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Home ›Sullo sciopero generale di aprile - La CGIL scopre la lotta di classe?
Alla fine, la CGIL si è decisa a proclamare lo sciopero generale contro la legge delega sulla riforma dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori, sull'estensione/intensificazione della flessibilità (leggi: precarietà furibonda) e sull'ulteriore sgretolamento del sistema pensionistico.
Come tutti sanno, il più grande sindacato italiano ha preso questa iniziativa nonostante il parere contrario degli altri due compari - CISL e UIL - attirandosi pesanti critiche da parte del governo e del padronato, che vedono nella decisione di Cofferati e compagnia cantante un tentativo di eccitare e "strumentalizzare la piazza" a favore del centro-sinistra, per fini, dunque, esclusivamente politici. Non solo, ma quel che, dal loro punto di vista, è più grave, accusano la CGIL di vetero massimalismo ossia di aver abbandonato la strada del confronto "civile" per rispolverare la vecchia e orribile lotta di classe.
È proprio così? È credibile che la CGIL, dopo aver "responsabilmente" piegato generazioni di lavoratori alle supreme esigenze dell'economia nazionale (cioè del capitale) lungo l'arco degli ultimi sessant'anni, rinneghi se stessa e scenda sul terreno dello scontro di classe anticapitalista? Con buona pace di coloro che, a sinistra, si ostinano a coltivare questa vuota illusione, diciamo che no, non è credibile; infatti alla base di questo comportamento ci sono ben altre motivazioni, che niente hanno a che fare con la reale difesa degli interessi operai e, in genere, proletari. Già le modalità e i tempi con cui è stato indetto lo sciopero generale dovrebbero mostrare a sufficienza come la CGIL non si sia spostata di un millimetro dalla tradizionale prassi - per questo specifico aspetto seguita anche dal sedicente sindacalismo di base - di annunciare con larghissimo anticipo il calendario delle astensioni dal lavoro, in modo da attutirne abbondantemente la forza d'urto fino a renderle pressoché innocue, per non turbare sul serio il normale svolgimento delle attività economiche. Non bisogna certo essere degli esperti di "relazioni industriali" per capire che proclamando uno sciopero quasi due mesi prima, ai padroni si dà tutto il tempo di prendere le adeguate contromisure per ridurre al minimo le perdite. Ma c'è dell'altro. Per la prima volta - a nostra memoria - lo scioperò sarà preceduto da una manifestazione nazionale senza che venga data l'indicazione dell'astensione dal lavoro. Tutto questo sembra fatto apposta per dar ragione al padronato quando giudica strumentale e tutta politica l'iniziativa della CGIL. Su questa questione, anche se da un punto di vista diametralmente opposto al nostro, i padroni non vanno fuori bersaglio, sebbene dovrebbero strapazzare un po' meno Cofferati ed essergli un po' più riconoscenti, visto che questi non ha proprio nessuna intenzione di scatenare le "orde operaie" contro i "sacri e inviolabili" valori borghesi del profitto. Al contrario, la manifestazione del 23 marzo ha tutte le caratteristiche di una manovra diretta a far pressione sul governo e sul padronato affinché ammorbidiscano i toni e scendano a più negoziabili pretese nel solco della concertazione, senza che i sindacati perdano quel po' di faccia che è loro rimasta, dando così eventualmente modo alla CGIL di revocare la prima fermata collettiva del lavoro dopo anni di calma pressoché piatta. Se, com'è molto probabile, quella manifestazione dovesse riuscire, l'impresentabile e losca banda Berlusconi, feroce "braccio armato" del padronato nostrano, potrebbe uscirne oggettivamente indebolita, a tutto vantaggio della sgangherata coalizione ulivista, ma non certamente del proletariato. La CGIL (e Cofferati) vedrebbe aumentato il suo prestigio non solo tra il "popolo dell'Ulivo", indignato e confuso per la pochezza dei suoi politicanti, ma anche tra il magmatico movimento no-global, del quale, attraverso la FIOM, è un pezzo importante. Infatti, l'annuncio dello sciopero generale è stato come uno squillo di tromba che ha chiamato all'adunata le diverse anime dei Social Forum, i quali, in molte delle loro componenti, hanno aderito entusiasti all'iniziativa, mettendo il silenziatore alle pur tiepide critiche avanzate in precedenza alla concertazione sindacale. Solo i Cobas, e alcuni altri settori, che dei SF sono parte costitutiva, non hanno ovviamente cambiato le loro valutazioni, pur appoggiando autonomamente la proposta dello sciopero generale. Verrebbe spontaneo chiedersi ancora una volta come facciano a condividere lo stesso progetto/percorso i Cobas, pretesi antagonisti, e la FIOM, sindacato concertativo, ma (l'ovvia) risposta ci porterebbe troppo lontano, su un terreno che, per altro, sulla nostra stampa pratichiamo spesso.
