La vertiginosa ascesa del prezzo del petrolio

Ma a guadagnare di più sono le compagnie petrolifere

In cinque anni, dalla primavera del 1999 all'agosto del 2004, il prezzo del petrolio è cresciuto del 60% passando da 18 dollari al barile ai quasi cinquanta attuali.

Gli osservatori e gli Istituiti economici internazionali indicano fra le cause più comuni l'aumento della domanda di petrolio da parte della Cina e dell'India, la guerra in Iraq, la crisi della compagnia russa Yukos e la crisi venezuelana. Il rialzo sarebbe, in altre parole, la conseguenza di uno squilibrio fra una domanda in costante crescita e una produzione stagnante tanto che, secondo molti esperti, se la normalizzazione dell'Iraq dovesse ancora tardare, è possibile anche un prezzo superiore ai cinquanta dollari al barile.

Gli attacchi che si susseguono quotidianamente contro i pozzi e gli oleodotti iracheni dovrebbero pertanto consigliare agli Usa e a tutti i governi dei paesi che occupano l'Iraq, il ritiro al più presto delle loro truppe. Paradossalmente però essi, a cominciare dagli Usa, sostengono invece che abbandonare il paese sarebbe come mettersi nelle mani "del terrorismo islamico" cioè di quella sorta di nuovo saladino che si prefigge non solo di scacciare dai luoghi sacri all'Islam gli odiati infedeli occidentali, ma di causare il crollo della loro "civiltà " privandoli del preziosissimo oro nero.

A spulciare fra le cifre, però, se ne ricava un quadro completamente diverso e l'occupazione appare mirata proprio a rafforzare al tendenza al rialzo del prezzo dell'oro nero. La prima cosa che emerge infatti è che dal rialzo del prezzo del petrolio a trarne i maggiori vantaggi non sono i paesi produttori, ma le grandi compagnie petrolifere internazionali e quelle statunitensi in particolare.

In un'intervista rilasciata al settimanale svizzero l'Hebdo, lex ministro del petrolio saudita Zaki Yamani ci informa che recentemente solo " le tre principali (compagnie petrolifere Usa - n. d. r.) hanno appena incassato dieci miliardi di dollari supplementari" grazie agli ultimi aumenti dei prezzi petroliferi. (L'ultima volta del petrolio - Il Manifesto del 21/08/04).

Altresì i dati sulla produzione indicano che essa è addirittura ai suoi massimi storici con 85 milioni di barili al giorno consegnati, di cui poco meno di 30 mila solo dai paesi Opec.

Attualmente - conferma ancora Yamani che dirige il Center for Global Energy studies di Londra - " la quantità di petrolio prodotto, esportato e trasportato è enorme mentre il consumo non è così importante". Siamo, dunque, in presenza, di una qualche nuovo e non ancora indagato fenomeno dell'economia che registra il vertiginoso aumento del prezzo di una merce anche quando l'offerta è in equilibrio, se non addirittura la supera, con la domanda? No, non c'è mistero, è che la domanda che determina il rialzo sui mercati è una domanda fittizia che non ha cioè alcuna relazione con la produzione e il consumo reale di petrolio.

Quotidianamente per ogni barile di petrolio brent realmente consegnato, e quindi realmente prodotto e consumato, all'Ipe di Londra (Il mercato borsistico in cui hanno luogo le trattazioni petrolifere del Brent) ne vengono contrattati 570 e al Nimex di New York, in certe giornate, si arriva anche a mille.

Tutto ciòè possibile grazie al fatto che la tanto decantata deregulation consente di stipulare contratti (future) allo "scoperto" senza che allo scadere del contratto (normalmente dopo sei mesi dalla contrattazione) avvenga la reale consegna della merce contrattata. In questi contratti il venditore e il compratore non vendono e comprano petrolio ma il primo scommette su un ribasso del prezzo e il secondo sul suo rialzo. Alla scadenza vengono liquidate le differenze fra il prezzo pattuito al momento della stipulazione del contratto e quello corrente, a favore dell'uno o dell'altro, senza che una sola goccia di petrolio si sia spostata di un millimetro o sia stata venduta e comprata. Se le cose si fermassero qui la speculazione si chiuderebbe a somma zero e non si registrerebbero particolari effetti sui prezzi reali, ma non è così. Per il fatto che si tratta di contratti allo scoperto che non prevedono la transazione effettiva della merce in questione, ma solo di sue rappresentazioni cartacee, è possibile con capitali minimi trattare quantità tanto grandi che alla fine si determina un effetto "leva" che trascina con sé anche i prezzi reali facendoli di fatto coincidere con quelli speculativi. Ora, è del tutto evidente che in un mercato così strutturato i maggiori benefici li trae non tanto chi produce il petrolio, ma soprattutto chi ne controlla sia i flussi della produzione reale sia quelli finanziari che su di essi si sviluppano. Il meccanismo, infatti, premia sicuramente di più chi scommette meglio, ma può garantire guadagni considerevoli anche a chi la scommessa la perde.

Per esempio, è vero che in un contratto a termini il compratore, se allo scadere del contratto il prezzo è più basso di quello stipulato al momento dell'acquisto ci rimette la differenza fra i due prezzi e dunque subisce una perdita; ma se egli vende effettivamente petrolio e i suoi acquisti speculativi riescono a determinare un incremento dei prezzi reali, quelli da lui effettivamente pagati per acquisire il petrolio, superiore alla perdita subita nel contratto a termine, egli realizza comunque un extraprofitto. Ora, non è un caso che i maggiori compratori di "barili fittizi" siano proprio le stesse grandi compagnie petrolifere che controllano il mercato del petrolio, le cosiddette compagnie indipendenti (in maggioranza statunitensi), e le grandi multinazionali della finanza. Non è un caso, dicevamo, tanto che Yamani, che questi meccanismi li conosce come pochi altri al mondo, nell'intervista prima citata, si chiede: "C' un piano portato avanti da della gente per costituire riserve strategiche segrete? ". Yamani non dice esplicitamente che a tramare sono gli Usa, ma lo lascia intendere quando afferma con evidenti sottintesi: " "C'è una grande potenza che dirige il mondo... ", una potenza che peraltro non si nasconde dietro un dito, visto che non ha esitato un secondo a freddare le aspettative di coloro (soprattutto Giapponesi ed europei) che per calmierare il mercato chiedevano che gli Usa vi immettessero una quota delle loro riserve strategiche facendo dichiarare al suo sottosegretario al Tesoro, John Snow che: "Per ora gli Usa non faranno ricorso alle loro riserve strategiche per calmierare il mercato. Anzi continueranno ad alimentarle mettendo via ogni giorno centomila barili"".

Un presidente petroliere, un vicepresidente petroliere ed ex amministratore di un'industria bellica, il sottosegretario alla difesa petroliere ed ex amministratore di una società bellica, il segretario di stato ex amministratrice di una società petrolifera; governi alleati con forti interessi petroliferi (Gran Bretagna) o presieduti da finanzieri (Italia): pur mettendo da parte qualunque altra considerazione come si fa a credere che siano andati in Iraq per combattere il terrorismo ed esportarvi la democrazia? Vuoi vedere che alla fine si scoprirà che fra i "terroristi" molti neppure parlano l'arabo?

gp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.