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Home ›Schiavitù: moderna frontiera del capitale - Le "nuove" forme dello sfruttamento capitalistico
Aspetto della società capitalistica un po’ trascurato nell’analisi dello sfruttamento del lavoro e delle azioni messe in atto a sostegno del profitto è la schiavitù. La schiavitù è illegale e formalmente bandita: la ‘Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo’ (1948) afferma all’art. 4, "nessuno deve essere tenuto in stato di schiavitù o servitù; la schiavitù e il traffico di schiavi devono essere proibiti in tutte le loro forme", successivamente (1956) è stata elaborata la ‘Convenzione supplementare relativa all’abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù’. Dal 1839 è attiva l’organizzazione inglese Anti-Slavery International (ASI) impegnata nella lotta alla schiavitù, mentre gli Stati i loro ideologi relegano la schiavitù a tutto il 1800 e ai primi del ‘900 negandone l’attuale esistenza. Secondo la stima, per difetto, di un militante dell’ASI gli schiavi mondiali, nel 2000, sono 27 milioni, ed il profitto generato dal loro lavoro ammonta a 13 miliardi di dollari. Alla base di questa schiavitù vi è una condizione di precarietà, di profondo bisogno e di povertà, mentre le aree di maggiore diffusione sono l’Asia, l’Africa e l’America Latina. Insomma il cosiddetto Terzo Mondo o paesi in via di sviluppo, il cui sottosviluppo è un prodotto dello stesso sviluppo del capitalismo. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: in questi paesi, ma non solo in questi, i pochi ricchi diventano sempre più ricchi, mentre la stragrande maggioranza di poveri diventa sempre più povera. Il solo dato sulla divisione del reddito mondiale denota chiaramente lo stato di povertà della stragrande maggioranza della popolazione mondiale: nel 1990 il 60% della popolazione mondiale deteneva il 5,6% del reddito mondiale, il 20% ricco ne deteneva l’82,7%. Questa situazione mette a disposizione del capitale una sovrabbondanza di proletari poveri che possono entrare nella spirale della nuova schiavitù. Andiamo ora ad elencare quali sono le forme di questa schiavitù. La schiavitù da debito è la forma più comune di schiavitù: un individuo impegna se stesso e la famiglia in cambio di un prestito in denaro, ma la durata e la natura del servizio non sono definite, il vincolo non ha scadenza e si può estendere alle generazioni future. Inoltre il lavoro erogato, non pagato, non va a ridurre il debito originario che deve essere restituito. La schiavitù da contratto è in origine un contratto di occupazione che si trasforma in schiavitù mantenuta con la violenza, dove il lavoratore è privato di ogni libertà e non viene pagato. Per la schiavitù del sesso basta dire Thailandia. Questa schiavitù è una opportunità per diversificare gli investimenti; così negli anni ’80 del secolo scorso Giappone, Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Singapore inondarono il paese di capitali: in media un bordello genera all’anno utili dell’800% sulle spese. Le schiave, donne, ragazze e bambine sono tutte brutalizzate, terrorizzate e violentate per renderle adatte alla loro professione. Sono inoltre divenute un’ottima merce di esportazione. La schiavitù di governo prevede l’utilizzo di uomini, donne e bambini come forza lavoro nella realizzazione di opere pubbliche; ad esempio il gasdotto che il governo della Birmania costruisce in società con la multinazionale americana del petrolio Unocal. Il tratto essenziale di queste schiavitù è la violenza con la quale si ottiene l’obbedienza e la sottomissione; violenza spinta fino agli abusi ed alle pratiche più devastanti. La differenza tra la nuova forma di schiavitù e quelle passate è la mancanza della proprietà sulla persona, il dato comune è che sono tutte originate da società classiste. Prendiamo ad esempio il sistema schiavistico del Sud degli Stati Uniti; qui gli schiavi venivano acquistati diventando proprietà del loro padrone, erano un investimento e come tale veniva sancito da un atto legale. Inoltre, seppur il padrone poteva duramente maltrattare i suoi schiavi, era suo interesse mantenerli in vita il più possibile perché doveva rifarsi dell’investimento effettuato, ma anche perpetuarli ed aumentarne il numero attraverso l’accoppiamento. Nella nuova schiavitù il diritto di proprietà non serve, è un ingombro, ed in più la sancirebbe. Gli schiavi, controllati in maniera assoluta con la violenza, sono merce usa e getta; inoltre, ad eccezione della prima forma, la schiavitù è a termine. Nessuno degli attuali schiavisti spende un soldo per i figli o per le cure degli schiavi, e quando non sono più in grado di lavorare vengono semplicemente abbandonati o eliminati. In queste condizioni i profitti generati dal lavoro schiavistico sono ingenti a fronte di investimenti irrisori. Si deve aggiungere che la nuova schiavitù, riducendo i costi di produzione, ha un valore aggiunto indiretto molto importante: ad esempio il carbone prodotto dagli schiavi in Brasile è alla base della produzione dell’acciaio brasiliano che, successivamente lavorato, rappresenta 1/4 dell’intero prodotto esportato. Non è di certo la battaglia per il rispetto di una manciata di articoli sui diritti umani a modificare la situazione, e poi chi li farà mai rispettare se il potere politico e quello economico sono gli organizzatori ed i beneficiari del business? Al contrario quegli articoli sono la testimonianza di come i diritti umani debbano essere scritti perché non sono reali, non sono prassi quotidiana, non sono connaturati con la società capitalistica, come non lo sono con nessuna sociètà divisa in classi: tra sfruttatori e sfruttati.
mrBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 2005
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