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Un viaggio al confine fra economia legale e illegale
Leggere il romanzo-inchiesta di Roberto Saviano, Gomorra, Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, e trovarvi raccontate nella quotidianità le nostre denunce sul degrado portato dal modo di produzione capitalistico e dal suo assetto sociale è stata una esperienza scioccante, ma molto interessante.
Come già il titolo annuncia, il giovane autore viaggia nella sua città raccontando l’inferno del mondo malavitoso, la quotidianità della camorra che è intimamente parte del mondo degli affari, della finanza e che partecipa direttamente allo sfruttamento della forza lavoro, alla produzione e al commercio della droga.
Il romanzo comincia con le bellissime pagine sul porto di Napoli, raccontato con la semplicità di chi vi va ogni giorno e scopre e conosce i suoi misteri. Qui di seguito riportiamo alcuni passi pieni di informazioni, precisando che l’autore non è stato smentito né querelato. Minacciato sì, ora deve addirittura nascondersi!
Il porto di Napoli è una ferita. Larga... è il buco nel mappamondo da dove esce quello che si produce in Cina... il solo porto di Napoli movimenta il 20 per cento del valore dell’import tessile, ma oltre il 70 per cento della quantità del prodotto passa di qui... A Napoli si scarica quasi esclusivamente merce proveniente dalla Cina, 1.600.000 tonnellate. Quella registrata. Almeno un altro milione passa senza lasciare traccia. Nel solo porto di Napoli, secondo l’Agenzia delle Dogane, il 60 per cento della merce sfugge al controllo della dogana, il 20 per cento delle bollette non viene controllato e vi sono cinquantamila contraffazioni... Nel porto di Napoli opera il più grande armatore di Stato cinese, la Cosco, che possiede la terza flotta più grande al mondo e ha preso in gestione il più grande terminal per container, consorziandosi con la Msc, che possiede la seconda flotta più grande al mondo con sede a Ginevra. Svizzeri e cinesi si sono consorziati e a Napoli dispongono di oltre novecentocinquanta metri di banchina, centotrentamila metri quadri di terminal container e trentamila metri quadri esterni, assorbendo la quasi totalità del traffico in transito a Napoli...
Le pagine che descrivono l’attività sommersa e di estremo sfruttamento sono più ingenue e sembra che l’autore con ammirazione vada a ripercorrere la fama di specializzazione della manodopera campana nell’illusione di vivere in una comunità lavorativa dove padrone e operaie condividono lo stesso ambiente, proprio come in Cina. Ne è consapevole, alla fine del quadro un po’ post fordista che dipinge, quando dice che non si conosce il numero esatto dei lavoratori in nero e il numero esatto di quelli regolarizzati che però sono costretti a firmare delle buste paga che indicano somme mai percepite.
Esistono ancora fabbriche vincenti. La forza di queste imprese è tale che riescono a far fronte al mercato della manodopera cinese perché lavorano sulle grandi griffe. Il made in Italy si costruisce qui. Caivano, Sant’Antimo... e via via tutta la Las Vegas campana. Le griffe non si fidano a mandare tutto a est. Le fabbriche si ammonticchiano nei sottoscala, al piano terra delle villette a schiera... si lavora cucendo, tagliando pelle, assemblando scarpe. Un operaio del tessile lavora circa dieci ore al giorno. Gli stipendi variano da cinquecento a novecento euro. Raramente le aziende superano i dieci dipendenti. Più della metà sono donne, nate davanti alle macchine da cucire. Se lo stesso lavoro di alta qualità fosse inquadrato, i prezzi lieviterebbero e non ci sarebbe più mercato, e il lavoro volerebbe via dall’Italia.
Ma cosa c’entra la camorra in questo quadro quotidiano di “normale” sfruttamento capitalistico? Siccome le griffe pagano solo a lavoro ultimato e approvato, gli stipendi, i costi di produzione e di spedizione vengono anticipati dalle aziende produttrici le quali ricevono prestiti liquidi dai clan camorristici con tassi relativamente bassi, dal 2 al 4 per cento. Anche i dipendenti si servono dei prestiti della camorra, per ottenere mutui per l’acquisto di case così che sei famiglie su dieci riescono a comprare una casa pur vivendo in zone dove il lavoro nero rappresenta il 40 per cento dei residenti.
Istruttive le pagine seguenti sui rapporti tra le grandi griffe e il mercato del falso. Da leggere!
Arriviamo ora al “Sistema”. Questo è il capitolo centrale in cui viene magistralmente descritta la camorra, parola che dagli interessati non viene usata in quanto temine generico, utilizzato dagli sbirri o dalla letteratura. Il termine usato dagli affiliati è Sistema perché indica il vero meccanismo di esistenza e sussistenza del fenomeno camorristico. Riportiamo le parole dell’autore nella descrizione del Sistema di Secondigliano:
... governava ormai tutta la filiera dei tessuti, la periferia di Napoli era il vero territorio produttivo, il vero centro imprenditoriale... La periferia strutturandosi intorno al potere imprenditoriale del clan permetteva di macinare capitali astronomici, inimmaginabili per qualsiasi agglomerato industriale legale. I clan avevano creato interi indotti industriali di produzione tessile e di lavorazione di scarpe e di pelletteria in grado di produrre vestiti, giacche, scarpe e camicie, identiche a quelle delle grandi case di moda italiane... la lavorazione era perfetta i materiali gli stessi una sorta di falso-vero... l’ultimo passaggio, l’autorizzazione della casa madre, i clan se la prendevano. I clan avevano creato una rete commerciale diffusa in tutto il mondo, in grado di acquistare filiere di negozi e di dominare il mercato dell’abbigliamento internazionale.
Il famoso Direttorio era la struttura economica, finanziaria e operativa costituita dalle più grosse famiglie camorristiche ma anche da imprenditori di diverse aziende, tutto questo venne scoperto in una inchiesta del 2004 dal pm Beatrice della DDA di Napoli...
Concludiamo con un altro pezzo che radiografa la realtà:
Mai si era avuta una così grande e schiacciante presenza degli affari criminali nella vita economica di un territorio come negli ultimi tempi in Campania...
Per esempio, attraverso degli agenti intermediari, pensionati, impiegati, piccoli imprenditori davano danaro per l’acquisto delle partite di coca; l’investimento di una pensione di seicento euro portava a un profitto doppio dopo un mese. I clan erano riusciti ad allargare il giro di capitali da investire, coinvolgendo anche una piccola borghesia lontana dai meccanismi criminali ma stanca di affidare alle banche i propri averi.
Il viaggio continua ed è sconvolgente, in realtà ci sembra un viaggio nel mondo della merce, del suo ciclo di vita, un viaggio nella barbarie della società capitalistica. Assolutamente da leggere.
ffBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 2007
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