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Home ›La Fed abbassa ancora il tasso di sconto, e gli economisti mentono
Dietro l'angolo, in realtà, c'è una nuova fase della crisi
In poco più di un mese la Fed ha ridotto di un punto il tasso di sconto. Per trovare un precedente simile, bisogna risalire alla recessione dei primi anni '90, una delle più pesanti di questo secondo dopoguerra; ma nonostante ciò i commentatori economici dei media borghesi e molti economisti parlano delle attuali difficoltà dell'economia statunitense come di un fenomeno del tutto transitorio anzi secondo alcuni del tutto inesistente. Per esempio, secondo la Standard & Poor's DRI, " una maison prestigiosa, ma anche un po' portata al pessimismo" - come scrive G. Turani su Affari & Finanza, l'inserto de La repubblica del 29 gennaio: " Se nel 2000 l'economia americana è cresciuta del 5,1 per cento...nel 2001 crescerà solo del 2,5 per cento." Saremmo insomma in presenza di un semplice rallentamento, robusto ma pur sempre rallentamento e non recessione. Per alcuni osservatori, già nel prossimo giugno, quando la riduzione dei tassi e la riduzione della pressione fiscale avranno dispiegato tutti i loro benefici effetti, la locomotiva americana riprenderà la sua potente e inarrestabile corsa verso la crescita continua. Sbagliano dunque gli investitori internazionali e i consumatori americani a non aver più fiducia: i loro timori sono del tutto ingiustificati e presto l'oro riprenderà a scorrere nelle loro tasche a fiumi. Anche per l'economia europea le cose non dovrebbero andare male; la previsione è che si registrerà un calo nella crescita del Pil di appena lo 0,3 per cento (dal 3,4 al 3,1%), un'inezia: una tazzina di caffè in meno a testa.
Per l'economista borghese, dunque, il fatto che l'economia statunitense stia registrando - come ha ammesso lo stesso Greenspan in una recente audizione al Senato - un tasso di crescita prossimo allo zero è una questione che attiene alla psicologia umana. Ah, quante ne combina la psicologia! Basta che qualcuno si metta in testa un'idea sbagliata e tutto rischia di andare a scatafascio. Guardate quel povero Greenspan: è stato costretto a ridurre i tassi di interesse addirittura come non accadeva da un decennio a questa parte solo perché i consumatori americani si sono lasciati prendere dal panico e la loro fiducia nel futuro dell'economia del loro paese è scesa verticalmente come indica l'indice che la misura passato dai 128,6 punti del dicembre scorso agli attuali 114,4.
Insomma: non sono stati i licenziamenti di massa già effettuati e quelli annunciati a svuotare le tasche dei lavoratori e a far calare i consumi, ma la sfiducia nel futuro. E gli investitori internazionali, quelli che fanno il mercato, quella mano invisibile che tutto sistema e a tutto provvede? Anche loro non comprano più dollari per una sorta di ingiustificata paura? E pensare che solo qualche mese fa, il mercato era il regno della razionalità assoluta e il calcolo di convenienza del consumatore l'unico valido meccanismo di selezione e determinazione dell'efficienza delle imprese.
In realtà le cose non sono cambiate nella testa della cosiddetta gente per opera e virtù dello spirito santo; ma sono cambiate perché è cambiata la realtà.
Da circa trenta anni il capitalismo si dimena con una fortissima spinta alla riduzione del saggio del profitto industriale. Ogni aerea economica per farvi fronte ha fatto leva sui propri punti di forza, nell'area anglosassone e negli Stati Uniti in modo particolare, si è - come abbiamo più volte sottolineato - incrementata la produzione di capitale fittizio come strumento di appropriazione di quote crescenti di rendita finanziaria. Poiché la produzione di capitale fittizio non ha apparentemente limiti di sorta, la gran parte degli economisti borghesi, ritenendo che la ricchezza si genera nel processo di circolazione delle merci e nella fattispecie in quello della circolazione del denaro, ha assunto la crescita della sfera finanziaria al pari di quella della produzione reale delle merci anzi ha ritenuto quest'ultima una manifestazione della prima e non il contrario e perciò anche questa, in quanto semplice conseguenza della crescita del capitale fittizio, senza limiti di sorta. È sfuggito loro completamente che in realtà la crescita della sfera finanziaria soddisfava la necessità di integrare i bassi saggi di profitto industriale con l'appropriazione parassitaria di plusvalore e che la produzione del plusvalore implica necessariamente quella delle merci. Essendo stato svincolato il processo di produzione del capitale fittizio da quello delle merci era del tutto inevitabile, quindi, che a un certo punto
si sarebbe avuta una sua gigantesca sovrapproduzione, soprattutto di quello espresso in dollari, tale da far tremare i polsi a chiunque avesse coscienza che la produzione di capitale fittizio può reggere soltanto in quanto anticipazione di una corrispondente produzione di merci altrimenti esso è destinato a svanire nel nulla, ad essere cancellato.
Greenspan che - è bene ricordarlo - non è uno psicologo, ma il presidente della più importante banca del mondo, questa consapevolezza l'ha sempre avuta e nessuno meglio di lui ha saputo sfruttare il potere imperialistico degli Usa per evitare che la discrasia tra la produzione anticipata di capitale fittizio e quella reale divenisse incolmabile. Per tutto un periodo lo ha fatto favorendo l'importazione di merci dall'estero a basso costo. Quando però gli alti tassi di interesse e l'alto prezzo del petrolio, cioè gli ingredienti che rendevano possibile il finanziamento delle importazioni sia di merci che di capitali, hanno minacciato di strangolare la cosiddetta economia reale che, peraltro, alla prova dei fatti essa è risultata molto più debole di quanto ufficialmente si diceva, ha dovuto cambiare rotta.
Da allora i reali andamenti dell'economia statunitense sono avvolti nel più fitto mistero. In verità, si mentiva anche quando le cose andavano bene dicendo che erano rose e fiori per tutti quando invece lo erano solo per i ricchi; da allora, però, come un tempo nell'ex Unione Sovietica, si mente su tutto. Si mente sulla reale consistenza dei tassi di crescita del Pil artatamente gonfiati da opinabilissimi maquillage statistici; si mente sui tassi di disoccupazione e sulla dimensione del debito, sia pubblico sia privato, nascondendolo dietro gli attivi di bilancio ottenuti con feroci tagli alla spesa pubblica che hanno ridotto all'assoluta povertà oltre 50 milioni di persone. E si mente, naturalmente, anche sulle prospettive future lasciando intravedere un nuovo Eldorado con lo scopo di giustificare e rendere accettabili le mazzate che ci si accinge a infliggere al mondo del lavoro.
Dietro l'angolo, in realtà, c'è una nuova fase della crisi di difficilissima gestione. Si tratta, infatti, di rilanciare in qualche modo la cosiddetta old economy, l'unica che in ultima istanza produce plusvalore, e contemporaneamente mandare al macero una buona parte del capitale finanziario in eccesso senza innescare una reazione a catena che rischierebbe di mandare gambe all'aria l'intero sistema creditizio internazionale. E la cosa, dopo che i salari sono stati ridotti all'osso e milioni di lavoratori scaraventati nel baratro dell'emarginazione sociale, non è per nulla facile; l'economista lo sa e per questo, incrociando le dita nella speranza che la psicologia faccia il miracolo, mente a stesso e agli altri.
GPBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2001
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