Volkswagen: sindacalisti premiati con viaggi di piacere

Lo scandalo alla Volkswagen dimostra come i sindacati siano al servizio dei padroni

Nel dopoguerra l’azienda automobilistica è stata il simbolo del modello, tipicamente tedesco, delle relazioni industriali improntate al diretto coinvolgimento del sindacato nelle decisioni strategiche aziendali, la cosiddetta cogestione. Un modello, che nella letteratura economica è stato visto proprio come l’alternativa del capitalismo europeo a quello ultraliberista di stampo anglosassone, fondato sul pieno coinvolgimento dei lavoratori ai piani aziendali attraverso la mediazione dei sindacati. Il modello, concepito negli anni ’60, ha consentito all’industria tedesca di raggiungere notevoli traguardi, primo tra tutti quello di far divenire la Germania, dopo la rovinosa e distruttiva impresa imperialistica nazista, la terza potenza economica mondiale.

La Volkswagen, grazie a questa impostazione, è divenuta uno dei più grossi gruppi automobilistici mondiali anche se all’inizio degli anni ’90 ha attraversato una crisi difficilissima dalla quale ne è uscita grazie ad un piano di ristrutturazione fondato sulla "flessibilità consensuale" di cui abbiamo parlato più volte nelle pagine del nostro giornale. In pratica i costi dell’articolato piano di ristrutturazione, che prevedeva tagli alle ore di lavoro complessive e tagli retributivi, venivano distribuiti tra tutti i lavoratori evitando così i licenziamenti ma chiedendo ad essi in cambio la disponibilità ad accettare la totale flessibilità lavorativa finalizzata ad ottenere intensi aumenti di produttività. Una vera manna per l’azienda. Il piano attribuiva al sindacato il ruolo di cogestore della ristru-tturazione con lo specifico compito di coinvolgere tutti i lavoratori nella sua realizzazione che doveva essere presentata come l’unica alternativa ai licenziamenti. Il compito è stato poi svolto efficacemente dal potente sindacato della Ig Metall utilizzando il consiglio di fabbrica della Volkswagen che partecipava al Consiglio di vigilanza dell’azienda, un potente organo di supervisione che nel sistema di cogestione tedesco ha il compito di approvare o negare in ultima istanza ogni decisione aziendale, occupando di diritto il 50% delle sue poltrone (l’altra metà era costituita da rappresentanti aziendali). Il capo del consiglio di fabbrica Klaus Volkert, dirigente sindacalista della Ig Metall, è stato il perno attorno al quale l’azienda ha lavorato per ottenere l’approvazione del piano di ristrutturazione dato che egli controllava la metà dei voti del Consiglio di vigilanza grazie alla sua influenza sugli altri membri del consiglio di fabbrica ad esso partecipanti.

La successiva realizzazione del piano ha costituito per l’azienda un vero e proprio toccasana tanto che tra il ’95 e il 2000 è riuscita a registrare un aumento delle vendite delle proprie automobili del 43% e un’espansione della sua presenza ai segmenti del mercato più costosi e lussuosi. Una vera e propria rinascita seguita ad un periodo difficilissimo.

Ora la verità sta venendo alla luce. È dal giugno scorso che la magistratura tedesca si sta occupando del caso Volkswagwen dopo le rivelazioni di un dirigente dell’azienda che hanno messo in luce il modo col quale il meccanismo consensuale è stato oliato: il direttore del personale Peter Hartz ha organizzato per i sindacalisti innumerevoli viaggi di piacere in rinomate località esotiche donando loro l’ospitalità nei migliori alberghi a cinque stelle e il piacere di ripetuti incontri con compiacenti ragazze locali. Il tutto pagato dall’azienda con un esborso di circa cinque milioni di euro. Ora i protagonisti della vicenda sono tutti incriminati e sotto inchiesta per malversazione.

Il caso ha suscitato in Germania grande scandalo dato che ha coinvolto il collaudato modello di relazioni industriali fondato sulla cogestione tanto che si sta parlando della sua inevitabile riforma.

