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Home ›Il potere d'acquisto dei salari è crollato
Non è l'euro ma la crisi del capitale la causa del peggioramento nelle condizioni di vita e di lavoro degli operai
Sempre peggio vanno le cose per le famiglie proletarie. A fronte di stipendi e salari reali che non crescono, corrisponde un costante aumento del costo della vita che rende sempre più difficile riuscire a sbarcare il lunario.
Dopo quattro anni dall’introduzione dell’euro che fu propagandato dai poteri forti della borghesia europea come la panacea di tutti i mali, un primo bilancio ci dice che il potere d’acquisto dei lavoratori è peggiorato, in chi più in chi meno, in tutti i paesi membri, che l’economia ristagna o cresce troppo poco, che i sacrifici per la classe operaia senza nessuna contropartita saranno un fatto permanente e che lo stato sociale è una chimera del passato troppo costosa da mantenere in vita.
In Italia in particolare l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e delle tariffe si è fatto sentire pesantemente in questo arco di tempo. I dati Istat per il 2005 danno una inflazione del 2%, mentre i costi energetici e le tariffe sono aumentati oltre il 5%. Ciò significa che i rincari sono avvenuti nel paniere di beni di prima necessità, come acqua, elettricità, combustibili, abitazione, trasporti e scuola che colpiscono direttamente la massa della popolazione; mentre i prezzi di altri prodotti basilari come gli alimentari e l’abbigliamento si sono stabilizzati.
Peggio ancora sono le previsioni per il 2006, dove gli aumenti negli stessi settori e in altri saranno ancora più consistenti, con l’aggravio di spesa per una famiglia media di 1000-1200 euro. Alla faccia della tanto propagandata liberalizzazione dei servizi che avrebbe dovuto portare razionalità, efficienza e riduzione dei prezzi.
Al contrario, all’abbattimento dei costi, conseguito attraverso il solito sistema dei licenziamenti e della precarizzazione del rapporto di lavoro, ha fatto seguito una vera e propria rapina dalle tasche dei consumatori.
Le cause dell’aumento generalizzato dei prezzi, seguito all’introduzione dell’euro nel gennaio del 2002, e il conseguente peggioramento del potere d’acquisto dei lavoratori, non si spiegano con il luogo comune, volutamente amplificato da quella parte di piccola-media borghesia meno favorevole al progetto europeista, che ha sempre pregiudizievolmente puntato l’indice contro la moneta unica e in secondo luogo contro i bottegai cattivi e profittatori. Certamente questi ultimi hanno fatto la cresta inizialmente, com’è nel costume tipico del bottegaio, ma alla fine i veri motivi sono emersi e sono tutti da ricercare nella crisi strutturale del capitalismo.
Intanto iniziamo dalla semplice constatazione che l’inflazione è contenuta a causa della crisi economica e dei bassi consumi. A fare lauti profitti oggi, sono le società privatizzate, come Eni e Enel o Autostrade, che potendo sfruttare la loro posizione di operatori monopo-listici possono imporre prezzi superiori a quelli che potrebbero spuntare in un mercato concorrenziale, dove il saggio medio di profitto tenderebbe a livellarsi verso il basso.
Lo stesso giochino, nel senso di potere imporre artificialmente un prezzo più alto, vale anche per gli enti locali come i Comuni, che pur avendo utili in determinati casi, aumentano lo stesso le tariffe con la giustificazione delle minori entrate dovute ai tagli dei trasferimenti da parte del governo centrale. In sostanza le politiche interne di tutti gli stati nazionali, com’è ovvio che sia nella società capitalista, mirano a scaricare la crisi sulle spalle dei lavoratori.
Vi è un altro aspetto, altrettanto importante, che si abbatte come una spada di Damocle sulla testa del proletariato internazionale: i costi dell’imperialismo. Cioè la guerra per la supremazia mondiale tra le potenze, in particolare tra Usa ed Europa, ovvero tra dollaro ed euro.
Da una parte il vecchio continente che attraverso l’euro cerca di contrastare lo strapotere americano, cosa impensabile per i vari paesi presi singolarmente.
Dall’altra parte gli Stati uniti che in quanto super potenza dominante vogliono continuare a controllare il mercato internazionale delle principali materie prime, il petrolio in particolare, per condizionare l’economia del pianeta e i parametri macroeconomici che incidono nella formazione dei prezzi delle merci. Inoltre, essendo il dollaro la moneta di riferimento per gli scambi delle materie prime, favorisce enormemente gli Usa che pur stampando dollari a valanga, riescono a mantenere un alto rapporto di cambio con le altre monete, scaricando l’inflazione sull’economia mondiale. Nel 2005 il dollaro è cresciuto del 17% rispetto ad euro e yen. Riassumendo: la crisi capitalistica inasprisce lo scontro interimperialistico per una diversa ripartizione della rendita finanziaria, che attualmente va in gran parte agli Usa. Alla base di tutto, come condizione imprescindibile alla sopravvivenza del capitalismo, è il costante e intensivo aumento dello sfruttamento della forza lavoro a scala mondiale e della sua svalorizzazione a tutto vantaggio dei profitti. Un andamento rafforzato dalla sostanziale o non adeguata risposta di classe del proletariato privo di qualunque riferimento politico autenticamente anticapitalistico e ingabbiato com’è nei sindacati e nel sindacalismo più o meno di base.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #1
Gennaio 2006
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