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Home ›Prime ombre sulla new economy - Plusvalore virtuale e plusvalore reale
La new-economy si presenta come un fenomeno sia tecnologico che ideologico, manovrato dal capitale finanziario in funzione della propria valorizzazione e dei processi di integrazione e globalizzazione delle maggiori multinazionali. Processi che si sono sviluppati inizialmente negli Usa, centro dell'imperialismo mondiale, basandosi su massicci investimenti all'estero (Paesi a basso costo del lavoro) e sulla importazione di prodotti da collocare sul mercato interno con lauti guadagni.
Proprio dagli Usa, nella californiana Silicon Valley, ha mosso i suoi primi passi la rivoluzione digitale con la diffusione dell'Hardware (anni Sessanta). Dalle stanze del Pentagono, sotto il nome di Arpanet, cominciano i dialoghi fra computer e prende forma il progetto Internet. Negli anni Ottanta arriva il software ed entra in scena Microsoft; negli anni Novanta parte la prima world wide web (w.w.w.).
Oggi le grandi società americane producono a basso prezzo con ingegneri di Singapore, software in India, hardware a Taiwan, microprocessori in Malesia; importano e rivendono negli Usa con alti margini di profitto. Un ciclo produttivo internazionalizzato a tutto vantaggio della espansione finanziaria del dollaro, dei suoi alti tassi di cambio e degli affari delle grandi società Usa. Lo stesso deficit estero della bilancia dei pagamenti americani viene sostenuto e rifinanziato dagli investimenti diretti e di portafoglio provenienti soprattutto dall'Asia.
Secondo l'imperante pensiero borghese la new-economy, ovvero la costituzione di una rete telematica globale, farebbe entrare il capitalismo in una nuovo ed esaltante ciclo di ininterrotto sviluppo; una fase paradisiaca perché finalmente libera da ogni pericolo di crisi. L'informazione, la sua diffusione in tempi reali attraverso l'applicazione delle più sofisticate tecnologie computerizzate, consentirebbe fra qualche anno al capitalismo - così si racconta - di produrre solo ciò (qualità e quantità) che il consumatore ordinerà via internet. Grazie alla telematica, Il commercio elettronico e non più il profitto diventerebbero il vero motore del sistema economico.
Il miracolo sarebbe dunque alle porte: affrettatevi a raccoglierne i frutti comprando le azioni di decine, centinaia di tecnologiche imprese. Ecco il settore della new-economy in piena attività, e quello finanziario-borsistico vi si affianca stabilendo una vera e propria sinergia (processo di integrazione) fra il sistema produttivo elettronico e quello finanziario. Si moltiplicano centri e società specializzate, nuove figure e categorie professionali che assorbono fino a un quarto di tutta la forza-lavoro occupata americana. La Borsa va in subbuglio: l'euforica corsa ai titoli TMT (Technology Media and Telecommunication) ha fatto salire del 50% negli Usa l'indice borsistico del settore in 6 mesi (ottobre '99-marzo 2000); 120% in Europa e 145% in Italia.
Ma improvvisamente è seguita una caduta di un terzo del loro valore, poi una ripresa più contenuta. Le impennate si sono basate sulle aspettative di uno sviluppo rivelatosi in breve molto incerto. Mentre negli Usa la new-economy poggia maggiormente su grandi società tecnologiche che puntano su infrastrutture e servizi a grandi imprese per il momento in espansione, in Europa nel settore TMT dominano le compagnie telefoniche con incerte previsioni di durature risposte da parte dei consumatori (telefonini, Internet, ecc.).
Tutti i titoli della new-economy hanno comunque il loro valore di mercato notevolmente gonfiato: i prezzi di Borsa possono essere in molti casi dimezzati. La new-economy si basa quindi sulla fiducia borsistica, pronta a svanire se domani i profitti non decolleranno concretamente. Già oggi i profitti delle società presenti nel settore sono deboli o quasi nulli; i guadagni sono solo quelli ottenibili in Borsa e su di essi si basa il commercio e-mail.
Il fatto che una parte delle aziende commerciali possa muoversi su Internet, sia per l'offerta che per l'ordinazione di merci, significa che il marchio dei prodotti da vendere al dettaglio entra in rete, ma la sua valorizzazione dipende - ancora una volta - dalla qualità della merce offerta e, soprattutto, dalle disponibilità in soldoni per l'acquisto da parte della "clientela". Tolto il settore dei servizi finanziari, da solo Internet non potrebbe che ottenere dei risultati effimeri; le pure imprese on-line, le solo in rete, dovranno presto fare i conti reali e non virtuali affrontando il problema di organizzazioni adeguate e capacità logistiche. Vedi il colosso americano Amazon.com che nonostante i suoi capannoni, magazzini, consegne e filiali a vasto raggio, ha visto il valore dei suoi titoli azionari abbassarsi di quasi il 70% dai precedenti massimi. I margini di profitto che la Amazon ottiene attraverso le vendite sono inesistenti, dovendo praticare prezzi inferiori a quelli delle librerie fisse e con le case editrici che mantengono immutati i loro prezzi.
Inoltre, alcune aziende Internet stanno già affiancando al web del loro sito variopinti cataloghi di carta, secondo le tradizionali usanze delle vendite per corrispondenza! I costi pubblicitari necessari per conquistare fette di mercato, risultano alla fine molto alti. Sempre negli Usa, le società Internet nell'ultimo trimestre '99 hanno incassato circa 10.000 miliardi di pubblicità on-line pagando però 6.500 miliardi ai media tradizionali per arrivare fino al pubblico.
In Italia, la fusione Seat-Tin.it e l'acquisto di Telemontecarlo puntano, oltre che a creare un portale verticale Internet nel settore cinema ed enntertainment, a superare ogni intermediazione pubblicitaria. La Tin.it è il maggior provider e la Seat, editrice delle Pagine Gialle, è la più agguerrita rete di vendita pubblicitaria. Una super torta farcita da miliardi di pubblicità, cioè di "clienti" alla ricerca affannosa di potenziali acquirenti dei loro prodotti-merci.
Siamo qui arrivati al centro del vero, insolubile problema. Tutto quanto descritto non produce né mai produrrà un solo dollaro di nuovo plusvalore. (Il maggior impiego di computers si concentra nei servizi e la domanda di questi strumenti dipende quindi prevalentemente da un settore che non produce valore). Si concentra e si espande internazionalmente il capitale finanziario e le sue attività unicamente parassitarie, alla caccia esasperata di quel plusvalore di cui il capitalismo ha sempre più necessità per sostenere il suo processo di accumulazione in piena crisi. Nonostante Internet, il plusvalore continua ad essere prodotto esclusivamente con la produzione di merci e non con il commercio. I prodotti che escono dalla fabbrica contengono già in sé quel plusvalore che nessun commerciante, in carne e ossa o telematico, potrà mai produrre. Potrà realizzare il plusvalore, precedentemente prodotto, nella forma di denaro; ma come prima e più di prima bisogna trovare gli acquirenti, i possessori di un "reddito" che consenta di comperare le merci in offerta. E il reddito (salario) dei proletari, cioè della stragrande maggioranza della popolazione mondiale continua a diminuire: lo confermano le stesse statistiche borghesi, a cominciare dal paradiso americano.
Per un approfondimento vedi La new economy fra illusioni e vecchie realtà in Prometeo n. 1 - giugno 2000.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 2000
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