Si è trattato di un incidente di percorso? I fatti sono il risultato di qualche dirigente aziendale o sindacale corrotto e particolarmente predisposto a qualsiasi forma di compromesso? Noi pensiamo di no. Il sindacato, in ogni parte del mondo, è divenuto da tempo l’istituzione, pienamente integrata nello stato capitalistico, a cui è demandato il compito di partecipare alla realizzazione dello sviluppo sociale (eufemismo con il quale si mistifica il processo di accumulazione capitalistico fondato sullo sfruttamento) con lo specifico compito del coinvolgimento a ciò della gran massa dei lavoratori.

È nel secondo dopoguerra che questo compito istituzionale diviene sempre più importante e riconosciuto ufficialmente dato che la formazione dei grandi monopoli a scala planetaria ha imposto al capitalismo la necessità di controllare il più possibile tutte le variabili del processo produttivo, costi di produzione compresi, in particolare quelle legati al costo del lavoro salariato. In altri termini, gli enormi investimenti che il processo produttivo ha richiesto (e richiede ancor più oggi) non potevano tollerare il rischio che una forza lavoro incontrollata e lasciata libera di esprimere le proprie istanze di classe potesse pregiudicare il buon esito di un processo produttivo estremamente complesso e oneroso.

Ogni ingranaggio del meccanismo produttivo doveva funzionare a dovere compreso quello dell’ac-condiscendenza dei lavoratori ai piani aziendali.

Da qui nasceva, dopo il terribile periodo degli anni venti e trenta del secolo scorso in cui il consenso del mondo del lavoro è stato ottenuto con la violenza dei regimi autoritari, il moderno ruolo del sindacato che operava nel regime della cosiddetta democrazia. Un sindacato che ha avuto sì il compito di ottenere le migliori condizioni possibili per i lavoratori ma solo compatibilmente con le esigenze del processo di accumulazione e a condizione che esse fossero subordinate al primario obiettivo della realizzazione del profitto aziendale.

Quindi un sindacato a cui è stato assegnato il compito di pianificare insieme alla direzione d’impresa il livello salariale dei lavoratori più adeguato agli obiettivi aziendali e di partecipare alla gestione dell’impiego della forza lavoro nel processo lavorativo affinché fosse assicurato il buon esito dell’investimento del capitale.

È questo che spiega perché esso ha potuto ottenere i miglioramenti normativi e retributivi degli anni sessanta e i primi anni settanta, anni di buon ciclo economico per il capitalismo con abbondanti tassi di crescita e di profitto, ed è stato costretto poi a far propria la successiva politica dei sacrifici, fatta di tutti quei pesanti attacchi al lavoro che tutti conosciamo, quando lo stesso capitalismo si è progressivamente arenato nelle secche della crisi strutturale.

Questo in tutto il mondo, Germania compresa. Anzi proprio qui il sindacato ha svolto il ruolo di modello avanzato per tutti i sindacati europei. Gli attuali scandali della Volkswagen perciò sono solo un corollario al processo di integrazione nello stato e nelle aziende dell’organizzazione sindacale, un processo strutturale ed inevitabile tipico del capitalismo novecentesco.

Essi sono solo l’aspetto più deteriore, ma non determinante, del processo di totale asservimento dei lavoratori messo in atto dall’organizzazione sindacale che si è totalmente integrata nello stato borghese e nei meccanismi del potere. Sono fatti fisiologici e inevitabili, al pari di tutti gli altri scandali aziendali che sempre più frequentemente hanno riempito le cronache giornalistiche della vita odierna del capitalismo.

Oggi sono solo più frequenti e rivelano uno degli aspetti del capitalismo decadente: al "buon" capitano d’industria impegnato a promuovere l’impresa produttiva tipico del periodo ottocentesco, si è sostituita la figura del manager, sia nel ruolo di dirigente aziendale che in quello di sindacalista impiegato a promuovere i piani dell’impresa presso i lavoratori, la cui attività è la perenne ed esasperata ricerca del profitto in qualsiasi forma esso si presenti. Un profitto da ottenere con qualsiasi mezzo, anche con la corruzione e il malaffare.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.