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Home ›Lotte operaie nel mondo - Negli Usa Bush taglia i contributi sanitari, In Cina non pagano i salari
Usa
Almeno 20mila lavoratori della General Motors hanno partecipato allo sciopero del 14 e 15 gennaio. Lo sciopero è stato il primo di livello nazionale dopo più di trent'anni, nell'azienda che è la maggiore al mondo per capitalizzazione borsistica. In particolare la mobilitazione era diretta contro la decisione dell'azienda di scaricare sui lavoratori i maggiori costi delle spese sanitarie, un danno valutato dai lavoratori intorno ai 600-700 dollari l'anno. E nel futuro la situazione potrà soltanto peggiorare, viste le intenzioni di Bush di ridurre ulteriormente i contributi statali per l'assistenza sanitaria. Naturalmente ciò non è da ascrivere soltanto alle propensioni bellicose dell'attuale presidente ed alla sua personale volontà di favorire i più ricchi, ma rientra piuttosto nell'attacco complessivo del capitale a danno dei salari: sia quelli diretti, presenti in busta paga, che quelli indiretti, usufruibili come assistenza sanitaria, pensioni e sussidi, comunque finanziati dal lavoro salariato. Per avere una idea di quanto stia diventando preoccupante il problema dell'assistenza sanitaria negli Stati Uniti basta osservare che, nonostante nel complesso sia la nazione che al mondo spende di più per la salute, oltre 41 milioni di cittadini non hanno neppure una assicurazione che copra le spese per medicine. Non stupisce il fatto che l'80% degli americani per cui la salute è poco più che una speranza vivono in famiglie a basso reddito. In questo contesto la mobilitazione dei lavoratori della General Motors può essere considerata un piccolo episodio, però di certo degno di attenzione: lo sciopero del 1969, l'ultimo di livello nazionale alla General Motors, durò ben 14 settimane.
Francia
Preoccupante sequenza di fallimenti e chiusure in Francia. La sola Daewoo ha chiuso 3 fabbriche in Lorena, uno stabilimento per la produzione di forni a micro-onde a Villiers la Montagne ed uno per la produzione di componentistica per televisori a Mont Saint Martin. In tutto, circa 720 lavoratori si sono trovati improvvisamente senza lavoro e senza neanche i sussidi previsti dalla legge. I 300 dipendenti della Daewoo Orion hanno quindi deciso di occupare la fabbrica, a pochi chilometri da Strasburgo, dove lavoravano fino a pochi giorni prima.
Di fronte alla mancanza di qualsiasi certezza, i lavoratori hanno minacciato anche di inquinare le acque del fiume Chiers con pericolose sostanze chimiche se non avessero ricevuto garanzie sul loro immediato futuro.
Sorte analoga è capitata agli operai della Tetsut, una fabbrica di bilance nel nord della Francia, che occupano gli impianti dal 9 gennaio, pretendendo dal loro vecchio padrone almeno il pagamento delle indennità di licenziamento. I proprietari, svizzeri, non sembrano intenzionati a rispettare la normativa francese e pagare quanto dovuto. Un caso analogo si era verificato nella stessa regione l'anno scorso, in una fabbrica tessile, ed alla fine si era dovuta accollare gli oneri la regione.
Il 3 gennaio, al ritorno dalle vacanze natalizie, hanno trovato i cancelli chiusi anche i 46 lavoratori della Palace Parfums di Saint Nicolas d'Aliermont. Due giorni dopo il proprietario ha dichiarato fallimento, annunciando di non disporre del denaro necessario a pagare le indennità ai lavoratori, lasciati per strada da un giorno all'altro.
Infine è stata annunciata la chiusura nel giro di 5-8 giorni della fabbrica Metaleurop di Noyelles Godault, nella regione Nord-Pas de Calais. Per gli 830 operai, a cui è stato assicurato soltanto che riceveranno lo stipendio di gennaio, le prospettive non sono certo rosee, in una regione dove la disoccupazione viaggia attorno al 25% raggiungendo in alcune zone addirittura il 50%.
