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Home ›Vertice di Madrid - L'America Latina terreno di scontro imperialista
Il mondo si sta muovendo a passo accelerato, ma non nel senso indicato dagli uomini di governo riuniti negli spettacolari mega show internazionali chiamati "summit"; i sorrisi, gli abbracci (...le corna) le scenografie faraoniche sono l'immancabile cortina di fumo con cui i "Grandi" (briganti) del pianeta tentano di nascondere ai comuni mortali verità tanto elementari quanto scomode. Una di queste è che i contrasti tra i singoli stati o gruppi di stati, invece di scomparire di fronte ai comuni pericoli che minaccerebbero la libertà e la democrazia, si fanno via via più aspri e preparano per l'umanità foschi scenari di distruzione e morte.
Il vertice tra Unione Europea e paesi latino-americani - tenutosi a Madrid il 17 e 18 maggio - ne è un esempio lampante. Infatti, al di là delle solite chiacchiere sulla lotta al terrorismo, sullo sviluppo dei diritti umani, ecc., la vera questione sul tappeto erano i rapporti economici tra le due sponde dell'Atlantico, nella prospettiva comune di un rafforzamento ed estensione di tali rapporti, che, negli ultimi anni, sono già aumentati in misura notevolissima. Per citare solo alcuni esempi, la multinazionale agro-alimentare Parmalat realizza in Brasile il 20% del proprio fatturato e la Pirelli, nel 1999, il 50% del proprio utile netto; anche FIAT, Telecom, Banca Commerciale Italiana, AGIP (per limitarci solo alle più conosciute delle centinaia di aziende italiane là presenti) realizzano in quel paese quote considerevoli del loro fatturato complessivo. Molto simile è il quadro dell'Argentina, in cui interi settori economici sono passati sotto il controllo di imprese europee (e statunitensi), specialmente dopo la massiccia ondata di privatizzazioni degli anni novanta (per i dati citati, vedere alla voce "Dinucci" in zanichelli.it ). È più che evidente, dunque, l'interesse della borghesia europea a consolidare e, se possibile, allargare la propria presenza nel continente latino-americano, ricchissimo tanto di materie prime quanto di miseria, vale a dire di forza lavoro a basso o bassissimo costo: due elementi fondamentali da sfruttare all'estremo per pompare aria fresca nei polmoni affaticati del capitalismo di Eurolandia (come del mondo intero). La nascita dell'euro può indubbiamente favorire questo processo, ma, nello stesso, tempo, inasprire le già tese relazioni commerciali - e quindi politico-strategiche - con la super potenza yankee, che da sempre considera tutto ciò che esiste dal Rio Bravo (1) in giù come propria esclusiva riserva di caccia.
Infatti, negli stessi giorni del vertice di Madrid, la riunione dei paesi OCSE a Parigi ha registrato un altro duro scontro tra gli USA, da un lato, e l'Europa (ma non solo) dall'altro, in merito alla politica doganale protezionistica e agli aiuti all'agricoltura. Com'è noto, il presidente Bush ha messo sull'acciaio d'importazione delle tariffe molto alte e ha stanziato quasi duecento miliardi di dollari a sostegno dell'agricoltura statunitense, alla faccia della tanto sbandierata libertà di mercato. L'ovvia e fortissima contrarietà dell'Unione Europea manifestata a Parigi è un altro tassello che si aggiunge a una lunga serie di attriti, e l'intensificazione degli scambi economico-finanziari con l'America latina di cui si parlava prima butta altra legna sul fuoco - per ora contenuto - dei contrasti interimperialisti. Difatti, la borghesia latino-americana o, meglio, una parte di essa, spinge per stabilire un rapporto privilegiato col capitalismo europeo al fine quanto meno di attenuare, le conseguenze per molti aspetti devastanti che si abbatteranno sull'economia del cono sud del continente americano con l'entrata in vigore, nel 2005, dell'ALCA, vale a dire l'Area di Libero Commercio delle Americhe. Questo trattato, fortemente voluto e imposto dagli Stati Uniti, creerebbe un'unica, immensa regione in cui merci e capitali - ma non gli esseri umani! - possono spostarsi liberamente senza vincoli di sorta dall'Alaska alla Terra del Fuoco. È evidente che gli sconvolgimenti sarebbero enormi: le debolezze strutturali dell'economia latino-americana saranno accentuate, così come cresceranno la povertà e la sottomissione nei confronti del super brigante imperialista nordamericano, esattamente com'è avvenuto per il Messico dopo l'entrata in vigore del NAFTA nel 