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Di seguito pubblichiamo il commento dei compagni colombiani all'articolo apparso su Prometeo 1/2000 in cui sono indicate le linee guida cui riteniamo debba informarsi il lavoro di costruzione della nuova internazionale comunista.
L'articolo di Prometeo Verso la Nuova Internazionale riassume il nostro scetticismo nei confronti delle conversioni ideologiche e politiche che accompagnarono i mesi seguenti il trionfo della rivoluzione russa. Secondo noi, infatti, i settori che aderirono alla III Internazionale rimanevano intimamente socialdemocratici o, nel migliore dei casi, avevano solo una vaga idea della rivoluzione e del metodo rivoluzionario. Certo, esiste sempre la possibilità che avvenga un mutamento sostanziale in un gran movimento storico; però un cambiamento reale e profondo non può avvenire in modo brusco e improvviso, cioè, in mancanza della le condizioni segnalate nell'articolo: senza una rivoluzione in corso e senza aver fatto i conti fino in fondo con le tradizioni e le inerzie del Movimento Operaio. Riteniamo che la condotta e la valutazione strategica nel seno dell'ala sinistra del gran movimento sociale e politico socialdemocratico e anarco-sindacalista non mutarono nella sostanza con la adesione di alcune di quelle organizzazioni alla III Internazionale dopo la vittoria della rivoluzione russa. Sebbene non ci sia dubbio che tutti coloro che per anni si erano sentiti prigionieri del clima "incartapecorito" prodotto dalla famosa "tattica sperimentata" dei socialdemocratici, respirarono come un balsamo l'aria fresca della rivoluzione d'Ottobre del 1917 e si entusiasmarono per i suoi eroismi, cercarono poco di ragionare e imparare da essa e dal suo metodo per risolvere i problemi pratici posti dai loro rispettivi movimenti rivoluzionari. Ovviamente questo non vuol dire che dovessero seguire come automi le consegne dei leaders bolscevichi, però, nella misura in cui questa svolta non appariva come una conseguenza del processo di assimilazione critica del passato né era accompagnata da una riconsiderazione dei problemi della organizzazione di classe e l'azione di massa, dobbiamo considerala come artificiale ed epidermica.
Sebbene già negli anni '90 del XIX secolo si fosse denunciato il revisionismo e, in occasione dei possenti scioperi di massa del 1905-6 in Russia, fosse rinata la critica radicale dell'esistente, la prassi abituale e la mentalità conservatrici della socialdemocrazia avevano profondamente imbevuto la psicologia e la condotta del movimento operaio di massa e delle sue "avanguardie" politiche e sindacali. Invece di allenare le masse nella ginnastica rivoluzionaria, nello sciopero, nell'azione diretta, nello sviluppo delle capacità di autorganizzazione e di potenziare le facoltà sovversive dei lavoratori, gli elementi virtualmente rivoluzionari avevano convissuto con questa eredità e non erano indenni dalle sue influenze. La rivoluzione russa e la vittoria iniziale dei bolscevichi costituirono il punto di partenza per la rottura con quel movimento e per compiere fino in fondo il passaggio dalla pratica e dalle concezioni socialdemocratiche verso le concezioni comuniste e rivoluzionarie del potere proletario, comprese originariamente nel marxismo classico.