Ma oltre a tutto ciò, in gioco c'è ancora un elemento estremamente importante (un altro pezzo del medesimo puzzle) ossia il ruolo del sindacato quale cogestore, assieme al governo e al padronato, della forza-lavoro. Il persistere e l'acutizzarsi della crisi mondiale del capitalismo vogliono dire, tra le altre cose, l'inasprimento della concorrenza, la durata sempre più breve e la fragilità delle riprese economiche. In un mercato mondiale di questo tipo, dominato dall'incertezza di bruschi alti e bassi improvvisi, i contratti di lavoro - garanzia di stabilità e di "programmazione" per il capitalismo della precedente fase storica - oggi dai capitalisti vengono ritenuti rigidità di cui occorre sbarazzarsi. L'obiettivo, com'è stato ribadito dal convegno torinese della Confindustria del febbraio scorso, è quello di andare verso la soppressione del contratto nazionale, a favore dei contratti individuali o aziendali o, se proprio proprio, di area (regionali, di distretto, ecc.). In ogni caso, "La contrattazione collettiva va condotta avendo come obiettivo la competitività dell'azienda e considerando la situazione economica e legislativa dei paesi in cui il gruppo è presente" (dichiarazione confindustriale riportata dal Manifesto del 23-02). Insomma, un contratto locale, se non individuale, e allo stesso tempo, transnazionale, che livelli (al ribasso, naturalmente) le condizioni di esistenza della classe operaia, che si troverebbe così ad essere veramente internazionale. È evidente che, in un simile quadro, il peso delle organizzazioni sindacali verrebbe fortemente ridimensionato. Ma il sindacato, e in primo luogo la CGIL, non è per nulla disposto a farsi mettere in un angolo, perciò rivendica e rilancia la concertazione, come Cofferati non si stanca mai di ripetere. D'altra parte, che di questo si tratti e non di un improvviso sussulto di intransigenza antipadronale, è dimostrato - se mai ce ne fosse bisogno - dai recentissimi accordi e contratti firmati dai sindacati confederali. Tanto l'accordo del pubblico impiego che i contratti dei chimici, tessili, del gas-acqua, ancora una volta impongono un ennesimo significativo arretramento delle condizioni complessive di lavoro, sia per quanto riguarda gli orari, i carichi di lavoro che il salario/stipendio; anzi, i presunti aumenti sono legati essenzialmente all'andamento della produttività, proprio come vogliono i padroni.
Strettamente legata alla salvaguardia della concertazione, c'è poi la questione importantissima dell'ulteriore smantellamento del sistema pensionistico, vale a dire della gestione del TFR e dei fondi pensione. È noto che i sindacati confederali sono favorevoli ai fondi pensione privati (o integrativi, come viene detto con truffaldina retorica), purché siano cogestiti dal sindacato medesimo - vedi, per es., il fondo COMETA dei metalmeccanici - detti anche fondi chiusi; al contrario, i settori più forti del padronato - cioè capitale industriale e finanziario allo stesso tempo - preferiscono i fondi aperti, terreno di caccia libero per il saccheggio speculativo delle misere pensioni operaie. Insomma, dietro il paravento della difesa del sistema pensionistico pubblico - alla cui demolizione i sindacati hanno dato un contributo determinante - si nasconde, non è inutile ripeterlo, la difesa delle ragioni di esistenza del sindacalismo.
Ciò che, invece, è genuino, spontaneo, senza secondi fini, è la rabbia montante di vasti settori del lavoro salariato e dipendente, che si sta manifestando, da alcuni mesi a questa parte, contro il furioso attacco di padroni e governo. Nonostante finora la CGIL sia riuscita a imbrigliare e dirigere il fermento crescente tra il proletariato, la disponibilità alla lotta dimostrata nei numerosi scioperi più o meno spontanei (in realtà, in gran parte promossi dalle stesse RSU confederali) rimane comunque un fatto positivo e, per certi aspetti, incoraggiante. Siamo però ancora molto lontani da una reale ripresa della lotta di classe di parte proletaria, che, anzi, per essere veramente tale, dovrà prima di tutto cominciare a scrollarsi di dosso ogni illusione e ogni soggezione verso il sindacalismo: è proprio questo che non ci stancheremo mai di propagandare nei posti di lavoro, negli scioperi e nelle manifestazioni di piazza a cui partecipiamo, come sempre, criticamente.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 2002
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