L'ultima leggenda metropolitana - Il lavoratore capitalista... povero

Secondo alcune statistiche ben 76 milioni di americani, il 43 per cento delle famiglie, possiedono titoli azionari o partecipazioni a fondi comuni di investimenti. In solo sei anni, fra il 1989 e il 1995 il numero dei lavoratori azionisti è cresciuto di ben il 32 per cento per cui se tale tendenza dovesse confermarsi, nel giro di un decennio, la quasi totalità dei lavoratori salariati potrebbe possedere titoli azionari. Per gli economisti borghesi, cui può essere addebitato di tutto ma non certo la mancanza di fantasia, siamo perciò entrati in una nuova era: quella del Lavoratore capitalista. La divisione in classi della società, lo sfruttamento del lavoro da parte del capitale, la lotta di classe che esso genera possono dunque a giusta ragione essere considerati reperti fossili di un passato ormai remoto; il futuro invece sarebbe tutto in questo dato che rappresenta una società in cui la contraddizione fra capitale e lavoro è stata definitivamente superata dalla duttilità e dalla forza prorompente del capitale finanziario che nella sua forma azionaria favorirebbe un'accentuata "democratizzazione" dell'economia.

Nell'ultimo decennio il numero dei lavoratori statunitensi in possesso di titoli azionari è effettivamente aumentato; ma basta questo dato per dire che siamo in presenza di una nuova e a loro più favorevole distribuzione della ricchezza?

Intanto occorre rilevare che, in realtà, i lavoratori americani come quelli di tutto il mondo, sono stati costretti a causa dello smantellamento del sistema pensionistico pubblico e sotto la minaccia della perdita del posto di lavoro a versare i contributi pensionistici nei fondi comuni di investimento delle imprese di appartenenza che investendoli a loro volta nella speculazione finanziaria realizzano giganteschi profitti senza che di essi neppure le briciole finiscano nelle tasche dei lavoratori.

Dal 1983 al 1988 -- scrive l'economista statunitense C. Collins -- i prezzi delle azioni sono aumentati di 13 volte, cosi che $ 100 investiti nel mercato azionario nel 1983 ne varrebbero oggi 1.300. Il buon senso ci dice che tutti traggono benefici da un mercato in espansione. Dopotutto attualmente quasi la metà della popolazione possiede delle azioni, una percentuale più alta rispetto a due decenni fa.

C. Collins - L'economia dei sempre più ricchi - Surplus n. 6

Eppure non è così. I salari medi reali statunitensi sono, nonostante gli aumenti ottenuti nel 1988, ancora inferiori a quelli del 1973 e la famiglia media americana per compensare la perdita di salario ha accresciuto enormemente il proprio indebitamento tanto che ormai il rimborso del debito - ci informa ancora Collins - "divora il 17 per cento delle entrate dei consumatori... Ne consegue che una famiglia su cinque ha un reddito netto negativo..."

Il fatto che un numero elevato di lavoratori possieda azioni, dunque, non significa di per sé assolutamente nulla tanto più se, come nella maggior parte dei casi, si tratta di accantonamenti a fini pensionistici gestiti dai fondi comuni. La trasformazione di quote di salario diretto e/o indiretto in titoli azionari non trasforma i lavoratori in capitalisti; ma favorisce ulteriormente i capitalisti che dopo averli sfruttati con questo sistema si appropriano di una quota del loro salario trasformandola in salario virtuale differito nel tempo e senza valore certo visto che le quote dei fondi comuni sono soggette a frequenti oscillazioni.

