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Home ›L'Iraq sempre nel mirino Usa - Il petrolio momento acceleratore della composizione dei fronti imperialisti
Dopo undici anni di embargo costati oltre un milione e mezzo di morti, gli Stati Uniti, sempre in nome di nobili sentimenti umanitari che dovrebbero contraddistinguere la loro superiore civiltà, minacciano un nuovo attacco all'Iraq. Un paese già sottoposto a continui bombardamenti aerei, ridotto alla fame e che a detta degli osservatori Onu più imparziali non costituisce nessun pericolo.
Quindi cosa induce gli americani a rispolverare la minaccia di Saddam Hussein e di altri stati accusati di sostenere il terrorismo?
Primo, rafforzare e rimarcare la loro presenza diretta nell'area mediorientale quale ammonimento affinché nulla si muova senza il loro consenso, e ancora di più a scoraggiare azioni che vadano contro i loro interessi. Infatti la possibilità di sommovimenti è cresciuta a seguito della guerra in Afghanistan, sia nella lotta di potere tra le borghesie locali che tra le masse diseredate alla mercé di queste stesse borghesie. In questa direzione va il possibile intervento in Somalia, configurandosi come una sorta di accerchiamento da nord a sud dell'Arabia Saudita quale deterrente o per un pronto intervento nel caso la situazione precipitasse. Inoltre gli Usa vogliono riaffermare la loro autorità, aldilà delle apparenze unitarie, e il loro dominio imperialista sui concorrenti europei in primo luogo, poi su quello russo in ripresa dopo un lungo letargo.
Secondo, alimentare la figura del mostro Saddam agli occhi dell'opinione pubblica internazionale per prorogare nuovamente l'embargo venuto a scadenza, e quindi impedire al petrolio iracheno di riversarsi sul mercato senza il controllo del grande fratello yankee. Dobbiamo sempre tenere ben presente che l'Iraq è il secondo produttore mondiale di petrolio dopo l'Arabia Saudita, con il costo di produzione più basso di tutti: circa due dollari al barile, contro i tre della Penisola Arabica e i dieci del Mare del Nord. Ma soprattutto spaventano gli Usa gli accordi commerciali già stipulati dall'Iraq con Russia ed Europa in caso di cessazione delle sanzioni, i quali prevedono l'aumento della produzione dai potenziali tre milioni di barili al giorno a cinque.
Il rais certamente non è uno stinco di santo, ma un satrapo borghese esattamente come il suo collega Bush, e in tutto questo tempo non ha patito minimamente le sofferenze della sua popolazione, ma al contrario ha continuato ad arricchirsi, a costruire palazzi per se e la sua corte, e a consolidare il culto della personalità.
Egli come Bin Laden e tanti altri sanguinari dittatori sono stati il prodotto della guerra fredda, creazioni delle varie amministrazioni americane e della Cia per i loro giochi: "Negli anni '60, l'Iraq non offriva il terreno adatto a creare un gruppo politico confessionale. Il Partito comunista rappresentava la forza più popolare, ma era fuori discussione lasciarlo vincere. Washington sostenne dunque l'ala mafiosa del partito Baath e la incitò a decimare prima i comunisti, poi i sindacati degli operai del petrolio. Saddam Hussein se ne incaricò e ottenne, come ricompensa, armi e accordi commerciali, fino al suo fatale errore di giudizio dell'agosto 1991". (Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 2001)
Il suo fatale errore è stato quello di credere di avere le mani libere per poter dare una "lezione" ad un importante creditore, lo stato kuwaitiano, che pretendeva insistentemente la restituzione del debito contratto dall'Iraq servito per finanziare la guerra contro l'Iran. Evento che ha prodotto milioni di morti non solamente a esclusivo interesse della borghesia irachena, ma anche di quelle arabe moderate al potere, e soprattutto del protettore americano.
Consumato l'inganno, da quel momento gli Stati Uniti si sono riservati la facoltà di intervenire direttamente ovunque, in particolar modo su quella vasta area che va dal Mar Caspio al Medioriente per sancire la propria potestà sul petrolio, principale materia prima e strumento strategico attualmente determinante nello scontro interimperialistico. Questo disegno prevedeva che gli amici di ieri come Saddam, compresi i gruppi del terrorismo islamico fomentati e usati da Washington, diventassero i mostri di oggi attraverso i quali giustificare qualsiasi nefandezza.
Le sanzioni all'Iraq ne sono una palese dimostrazione. Nel 1998 gli ispettori Onu, o per essere più precisi alcuni elementi fra loro della Cia, furono mandati via perché gli Usa non volevano prendere atto che la risoluzione 687 sul disarmo non convenzionale era stata rispettata, come avevano sostenuto gli altri esperti della stessa commissione Onu. Ciò avrebbe implicato la fine dell'embargo e l'abolizione delle "no fly zone", le zone di interdizione aerea a nord e a sud dell'Iraq.
L'imposizione americana di fare rientrare gli ispettori e le accuse di appoggiare il terrorismo sono scuse per un nuovo massiccio attacco. L'opposizione di tutti e soprattutto della Russia, hanno fatto rientrare, almeno per il momento, tale prospettiva. Il compromesso raggiunto vede la proroga delle attuali sanzioni per altri sei mesi, invece dell'immediato inasprimento delle misure definite "sanzioni intelligenti". Allo scadere del termine esse potranno essere applicate, e prevedono la diminuzione del flusso di merci di prima necessità, come cibo e medicinali, e il blocco del contrabbando di petrolio con i paesi limitrofi, soprattutto con la Siria.
Dal 1996, anno della fasulla risoluzione umanitaria "cibo contro petrolio", i 49 miliardi di dollari ricavati ufficialmente dalla vendita del petrolio sono serviti a pagare i danni di guerra agli americani e solo 16,8 miliardi di dollari sono stati utilizzati per aiutare la popolazione. Ma ciò non basta, anche le briciole vorrebbero togliere; il cinismo e la faccia tosta della borghesia imperialista non ha limite!
Saddam è servito a legittimare la presenza dei militari nella zona, ora potrebbero sbarazzarsene se le strategie future implicheranno nuove opzioni come il tentativo di smembramento dei paesi petroliferi, e l'Iraq potrebbe rappresentare la prima buona occasione: "Al posto del quale dovrebbero subentrare tre enclave etnico-confessionali (Kurdo-turca al nord, sunnita al centro e sciita al sud) solo formalmente sottoposte a un potere centrale, magari restituite alla monarchia ashemita al potere in Iraq sino alla rivoluzione anti-monarchica del 1958. L'obiettivo finale dell'operazione Usa sarebbe il controllo del paese con le seconde risorse petrolifere al mondo dopo l'Arabia saudita". (il manifesto, 30-11)
Tutto questo fermento guerrafondaio non farà altro che accelerare la composizione dei fronti imperialisti, anche se ancora non ben definiti e suscettibili di mutamenti nel corso degli eventi. Però, ancora una volta, al di là delle false ideologie profuse per spargere fumo negli occhi, la causa prima e ultima della degenerazione capitalista è la crisi del processo di accumulazione, dei profitti, in una parola è la crisi epocale di un sistema basato sullo sfruttamento del lavoro salariato.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2001
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