Verso lo sciopero di 4 ore del 25 novembre

Le solite sterili mobilitazioni per assopire la rabbia dei lavoratori

Tutti gli anni in questo periodo siamo costretti a fare i conti con le solite finanziarie, indipendentemente dal tipo di governo del momento, che prevedono sempre bastonate per i lavoratori e regali per i padroni come le defiscalizzazioni e le decontribuzioni.

Le reazioni alla dinamica capitalista che vede il trasferimento di risorse dal mondo del lavoro al capitale, in modo palese e arrogante soprattutto in tempi di crisi, variano da soggetto a soggetto, constatando, purtroppo, la sostanziale passività dei diretti interessati: i lavoratori. Le diverse forze sindacali e politiche di "sinistra" dichiarano di stare, a parole, dalla loro parte e di adoperarsi per difendere i loro interessi, in realtà non fanno altro che demagogia calcolata sulla quale costruire potere e carriere, portando altro smarrimento e confusione all’interno del mondo del lavoro, ostacolando una eventuale possibilità di ripresa della lotta di classe.

Da una parte ci sono i sindacati ufficiali, Cgil Cisl Uil, costretti a prendere blandamente una qualche iniziativa, come lo sciopero generale di 4 ore del 25 novembre articolato a livello provinciale, per dare una parvenza di reazione contro la Finanziaria di Tremonti. Le richieste sono le solite litanie sul carovita e il controllo dei prezzi, la difesa dei redditi e la restituzione del fiscal drag, la diminuzione delle tasse sul lavoro e la tassazione delle rendite. La Finanziaria viene criticata molto genericamente perché: "non si occupa delle condizioni dei cittadini, non sostiene né i consumi né lo sviluppo e non contiene una politica per il Mezzogiorno, senza peraltro operare neanche un risanamento dei conti pubblici", Qui siamo al paradosso, si chiede il risanamento dei conti pubblici, come se i conti sgangherati dello Stato capitalista li abbiano pagati i padroni in passato, e non come sempre i proletari, anche quando al potere c’erano i governi di centrosinistra.

È evidente che i sindacati ufficiali, in particolar modo la Cgil, sono solamente uno strumento funzionale alla controparte politica del governo Berlusconi, la quale non differisce nella sostanza e nello scopo di alternarsi alla gestione dello Stato borghese per preservare i rapporti di produzione capitalistici. Ma non è una novità, è oramai abbastanza generalizzata nelle coscienze dei lavoratori la natura compromissoria e moderata della Triplice, della corruzione che alberga al suo interno, della sua incapacità di porre un argine agli attacchi del padronato.

Altra cosa, più subdola e mistificante è l’arcipelago del cosiddetto sindacalismo di base. Varie iniziative sono state prese negli ultimi tempi contro il governo, dalla manifestazione nazionale del 15 ottobre contro la direttiva Bolkestein, allo sciopero del 21 ottobre alla testa del quale erano soprattutto le RdB e i CUB. Infine, l’iniziativa dei Cobas: "a trasformare il 25 novembre in una giornata di lotta per uno sciopero generale e generalizzato costruito su una piattaforma sociale antiliberista", che preveda naturalmente aumenti salariali, la difesa del Tfr, l’abolizione delle controriforme pensionistiche e la lotta al precariato con l’abrogazione della legge 30 ecc., per passare a riven-dicazioni prettamente politiche come il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, alla cancellazione della legge Bossi/Fini e delle direttive antisociali europee ecc.

Insomma c’è un po’ di tutto, e qui sta il punto, si dice di essere "contro" e segue un lungo elenco di misure governative politico-economiche, per invocare alla fine un governo che butti a mare il liberismo in tutte le sue versioni, quello spinto della Casa delle libertà e quello più moderato dell’Unione. Ma mai e poi mai si punta il dito sulla causa autentica dell’attacco permanente e profondo al mondo del lavoro, vale a dire l’attuale sistema di sfruttamento. Quindi si può essere contro tutto ma se non si è contro il capitalismo si prendono lucciole per lanterne, si danno falsi obiettivi che servono solamente a sviare i proletari dal loro vero scopo.

Siamo di fronte, in altre parole, al classico riformismo sindacale e politico che ha sempre ingabbiato il proletariato all’interno dell’alveo capitalista. Certamente bisogna lottare contro l’aggressione del capitale sotto tutti gli aspetti, ma limitarsi a questo vuol dire trasformare il mezzo in fine. Illudere che il capitalismo in crisi possa tornare indietro, e ridare quanto ha tolto, ridurre a un fatto di pura volontà gli attacchi alle condizioni di vita del proletariato da parte di un meccanismo produttivo sempre più affamato di plusvalore per sopravvivere, significa non avere capito niente. Le lotte economiche e sociali devono essere mezzi di una politica complessiva anticapitalista, è questo che ci insegna l’esperienza e la tradizione rivoluzionaria. Principio da ribadire con forza visto che siamo immersi in una marea di sindacati e sindacatini che litigano tra loro e sono costantemente in concorrenza per accaparrarsi "un posto al sole".

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.