1994. Infatti, la crisi globale dell'economia capitalistica - cioè, in sostanza, il motore di quanto accade oggi nel mondo - sta mordendo a fondo nelle economie di quei paesi e quindi nelle carni del proletariato latino-americano, restringendo sempre di più i già scarsi spazi di autonomia politico-economica dei singoli stati regionali. Costoro non sono più in grado di sostenere i costi economico-sociali di una ridistribuzione capace di assicurare sufficienti livelli di vivibilità alle proprie popolazioni. Questa situazione, particolarmente evidente in Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, pare estendersi in modo irresistibile in Argentina, Cile, Brasile, tanto l'America Latina è colpita da un processo strutturale di desertificazione produttiva. Siamo in presenza di una caduta verticale dell'agricoltura e dell'industria, sostituite da uno sviluppo mostruoso della speculazione finanziaria, incapace di generare tecnologia e trasmettere slancio produttivo al sistema economico. In queste condizioni, le economie della regione non hanno la benché minima possibilità di competere all'interno delle aree di integrazione economica promosse dall'imperialismo yankee, quali, appunto, l'ALCA. Su questa strada i paesi latino-americani tendono a cadere, va ricordato, ancora più sottomessi alle strategie subcontinentali degli USA; infatti, più si approfondisce la crisi dell'area, più aumentano le pressioni sui governi per passare alla dollarizzazione e rendere operativo il trattato di libero commercio con gli USA. Questi ultimi sono estremamente interessati a estendere la loro partecipazione all'economia della regione (cioè, a ciò che rimane di essa) per occupare gli spazi di mercato dei loro rivali europei e asiatici. Ma i settori industriali della borghesia si oppongono a questa annessione economica (e anche politica) che finirebbe per annientare del tutto le strutture portanti dell'economia. E sono proprio questi settori di borghesia che vogliono sia rilanciare o rafforzare i trattati di libero scambio regionali (tipo il MERCOSUR) che le misure protezionistiche sui comparti economici di base e strategici, quanto un rapporto più stretto con l'Unione Europea, nella speranza di sfuggire alle fauci fameliche dello squalo yankee e conseguire uno sviluppo economico autonomo, nonché democraticamente orientato. Ma queste sono solo le favole raccontate a Porto Alegre e bevute come pura acqua di fonte da ampi starti del movimento no-global. Tutto ciò, infatti, ha più a che fare con le necessità di suscitare/conquistare consenso sociale da parte della borghesia brasiliana e latino-americana che con la realtà del capitalismo, perché qualunque progetto di integrazione ai grandi mega stati imperialisti (ALCA o UE) implica necessariamente un inasprimento della competitività e, quindi, un inasprimento dello sfruttamento, tanto a livello della fatica che del salario operai.
La posta in gioco è dunque alta, molto alta, e se a Madrid non si è andati molto più in là di auspici e dichiarazioni di intenti è perché effettivamente gli scogli da superare sono tanti e pericolosi, primo fra tutti la fragilità della costruzione europea; non è detto che l'ancor scombinata flotta dell'imperialismo europeo riesca ad evitarli, ma è quella la direzione verso cui la sospingono i venti impetuosi della crisi capitalistica mondiale. È certo, invece, che l'imperialismo a stelle e strisce prende sul serio la minaccia che viene dall'Europa, se nei war games (giochi di guerra) simulati alle "play station" della CIA si ipotizza quello che per ora potrebbe sembrare solo fantascienza: un 2015 in cui "l'alleanza tra USA ed Europa crolli, a causa in parte dell'intensificazione delle guerre commerciali e della competizione per la leadership sulle questioni di sicurezza" (il Manifesto,26-05-02). Già oggi il sistema economico dell'Unione Europea (e anche la sola Eurolandia, cioè i paesi dell'euro) per molti aspetti supera ampiamente gli Stati Uniti e se - il condizionale è d'obbligo quando si parla di processi storici in corso - la tendenza in atto dovesse rafforzarsi, lo scenario prospettato dalla CIA e dal NIC (National Intelligence Council) non sarebbe più tanto fantascientifico, ma un'anticipazione del futuro prossimo.
(1) Il Rio Bravo è il fiume che segna il confine tra il Texas e il Messico.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2002
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