Secondo Rosa Luxemburg, con la rivoluzione russa e l'ascesa del movimento dei consigli in Germania e in Europa centrale l'esigenza di "porre la prassi al livello del Manifesto Comunista" sarebbe arrivata ad essere il centro di gravità dell'azione del partito rivoluzionario. Tuttavia, non sono possibili gli atti di fede e le conversioni repentine e straordinarie; solo l'avanzata vittoriosa dei soviet in Russia e la trasformazione del movimento operaio e di massa in Occidente grazie a una profonda esperienza rivoluzionaria potevano offrire le condizioni per questo salto qualitativo. Le violente scaramucce e gli scioperi generali, fino ai tentavi di instaurazione del potere dei consigli operai in Ungheria, Germania e Italia, non erano sufficienti per compiere questa esperienza, ancor meno se si pensa che la teoria e i metodi dei partiti socialisti e operai erano, nel migliore dei casi, massimalisti e non rivoluzionari. Occorreva un partito che non si limitasse a parlare del gran giorno della rivoluzione sociale e politica, ma un organizzatore collettivo che addensasse l'azione e la volontà del movimento di classe intorno al programma comunista: infatti, secondo Lenin "le rivoluzioni non si fanno, si organizzano". Di più, il partito che non compie la sua formazione ideologica e politica nel corso di una violenta esperienza rivoluzionaria che lo sovverte totalmente, può arrivare al massimo a una adesione puramente intellettuale e/o emotiva con il movimento rivoluzionario, ma non arriverà mai a sentire, pensare e operare come tale: il problema di una organizzazione strategica disciplinata e coerente che rappresenta il programma per il comunismo nella lotta quotidiana della classe e sarà capace di dotare il suo movimento di un piano globale di battaglia per la dittatura del proletariato, così come degli strumenti adeguati a questo fine, non era nelle prospettive immediate delle azioni e impegni politici del grosso del socialismo e del "marxismo" occidentale. Naturalmente, non si tratta, qui, di esaltare idealisticamente il partito in quanto "anima rivoluzionaria" contrapposta alla "anima riformista". I processi storico-sociali concreti, le opzioni e le discriminanti strategiche e tattiche adottate sono quelle che, in ultima analisi, decidono del carattere rivoluzionario o meno di una organizzazione. Se, infatti, è certo che "senza teoria rivoluzionaria (cioè senza partito in quanto coscienza scientifica collettiva organizzata del movimento storico di classe) non si ha movimento rivoluzionario", è vero anche che - in misura non minore - il partito non racchiude in sé stesso né determina lo sviluppo storico, è tanto una parte inseparabile quanto una espressione del gran movimento al quale apporta una coscienza chiara del suo carattere, una spiegazione precisa della sua natura e del suo risultato finale.
Come si sa, col tempo le cose in Europa marciarono in una direzione opposta a quella che aveva fatto sperare la vittoria proletaria in Russia e si invertì la tendenza rivoluzionaria, il che portò alcuni dei simpatizzanti occidentali della rivoluzione alla disillusione e altri ad alimentare aspettative opportuniste. La spiegazione offerta dalla nostra corrente sulla sconfitta della rivoluzione - vale a dire che tutto ciò è stato causato tanto dalle eredità dell'arretratezza millenaria del paese quanto perché la rivoluzione non fu aiutata da una rivoluzione trionfante nei paesi a maggior sviluppo industriale - evidenzia anche i vantaggi del ragionamento dialettico che mentre segnala l'atto creativo della soggettività politica incarnata nell'avanguardia bolscevica, mostra la sua sottomissione "in ultima istanza" alle condizioni e alle forze del processo storico. Il movimento di trasformazione della condotta e della soggettività politica destinato a dirigere il torrente di massa, si arrestò in fretta e la stessa autorità e il prestigio guadagnati dalla rivoluzione d'Ottobre nella coscienza dei protagonisti delle lotte sociali di quelle epoca, si trasformarono in un poderoso fattore controrivoluzionario.