Una volta sottratte le quote corrispondenti ai contributi pensionistici, la quantità di titoli azionari e obbligazionari posseduta dai lavoratori è in realtà del tutto irrisoria. Scrive ancora Collins nel saggio già citato: " Nel 1995, l'anno più recente per il quale siano disponibili dati precisi, quasi tre quarti dei possessori di titoli ne detenevano per un valore inferiore a $ 5000 (poco più di un milione di lire n.d.r.), incluse le partecipazioni in fondi pensionistici...Strumenti finanziari come azioni e titoli restano concentrati nelle mani di un numero relativamente limitato di persone, con il 10% più ricco della popolazione l'88% delle azioni e il 90% dei titoli di stato... Perfino fra il 10% più benestante, la ricchezza è altamente concentrata. Uno scarso 1% delle famiglie, ciascuna con almeno 2,4 milioni di dollari di patrimonio netto (patrimonio meno debiti), possiede attualmente il 40% della ricchezza nazionale, due volte la percentuale dichiarata venti anni fa." Se poi si escludono dal calcolo della ricchezza i patrimoni immobiliari, risulta che il 42% della ricchezza finanziaria degli Usa è posseduto dalla metà di questo 1% cioè da circa 225 mila famiglie. " "Grazie alla combinazione - continua Collins - di profitti crescenti, alti tassi di interesse reale, stipendi astronomici dei dirigenti, e un mercato azionario in pieno boom, la ricchezza corretta al netto dell'inflazione dell'1% più ricco della popolazione è aumentata del 17% fra il 1983 e il 1995. Per altri il boom è stato un fallimento. Grazie alla caduta dei salari, ai bassi livelli di risparmio iniziale e alla rapida crescita dei debiti personali, il 40% più povero delle famiglie ha perso uno sconcertante 80% della propria ricchezza netta." Mentre il patrimonio personale del solo Bill Gates "supera la somma dei redditi del 40% della popolazione americana."

Su scala mondiale il fenomeno è ancora più vistoso. I dati dell'Undp, (il programma delle Nazioni Uniti che si occupa dello sviluppo umano), resi noti alla fine dello scorso giugno, confermano pienamente il rafforzamento della tendenza alla concentrazione della ricchezza in pochissime mani. " La differenza tra i redditi dei paesi sviluppati e quelli dei paesi poveri - scrive Stefania Di Lellis in un suo commento al rapporto appena citato - è cresciuta in modo esponenziale nell'ultimo secolo e mezzo: il rapporto era di 3 a 1 nel 1820, 35 a 1nel 1950, 44 a 1 nel '73, di 72 a 1 nel '92". (La Repubblica del 30/6/2000) Così, nel 1999, mentre la ricchezza delle 200 persone più ricche del mondo ha raggiunto, i mille miliardi di dollari, la somma dei redditi dei 582 milioni di persone che vivono nei 43 paesi più poveri del mondo è risultata pari ad appena 146 miliardi di dollari. In conseguenza di ciò muoiono per malattie, che sarebbero altrimenti curabilissime e per denutrizione, circa 30 mila bambini all'ora; cento milioni di ragazzi vivono di accattonaggio e anche negli Stati Uniti una persona su cinque è condannata all'analfabetismo. Né potrebbe essere altrimenti vista la spinta fortissima che ha subito la tendenza alla finanziarizzazione dell'economia. La crescita dell'appropriazione parassitaria di plusvalore, mediante la rendita finanziaria, implica necessariamente una profonda modificazione dei processi di distribuzione della ricchezza; infatti l'investimento finanziario si trasforma solo in misura estremamente ridotta in salari e stipendi mentre fa realizzare extraprofitti elevatissimi. Se a ciò si aggiunge il fatto che - seppure non solo per questo - per assecondare la crescita della sfera finanziaria, ovunque si è proceduto allo smantellamento dei sistemi pensionistici, sanitari e assistenziali, si spiega facilmente che la tendenza prevalente nei processi di distribuzione della ricchezza sia verso la sua più esasperata polarizzazione con la conseguente proletarizzazione di strati crescenti della società. Trova cioè conferma esattamente quanto la critica marxista dell'economia capitalista aveva largamente previsto, proprio quella critica che gli ideologi della borghesia vorrebbe rimuovere a ogni costo e si sa che quando la realtà non può essere smentita c'è sempre qualcuno disposto a giurare che esistono i fantasmi o i lavoratori-capitalisti.

gp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.