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Home ›Bonus fiscale e arroganza padronale
Il richiamo dei padroni a dar loro tutto ripropone un tema di fondo
Quindicimila miliardi che lo stato è pronto a "restituire" sotto forma di bonus fiscale hanno scatenato polemiche e scontri sulla scena politica e della cosiddetta opinione pubblica. Chi occupa la scena politica e dell'opinione pubblica? Tutti i gruppi di interessi organizzati che in base alla rispettiva forza economica, ovvero al proprio peso sulla economia italiana, hanno più o meno voce in capitolo, ovvero capacità di condizionamento sulle scelte del governo.
Gli unici a non avere più alcuna forma di organizzazione rappresentativa dei loro interessi sono i lavoratori, che dunque non hanno alcuna voce in capitolo sulla distribuzione dei 15 mila miliardi suddetti. Per avere qualche briciola, sotto forma di alleggerimenti fiscali, allargamento delle fasce di esenzione (per esempio del ticket sanitario) e robetta del genere, possono solo sperare che qualche gruppo di interessi, per sue ragioni, spinga in quel senso, ritenendo (non infondatamente) che questo sia un buon mezzo per "spingere" la domanda interna. Potrebbero essere per esempio le associazioni di commercianti, che iniziano a preoccuparsi del calo dei consumi: con tanti disoccupati e con tanta riduzione del reddito medio dei lavoratori dipendenti (precari, part time, interinali...) il consumismo rischia di rimanere aspirazione.
E i sindacati, chiederà qualcuno? I sindacati sono oggi completamente presi dalle macro-preoccupazioni per l'economia nazionale e certamente più preoccupati di conservare il potere di concertazione (che Confindustria gli vuol negare) che di difendere i lavoratori e i loro redditi.
Alle caute dichiarazioni in favore di una ridistribuzione a favore delle "fasce deboli" non accompagnano certo una pressione adeguata. D'altra parte cosa ci si può aspettare dai sindacalisti, fra i quali un D'Antoni ex-campione Cisl, che tresca oggi politicamente con il Berlusconi? Tutti pappa e ciccia nel frontismo confederale, poi su fronti politici formalmente opposti (Polo-Ulivo), sono sempre gli stessi uomini, le stesse forze, che, evidentemente, tutto hanno in mente salvo la reale condizione delle masse lavoratrici (o aspiranti tali).
Quindi, e lo abbiamo detto e argomentato più volte, i lavoratori non hanno una rappresentanza, non si dice sul terreno degli interessi storici di superamento/abbattimento del capitalismo, ma neppure sul terreno della mediazione democratica.
I più forti sulla scena sono, come sempre, i padroni, con le loro associazioni, i loro giornali i loro partiti. E fra loro i più forti sono i capitalisti più grossi. Sono questi che giocano le carte "italiane" sul terreno della globalizzazione, checché si illudano i "creativi e indefessi" imprenditori piccoli e medi, convinti di essere la "spina dorsale" della economia italiana.
Cosa sostengono i grossi? Quello che sostengono tutti i padroni del mondo, le idee di quel "pensiero unico" che sono le idee del capitale per sopravvivere nella crisi.
Il contenuto stretto di quel pensiero è semplice: bisogna sostenere e promuovere la crescita dell'economia aumentando la competitività dell'impresa (italiana nel nostro caso); ciò significa alleggerire il costo del lavoro, defiscalizzare l'impresa, ridurre il debito tagliando ancora la spesa (non certo tagliando le rendite sui titoli, che anzi sono destinate ad aumentare).
Su questo terreno l'arroganza dei ricchi si dispiega senza limiti.
Sentiamo Tronchetti Provera il dinamico presidente della Pirelli:
...La vera questione non è quella di chi deve accaparrarsi il dividendo fiscale. Questa è una impostazione vecchia dei problemi dello sviluppo
La Repubblica del 31 Agosto
Chiaro? Se rendere ai poveri oppure continuare a dare ai ricchi è un falso problema, vecchio soprattutto. Già, attiene a una "vecchia e superata" concezione della società divisa in classi. Tronchetti Provera supera il tutto "cancellando" dal suo pensiero le classi ed eleggendo a riferimento supremo e unico lo "sviluppo". Di che? Ma dei suoi profitti, si intende.
Così da' per scontatati che il "dividendo fiscale" debba andare tutto nelle tasche sue e dei suoi compari.
Abbiamo considerato le dichiarazioni di Provera, ma avremmo potuto citare altri, dentro e fuori Confindustria. Che lo stato deve occuparsi solo di sostenere l'impresa (ed è indifferente che sia produttiva di pelati oppure che sia una impresa finanziaria impegnata nelle speculazioni sui mercati globali), è un leit motiv universale, che sentiamo in Italia, ma è identico in Gran Bretagna o... in Argentina.
È l'arroganza del capitale, che per la propria valorizzazione e accumulazione non si fa fermare dall'impoverimento dei lavoratori metropolitani e dalla fame vera di due terzi dell'umanità. Contro questa arroganza non valgono i piagnistei né gli appelli etici, contenuti in tanta "politica di sinistra", radical-democratica, pacifista. Essa è connaturata alla sopravvivenza dei rapporti di capitale. O le masse lavoratrici, sfruttate e drammaticamente impoverite dal capitale, si riorganizzano per farla finita col capitale stesso, o la marcia verso la barbarie continuerà, ad onta delle manifestazioni di pia intenzione.
Chi questo non capisce o esclude, nessun apporto può portare alle speranze di soluzione dei giganteschi problemi dell'umanità; riuscirà solo a consolare la sua anima bella.
m.jrBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 2000
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