E così hanno deciso di occupare gli impianti e bloccare le materie prime ed i prodotti in magazzino. L'annuncio della chiusura ha fatto seguito alla denuncia di alcuni abitanti della zona per l'inquinamento prodotto dagli impianti. In realtà la denuncia è poco più che una scusa, visto che la Metaleurop ha continuato ad inquinare bravamente suolo, aria e falde acquifere della zona per un intero secolo. Se negli ultimi anni la fabbrica rilasciava nell'atmosfera 50 chili di polveri di piombo al giorno,20 anni fa questi erano 400, e negli anni 70 addirittura 2 tonnellate. Test effettuati nella zona hanno rivelato come i casi di saturnismo tra i bambini siano ampiamente al di sopra della norma. Naturalmente il prezzo più alto è stato pagato dai lavoratori esposti ad ambienti altamente contaminati da diossina, piombo, cadmio, zinco. La zona è talmente inquinata che le autorità sconsigliano di coltivare verdure nei terreni circostanti. Il costo di una eventuale bonifica si aggirerebbe intorno ai 10 milioni di euro, una cifra che gli azionisti si guardano bene dallo sborsare. Gli avvoltoi hanno sbranato la carcassa. Il resto a loro non interessa.
Disoccupazione nel mondo
Il rapporto presentato dall'International Labour Office a Ginevra fornisce un quadro del lavoro nel mondo allarmante. Allo stato attuale, secondo le stime ufficiali, ci sono nel mondo almeno 180 milioni di disoccupati,20 milioni in più di quanto stimato nel 2000. E la chimera della ripresa nel 2003 diventa ogni giorno meno sostenibile anche dai più viscidi servitori della propaganda borghese. Il numero di persone che vivono, o meglio cercano di sopravvivere, con meno di un dollaro al giorno, ha raggiunto nuovamente i livelli del 1998. E sono tutti ben al di sotto della soglia di povertà, fissata dalle Nazioni Unite a due dollari al giorno. I cosiddetti lavoratori poveri, cioè coloro che, nonostante dispongano di un lavoro, non riescono però a guadagnare neanche quanto è necessario al loro sostentamento, sono stimati in circa 550 milioni. Se negli stati dell'Unione Europea la disoccupazione ufficiale è valutata al 7,6%, negli Stati Uniti al 5,6% a nel Canada al 7,6%, negli stati della periferia capitalistica la situazione è ben peggiore, come nel caso dell'Argentina, dove la percentuale di disoccupati è superiore al 20%. Ma il quadro che emerge dalle stime ufficiali, sia pur allarmante, non si avvicina minimamente a fotografare una situazione reale ben più grave, basandosi su conteggi faziosi, che annoverano tra gli occupati anche i lavoratori saltuari, che magari lavorano solo una manciata di giorni all'anno, e non potendo coprire le economie largamente informali degli stati del sud del mondo.
Cina
Le proteste dei lavoratori migranti in Cina si sono intensificate in coincidenza con il capodanno cinese, che cade alla fine di gennaio. I lavoratori chiedevano il pagamento dei salari arretrati in modo da potersi pagare il viaggio di ritorno dalle loro famiglie durante le vacanze: spesso questa è la sola occasione che hanno di rivedere i loro figli. Le proteste hanno avuto luogo a Pechino, Shenzen, Jinan, Nanjing e Guangzhou. In una delle proteste maggiori, diverse centinaia di lavoratori si sono asserragliati in un quartiere nord-occidentale di Pechino, dove migliaia di lavoratori attendono ancora il pagamento di vecchi salari, alcuni anche da due anni.
Altre proteste hanno avuto luogo a Nanjing, dove più di 300 muratori sono scesi in piazza e a Jinan, nella provincia di Shandong, dove un uomo si è dato fuoco dopo che la sua richiesta di ricevere le paghe arretrate è stata rifiutata. A Shenzen una dozzina di lavoratori disperati ha minacciato di lanciarsi nel vuoto da un grattacielo in costruzione. Più di 100 milioni di lavoratori rurali cinesi si sono trasferiti per lavoro in città dall'inizio delle riforme economiche. La maggior parte di loro è costretta a lavorare parecchie ore per misere paghe, senza alcuna assicurazione sanitaria o pensionistica e, secondo una recente indagine, il 72,5% dei lavoratori cinesi ha difficoltà a farsi pagare gli stipendi regolarmente.
MicBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2003
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