dove la merce forza-lavoro (il lavoratore in carne e ossa) sia ancor più di adesso sottomessa alla tirannia padronale dentro - ma, a questo punto, anche fuori - l’azienda.
Questa filosofia, semplice quanto spietata, è riassunta dal capo in seconda dei padroni, Bombassei, in un’intervista concessa al quotidiano Repubblica qualche tempo fa (19-11-2007).
Il vicepresidente di Confindustria sostiene che gli imprenditori “sono pronti a pagare di più i propri dipendenti”, ma in cambio chiedono mano libera su tutto: produttività, orario, flessibilità, contrattazione. Se non fosse che si parla di cose estremamente serie, verrebbe da pensare che si stia scrivendo il copione di uno dei tanti comici da strapazzo che infestano gli schermi televisivi; invece no, è una delle voci più autorevoli della “gente che conta”. Più salario, dice, ma i padroni offrono, per esempio, la miseria di 100 euro (lordi e non per il 3° livello) ai metalmeccanici - di cui solo 66 nel contratto nazionale e gli altri alla produttività - e 78 euro ai lavoratori del commercio, però come contropartita esigono che venga esteso l’orario plurisettimanale (o annuale), pretendono di comandare lo straordinario senza contrattarlo con le RSU, rifiutano - come nel caso dei metal-meccanici - un’interpretazione “ristretta” dell’accordo del 23 luglio riguardante i limiti (?) alla precarietà, rivendicando un’applicazione flessibile, per così dire, di quell’infame accordo. Per parlare chiaro, i “padroni delle ferriere”, oltre ad opporsi a qualsiasi limitazione nell’assunzione dei precari, vorrebbero che i 36 mesi - termine al di là del quale il precario deve o dovrebbe essere assunto - non venissero cumulati: cioè, uno potrebbe farsi 36 mesi da interinale, poi altri 36 da lavoratore a tempo determinato: insomma, una vita intera da precario.
Ma a che serve tutta ‘sta flessibilità, se poi il lavoratore si mette a far casino e non collabora? Ti saluto produttività! Allora, l’ineffabile Bombassei fa appello alla nostra coscienza e auspica meno conflittualità e più spirito collaborativo. Si potrebbe rispondergli che in quest’ultimo anno e mezzo, da quando comunisti (?!), liberali diniani, mastelliani, democratici e verdi (un bel campionario della fauna politicante) governano il bel paese, non diciamo la lotta di classe, ma la sua pallida ombra, cioè il conflitto sindacale, si è espressa a livelli prossimi allo zero. Secondo il manifesto del 22 dicembre scorso, in media non più di qualche minuto per lavoratore: che sia questo il segreto dei governi “di sinistra”? Noi abbiamo pochi dubbi in proposito...
Ma torniamo al deficit collaborativo lamentato da Confindustria. Probabilmente, l’associazione padronale non ha tutti i torti, se il suo modello di riferimento sono le cosiddette e sempre famigerate relazioni industriali in vigore alla Toyota, dove capita che un operaio, di nome Kenichi, muoia sul posto di lavoro stroncato dalla fatica (il manifesto, cit.). Già, perché Kenichi, come tanti altri operai giapponesi, metteva assieme fino a 140 ore di straordinario al mese, senza contare il “sabisu zangyo”: lavoro - gratuito - prestato per “spirito di gruppo”. Chissà, forse anche quando i lavoratori italiani e i loro compagni di classe immigrati praticheranno il “sabisu sangyo” e schiatteranno non rumorosamente, per l’assenza dei sistemi di sicurezza, ma in silenzio, per “semplice” eccesso di fatica, allora i padroni saranno più felici, perché potranno affrontare meno ansiosamente le asperità crescenti della concorrenza. E se proprio qualcuno si ostinerà a guardare il padrone come il nemico di classe, niente paura: i manganelli democratici delle forze dell’ordine borghese sono sempre lì a inculcare un po’ di giudizio ai più recalcitranti.
A proposito, era da un po’ che gli operai non venivano presi a botte in piazza, ma il 18 dicembre, a Milano, la polizia ha rinfrescato la memoria, spaccando la faccia a due lavoratori che, assieme ad altri, protestavano sotto le finestre di Assolombarda. Per fortuna che al governo ci sono anche i comunisti (comunisti?!) di Diliberto e Bertinotti - col suo tristo codazzo di petulanti trotskysti - che per puro senso di responsabilità (verso la borghesia) sottoscrivono qualunque porcheria anti-operaia.
Chissà come si giustificheranno quando Prodi, se sarà ancora in sella, metterà mano alla riforma del contratto di lavoro degli statali, legando “strettamente produttività e remunerazione con una valutazione individuale dei singoli lavoratori” (il manifesto, 28-12-2007), più o meno, cioè, quello che va gracidando il “rospo” Dini. Di sicuro, non molleranno la sedia, a meno che la borghesia non decida che si possa fare a meno di questa sottospecie degenere di “comunisti”, per suonare con un’altra orchestra la solita musica antiproletaria.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 2008
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