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Home ›A Porto Alegre è nata l'Internazionale della piccola borghesia
L'idea che si possa mettere un freno ai guasti più immediatamente visibili del capitalismo, lasciando allo stesso tempo intatte le sue strutture portanti, cioè operando una specie di maquillage sociale, è vecchia come il capitalismo stesso. Da quando la società borghese è nata e si è imposta sul palcoscenico della storia c'è sempre stata qualche "genìa di oscuri riformatori" che si è assunta il compito di riformare un sistema che riformabile non è, cullandosi nell'illusione di aver trovato la scorciatoia per un mondo migliore. Generalmente espressione di strati sociali marginali e/o secondari rispetto alle classi fondamentali del modo di produzione capitalista - borghesia e proletariato - cioè del gran calderone piccolo-borghese, lungo un secolo e mezzo non hanno mai cessato di elaborare progetti di riforma sociale in cui di nuovo ed originale, in fondo, ci sono solo - quando ci sono - le parole e i mezzi con cui vengono esposti. È il destino storico della piccola borghesia, continuamente rimodellata dall'evoluzione del capitalismo, quello di essere sballottata anche ideologicamente tra i due poli della struttura di classe della società odierna, pescando così un po' dall'uno e un po' dall'altro nel mettere assieme un ricettario politico il cui unico pregio è di mostrare come il riformismo non superi mai le categorie economiche e sociali del capitale (mercato, denaro, merce, salario, ecc.), anche quando la critica nei suoi confronti sembra farsi molto dura.
Il Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (Brasile) è un concreto esempio di quanto abbiamo appena detto. In quella città, infatti, dal 25 al 30 gennaio scorso si sono riunite tutte le "anime" del riformismo contemporaneo; prendendo a prestito un noto slogan televisivo, si può dire che c'era veramente di tutto e di più: esponenti di sindacati ufficiali (per es., della CGIL) o dei variopinti sindacatini "antagonisti", associazioni pacifiste e i mutanti della vecchia "Autonomia Operaia", meglio noti come Tute Bianche, nazionalisti "buoni" (in genere quelli anti-USA e/o del "Sud del mondo") e fautori della moderna pidocchieria mercantile ossia le associazioni del "mercato equo e solidale", e via dicendo. Non mancavano nemmeno, purtroppo, rappresentanti di gruppi sociali, o semplicemente umani, ferocemente brutalizzati dal capitale, quali gli indios amazzonici o i contadini brasiliani riuniti nel movimento dei Sem Terra.
Che cosa ci faceva tutta quella gente a Porto Alegre? In polemica col parallelo vertice di Davos, in Svizzera, che riunisce ogni anno altissimi esponenti della finanza, dell'industria, ecc., e in continuità con le azioni anti-mondialiste cominciate a Seattle nel '99, era lì riunita per protestare non contro il capitalismo in sé, ma contro il famigerato neo-liberismo. Come se il neo-liberismo (e lasciamo stare, qui, quanto ci sia davvero di liberismo) fosse una libera scelta politica e non una conseguenza obbligata dell'acutizzarsi della crisi storica del capitale apertasi ormai un trentennio fa. La devastazione degli ultimi territori del pianeta ancora vergini - quali la foresta amazzonica - con il massacro dei suoi abitanti, la degradazione spinta fino all'inedia di intere popolazioni, la monetizzazione di ogni aspetto della vita (a cominciare dalle sue basi biologiche), tanto per citare alcuni esempi, sono gli effetti logici di un capitalismo sempre più affamato di profitto, che travolge e tritura tutto ciò da cui può cavare denaro, senza guardare in faccia nessuno, com'è nella sua natura. Ma a questa avanzata devastante, che cosa oppongono i nostri riformatori? Il mercato equo e solidale, versione moderna nonché reazionaria della nostalgia di un mondo col bottegaio sotto casa, che però non ti "frega"; il mutualismo, cioè lo sviluppo di "nuove" forme cooperativistiche, come se più di cent'anni di storia non avessero dimostrato a sufficienza che la cooperativa non abolisce il denaro né il mercato - vale a dire, il capitale - e che, passati i primi tempi pionieristici, è fatalmente destinata ad assumere, anche formalmente, le sembianze di una qualsiasi altra impresa capitalistica. Oppure, tra le tante fantasiose opzioni, si è parlato di contropotere, fondato su una democrazia effettivamente esercitata dai cittadini, cioè tanto dal povero in canna quanto dal magnate della finanza: nient'altro che l'esaltazione della base dell'inganno politico-statale borghese. Questa verità elementare ha però divieto d'accesso nei sogni dei riformisti, che, a riprova della fattibilità delle loro utopie, riportano l'esempio del buon governo della città di Porto Alegre, governata da una solida maggioranza di sinistra. Ospedali, scuole, assistenza sociale messi in opera dalla giunta municipale che chiama costantemente i cittadini a partecipare alla gestione dei fondi, il cui rubinetto, però, occorre dirlo, è nelle mani del governo centrale. Ora, senza mettere in dubbio l'onestà degli amministratori di quella città, essi non fanno altro che cercare di amministrare al meglio l'esistente, rispettandone le compatibilità, non di cambiarlo radicalmente; come ha detto il sindaco di Montevideo, il loro obiettivo è quello di "regolare e controllare la brutalità del mercato" (il Manifesto, 31-1). Se, dunque, secondo quanto pretendono contadini francesi e cybernauti in tuta bianca, per assurdo il mercato fosse dolce come un amore e regolato come un orologio svizzero (ma chi detta le regole, e quali?) si spalancherebbe davanti a noi il paradiso in terra.
In chiusura di queste note è doveroso sottolineare, perché estremamente illuminante, che nell'appello lanciato dal Forum Sociale, in cui si invita alla "resistenza nelle città e nelle campagne, nelle scuole, università e favelas" (il Manifesto, 16-1) manca significativamente qualsiasi accenno alla fabbrica, all'ufficio, in breve, al posto di lavoro in genere. Forse perché anche i nostri "antagonisti" mondializzati credono alla scomparsa della classe operaia e del proletariato; o, forse, per non urtare la sensibilità dei cittadini ministri e deputati francesi, accorsi (e ben accolti) a Porto Alegre per testimoniare la loro lotta anti - mondialista (ossia anti-USA) a favore del formaggio camembert e contro le indubbie schifezze del McDonald's. Peccato, però, che tra tanti "irriducibili" sindacalisti, nessuno - per quanto ne sappiamo - si sia indignato, ricordando che proprio in questo periodo il democratico e "di sinistra" governo francese sta anch'esso smantellando il sistema pensionistico o che ha favorito e favorisce la precarizzazione spinta della forza-lavoro dietro il paravento di una parodistica riduzione dell'orario di lavoro. Sarebbe stato il primo passo per mettere sui giusti binari la lotta al neo-liberismo, ma sarebbe stato anche, come è, pretendere troppo dalla neo costituita Internazionale della piccola borghesia.
CBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio 2001
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