D'altra parte, anche nello stesso bolscevismo rimanevano tracce socialdemocratiche che, con l'imporsi delle forze della reazione interna ed esterna (le quali trovarono sempre rappresentanti concreti nella società, nel partito e nello stato), riemersero con una forza inversamente proporzionale allo sviluppo acquisito fino ad allora dalla corrente rivoluzionaria. L'incapacità, evidenziata posteriormente, dei partiti della III Internazionale di reagire contro il corso involutivo preso dalla Russia sotto la dittatura stalinista lo conferma pienamente, quando tutti si sottomettevano al "fatto compiuto" e, con il tipico "realismo" degli opportunisti, si riconciliavano col nuovo ordine creato da Stalin e dai nuovi "uomini d'apparato" che avevano sostituito la già massacrata "vecchia guardia bolscevica", solamente quei militanti che avevano formulato e proiettato nelle loro rispettive circostanze "nazionali" una politica di classe nella lotta contro tutte le forme del dominio borghese e contro il tradimento socialdemocratico, in un combattimento aperto per la dittatura del proletariato, erano nella posizione di prendere dalla rivoluzione russa e da Lenin tutto quanto veramente contribuiva ad arricchire il patrimonio della rivoluzione e a chiarificare l'azione futura contro il capitalismo.
Rispetto ai problemi organizzativi odierni riteniamo che:
- Sebbene l'assistenza politica e la cooperazione col BIPR sia fondamentale per ispirare e ampliare le prospettive, ogni sezione nazionale dovrà sbrigarsela da sola per nascere e saper incontrare nell'ambiente che le è proprio i mezzi per svilupparsi e crescere. Tuttavia, l'avanzamento di ognuno non dipende solo dalle possibilità aperte dalle circostanze particolari del suo "scenario politico e di classe", ma anche dalla ripercussione internazionale delle posizioni del Bureau - così come, naturalmente, dal suo proprio rafforzamento numerico, organizzativo e politico.
- Concordiamo con la tesi di adeguare il funzionamento del Bureau con quello che rappresenta il suo obiettivo sostanziale: la costruzione del Partito Internazionale del Proletariato. La tesi, formulata nell'articolo di Prometeo citato, che dice "quello che sarà valido per l'Internazionale del futuro lo è a fortiori per noi" deve essere già assunta tanto dal punto di vista teorico quanto da quello organizzativo e pratico. Le velleità "nazionali" dei gruppi, le pretese di formare un gruppo dirigente legato a interessi e orizzonti puramente nazionali, devono essere soppressi gradatamente, fino ad arrivare a una vera organizzazione e coordinamento internazionali del Partito.
- Tutto quanto è scritto nell'articolo sulla funzione dei bolscevichi e del suo stratega - Lenin - nella formazione della Terza Internazionale, è applicabile anche alla relazione che intrattiene l'attuale partito italiano - che, molto al di là dei suoi limiti attuali, raccoglie e rappresenta una lunga e coerente elaborazione critica del passato e offre l'ottica metodologica dell'azione futura - con le altre organizzazioni e micro-organizzazioni partecipanti del Bureau. Speriamo solamente che non sorga nel partito un nuovo Lenin, vale a dire un individuo che concentra nella sua persona i ruoli di motore intellettuale che pensa per tutti e che è l'unico capace di anticipare gli avvenimenti. Bisogna approfondire e accelerare fin dove è possibile il processo di assimilazione e potenziamento teorico-politico iniziati da ogni gruppo al fine di adeguare al massimo il partito reale che sorgerà dal processo di inserimento nelle lotte all'idea che abbiamo del partito da costruire. Speriamo che i nostri desideri non ci giochino un brutto tiro, però, solamente se struttureremo un partito atto a pensare e ad agire collettivamente, promuovendo la formazione di un numero sufficiente di buoni quadri, ci sarà possibile conseguire, in quanto organizzazione collettiva, la difficile unione tra il profondo pensiero strategico e l'abilità di dirigere efficacemente i movimenti tattici. Se il movimento di classe manca della capacità di diventare "maggiorenne", è molto probabile che riappaia un "Lenin" e, dopo la successiva e inevitabile scomparsa della sua personalità storica, che venga lasciato in eredità alla massa del movimento un vuoto di capacità di auto-direzione. Però, nonostante i pericoli insiti in questo limite, non dobbiamo nemmeno temere questa eventualità: se rimarremo su quel terreno di lavoro collettivo, la capacità creativa del movimento storico ci darà una mano, nonostante tutto.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2000
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