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Home ›Elezioni in Iraq: tanti morti, pochi votanti
Quando tra farsa e tragedia non c'è più confine
La sanguinante cronaca riferisce che le elezioni si sono svolte in un clima di feroce occupazione e di guerra civile. I giorni che le hanno precedute sono stati caratterizzati da attentati, morti civili e militari, devastazioni dei seggi elettorali e molti di essi sono stati chiusi.
Le fonti ufficiali riferiscono che circa il 60% degli aventi diritto si è recato alle urne e non sono stati pochi i casi in cui gli elettori sono stati accompagnati ai seggi dalle scorte militari. Fonti vicino al Mossad, rifersiscono invece che la partecipazione al voto non avrebbe superato il 40-45%, che anche nelle zone sciite, escluse Najaf e Kerbala, non si sarebbe superato il 30% (come a BASSORA), nonostante i pretacci che ordinavano di andare a votare, pena il castigo divino. Tutti gli osservatori internazionali, peraltro non presenti, avevano dichiarato che in un simile scenario le elezioni non sarebbero state regolari, sia perché falsate dal clima di occupazione e di intimidazione, sia perché i rischi di una recrudescenza delle tensioni sarebbe stata più grave di qualsiasi risultato democratico. Quattro province su diciotto (tra cui quella di Baghdad) sono sotto il controllo delle forze anti governative per un totale del 40% della popolazione, nelle restanti quattordici la calma e il controllo del territorio sono solo apparenti. Nella stessa capitale e provincia si sono registrati i maggiori scontri e attentati, lo stesso è avvenuto a Bakuba, Samarra, Kirkuk e Tikrit. La tornata elettorale si è svolta con il coprifuoco totale che è scattato il venerdì precedente.
Perché, allora, tanta determinazione nell'organizzare queste elezioni, al di là del dato scontato del suo esito politico a favore delle formazioni sciite, e quindi, alla permanenza della truppe di occupazione? Una prima spiegazione risiede nei precedenti episodi tecnico-militari. L'imperialismo americano le aveva già preparate nei minimi particolari. Per quasi un anno ha eliminato fisicamente le roccaforti dell'opposizione sia sunnita, sia dello sciita Moqtada al Sadr. L'operazione militare ha comportato la devastazione di molti quartieri di Baghdad e la distruzione di intere città come Falluja e Najhaf. Sin dalla caduta del regime di Saddam il governo americano ha finanziato tutti i partiti che hanno fatto parte del governo uscente e qualsiasi formazione politica che accettasse di partecipare alla farsa elettorale sotto il controllo dell'esercito americano. Ovviamente chi ha ottenuto di più in termini di finanziamenti, di garanzie politiche, di coperture amministrative e di agibilità organizzativa sono stati i partiti collaborazionisti a partire da quello di Allawi. Si è arrivati persino a scambiare il voto con derrate alimentari e taniche di petrolio e a pagare dieci dollari a testa chi, sfidando tutti i rischi del caso, si rendeva disponibile ad affiggere i manifesti elettorali e a fungere da guardia del corpo ai candidati.
La seconda, è tutta nella perversa logica del giustificazionismo del governo americano. Dopo essere stato impietosamente sbugiardato sulle cause della guerra all'Iraq, la storiella dell'esportazione della democrazia rimaneva l'unica giustificazione possibile. Per cui, le prime elezioni democratiche dopo venticinque anni di dittatura, dovevano assolutamente essere tenute, anche se in uno scenario di occupazione militare, di guerra civile e di pesantissimo rischio per la popolazione, che a quel punto, sembrava più uno strumento politico nelle mani del governo americano e dei suoi alleati collaborazionisti, che soggetto di un atto di autodeterminazione politica, pur limitato e falso, come tutte le rappresentazioni borghesi.
La terza, con valenza strategica per l'immediato futuro dell'Iraq e del suo importante carico energetico, riguarda la possibilità di confezionare un governo, la costituzione che ne deriverebbe, la sua affidabilità politica ed il suo assoluto allineamento, in favore della potenza americana. Queste elezioni non devono produrre un governo qualsiasi, democraticamente eletto, bensì devono creare le condizioni perché l'istituzione che dovrà nascere abbia tutti i presupposti per fungere da pedina economica e politica in grado di soddisfare le necessitate ambizioni dell'imperialismo americano. Se così dovessero andare le cose, sarebbe un vantaggio enorme per le necessità di approvvigionamento dell'economia americana, sempre più dipendente dal petrolio estero per i suoi fabbisogni energetici. Fungerebbe da gradita boccata d'aria per il ruolo del dollaro sui mercati monetari e finanziari internazionali e creerebbe quel cuneo politico - geografico nel cuore del Medio oriente, funzionale a tenere a debita distanza le mire imperialistiche di Russia, Europa e Cina.
La quarta ragione, che potremmo considerare come un'estensione della precedente, è tutta interna alla grave crisi economica americana. A parte la continua e progressiva perdita di competitività che caratterizza ormai da decenni l'apparato produttivo americano, tutte le voci di bilancio sono paurosamente sul rosso fisso. Il deficit federale, quello della bilancia dei pagamenti con l'estero, l'indebitamento delle imprese e delle famiglie, rendono l'economia americana a rischio di rovinosi crolli, se gli Usa non intervenissero con tutta la loro potenza imperialistica sui principali mercati internazionali per scaricare sui concorrenti e il resto del modno i costi di questo dissesto che, altrimenti, avrebbe già abbondantemente prodotto le sue devastanti conseguenze. Per usare una facile sintesi, potremmo dire che l'aggressività dell'imperialismo americano, con la variante democratico - militare, è direttamente proporzionale alla gravità della sua situazione economica. L'avventura militare prima e quella elettorale adesso sono funzionali allo scopo. Oltretutto un futuro governo allineato e affidabile, consentirebbe al governo di Washington un più facile disimpegno militare e finanziario, sono quasi 1500 i morti americani in Iraq e il costo dell'occupazione è di oltre 4 miliardi di $ alla settimana. Inoltre consentirebbe un più agevole sostegno esterno al nuovo governo, certamente sempre dispendioso, ma meno oneroso per le casse di Bush e meno rischioso nei confronti della sua opinione pubblica. A questo sono servite le sanguinose elezioni irachene, sempre in nome di quella democrazia, che è stata la giustificazione all'arrogante e sanguinosa guerra di rapina che le ha precedute. Per il proletariato iracheno si presentano tempi duri, dopo il danno di una pluridecennale e feroce dittatura, la beffa dell'inganno democratico sotto occupazione militare, altrettanto feroce e dittatoriale. Alla base dei due regimi, la rendita petrolifera con tutti i corollari del caso, la sola differenza è nelle forme di gestione del potere, prima interna, oggi esterna made in Usa, prima Saddam oggi Bush.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2005
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