A Trieste si raduna il "fascimo" europeo

In simili occasioni si fa sentire più forte e impellente la necessità del lavoro che il Partito deve svolgere per radicarsi nella classe.

La notizia risale ormai a quasi due mesi fa e, dopo aver suscitato indignazione e commenti da parte della borghesia benpensante o "progressista" che fosse, è ormai caduta nel dimenticatoio.

Il mese di novembre dovrebbe (il condizionale è d'obbligo visto il gran coro di proteste) vedere concentrarsi a Trieste le forze europee che si rifanno al più bieco nazifascismo (incluso il famigerato NPD, posto ai limiti della legalità in Germania). L'iniziativa è stata organizzata dai fascisti "clericali" di Forza Nuova, organizzazione purtroppo ben radicata (per comprensibili motivi) nel capoluogo giuliano.

Perché la scelta è caduta proprio su Trieste, così decentrata e distante dalle cronache nazionali? Le ragioni ci sono tutte, ma possono sfuggire a chi conosce poco una realtà per l'appunto distante ai più. Tutto è riscontrabile nel retaggio storico di una zona che proprio a causa del suo passato vede sorgere e proliferare estremismi di destra e posizioni che nella gran parte dei casi vanno a disperdere le forze potenzialmente rivoluzionarie del proletariato giovanile di periferia.

In passato, la città ha lottato per difendere la sua italianità contro l'ipotesi che la vedeva essere prima zona franca e poi possibile territorio d'annessione della Yugoslavia nel secondo dopoguerra. Altro pesante fattore è l'occupazione delle bande partigiane titine che si distinsero per l'aberrante pratica delle foibe in cui oltre ai fascisti (che avevano compiuto proprio a Trieste le peggiori nefandezze nell'unico lager presente in Italia, la Risiera di San Sabba, altro motivo di tensioni e dibattito), caddero molti innocenti e, forse non per caso, anche alcuni militanti della nostra organizzazione, pericolosi per la loro propaganda che condannava come logiche borghesi il partigianesimo e il nazionalismo che animavano da una parte il PCI di Togliatti (fedele alle direttive di Stalin e degli Alleati) e dall'altra Tito (che nella zona istriana applicò la slavizzazione dei cognomi italiani, procedura utilizzata all'inverso dai fascisti con gli slavi che vivevano a Trieste).

In una terra così vicina al confine, dove è fortemente sentito il problema delle minoranze etniche e del bilinguismo, vista la nutrita componente di origine slava concentrata per lo più sull'altipiano, dove gli esuli istriani sfuggiti agli espropri titini e di conseguenza anticomunisti costituiscono un influente gruppo di pressione, dove le simpatie ad Haider sono sbandierate a destra e a manca, la destra (sia essa anche moderata) trova un fertile terreno per le sue parole d'ordine e primo fra tutte il nazionalismo.

Di destra è l'aria che si respira in città, in cui non è raro trovare ancora i nostalgici dei "fasti" asburgici, fieri della loro sudditanza a un impero che aveva reso Trieste il suo unico porto: in un simile clima, la piccola borghesia e, purtroppo, ampi strati di proletariato, se non schiettamente fascisti, si attestano spesso su posizioni reazionarie, razziste e intolleranti che trasformano il tanto decantato crogiolo di razze mitteleuropee in un luogo di tensioni e diffidenza etnica.

Tenuto conto di tutto ciò, forte è il messaggio che il raduno fascista potrebbe mandare da Trieste.

Le opposizioni in città non mancano di certo e, come da prevedersi, abbracciano tutto lo spettro politico (da Rifondazione Comunista ad Alleanza Nazionale): tutte le formazioni politiche borghesi stigmatizzano l'iniziativa per il proprio sporco gioco elettoralistico e di propaganda. Chi per serrare le file intorno ad un sempre utile quanto stramasticato antifascismo, chi per dimostrare (checché ne pensi la base) di essersi trasformato in destra moderata e "moderna" o, come dicono essi stessi, "europea", non più sensibile alle nostalgie del Ventennio.

Dalla sinistra parlamentare e non, piovono accuse e proteste, ma come al solito, vista la chiara natura borghese (per quanto talvolta radicale) di queste formazioni, la mira va fuori bersaglio. Il fascismo viene ancora una volta bollato con accuse moralistiche - leggi ingiusto e sbagliato, gretto e meschino - in pieno stile clericale (basti pensare che questi chierichetti, appoggiati dai residui locali delle tutine bianche, l'autonomia del nord est, hanno manifestato il proprio dissenso andando a coprire le scritte murali dei nazi in quanto anticostituzionali - termine che essi stessi usano nel promuovere l'iniziativa).

Noi, comunisti rivoluzionari, rifiutiamo le condanne morali e aprioristiche al fascismo e ne analizziamo la natura meramente borghese. Esso altro non è che una faccia che il capitalismo fa assumere ai sistemi politici per il proprio bieco interesse (cioè mantenersi in vita un po' più a lungo nonostante le sue contraddizioni) qualora ce ne fosse bisogno. Il fascismo, da un punto di vista di classe, è deprecabile né più né meno della politica democratica borghese che sbandiera libertà e giustizia sociale, intendendo però con questi termini soltanto la possibilità di sfruttare "democraticamente" e in maniera apparentemente giusta e accettabile il proletariato.

Ovviamente non possiamo che condannare il raduno fascista e lo forze che lo animano, ma lo facciamo ben lontani dal coro ipocrita dei partiti democratici borghesi, che altro non sono che l'altra lato della stessa medaglia (il sistema capitalista). Essi infatti, se da una parte criticano in modo strumentale la violenza dei nazi, dall'altra non fanno altro che esercitare le propria violenza istituzionale che affama la classe operaia grazie a flessibilità, lavoro interinale, libertà di licenziamento e tagli a stato sociale e pensioni.

L'antifascismo che prescinde dall'analisi della natura di classe del fascismo, l'antifascismo in sé e "prima di tutto", pertanto e indipendentemente dalle intenzioni di chi lo pratica, funziona come un autentico specchietto per allodole utile per attirare l'attenzione del proletariato su un falso obbiettivo: ne ritarda la presa di coscienza che il vero nemico è il capitalismo e che senza l'abbattimento di questo la condizione che gli deriva dall'essere classe sfruttata non potrà cessare né tanto meno migliorare.

In simili occasioni quindi, non possiamo che sentire come più forte e impellente la necessità del lavoro che il Partito deve svolgere per radicarsi nella classe, un lavoro all'insegna dell'anticapitalismo svolto sulla linea del programma comunista.

Soltanto la rivoluzione proletaria potrà infatti spazzare questo orrendo sistema di sfruttamento e con esso le idee da lui generate, siano esse quelle democratiche o quelle delle destra reazionaria e fascista, entrambe nemiche della classe degli sfruttati.

dd

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.