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Home ›Colombia: la rivolta degli ospedalieri
La reazione dei lavoratori ospedalieri, dei contadini poveri e degli operai alle politiche imposte dai processi di globalizzazione economica
Il panorama
Tutto l'anno 2000 in Colombia è stato segnato da una recrudescenza e sviluppo delle lotte di massa. Nell'ultimo mese è stato il turno dei lavoratori ospedalieri: il perimetro degli ospedali San Juan de Dios de Bogotà e Federico Lleras de Ibaguè si è trasformato nel teatro di operazioni di una vera e propria guerra civile. Al San Juan de Dios cento lavoratori (operai, infermieri e medici) che non ricevevano i rispettivi stipendi da più di un anno, hanno occupato gli impianti, difendendoli contro i ripetuti assalti della polizia che cercava di riprenderne il controllo. A Ibaguè, città capoluogo del la regione centrale del paese con circa un milione di abitanti, i lavoratori, (ai quali il dipartimento deve sette mesi di salari e assegni sociali arretrati), sostenuti da un vasto movimento di solidarietà composto da contadini e operai di tutta la provincia si sono scontrati con la polizia e l'esercito nelle vie di accesso alla città e nell'area dell'ospedale.
Lo stato sociale sull'orlo del naufragio
Il sistema ospedaliero e tutto lo stato sociale colombiano (salute, pensioni, servizi sociali) sono naufragati. La crisi della rete ospedaliera pubblica, sulla quale grava un deficit di circa ottocentomila milioni di pesos accumulati in due anni nei quali le risorse erano diminuite, ha acquistato particolare virulenza negli ultimi mesi. A causa della crisi del sistema sanitario, a Bogotà è stato chiuso l'ospedale pediatrico Lorencita Villegas de Santos (il maggior centro di cura per bambini paraplegici e malati di cancro) e stanno per essere chiusi il San Juan de Dios (il più antico ospedale del paese) e la Clinica Fray Bartolomè de las Casas; in altre città i medici che continuano a lavorare devono farlo senza analgesici, né disinfettanti.
Per quanto riguarda l'assistenza sociale, la bancarotta non è meno grave. Da un bilancio di 7.5 bilioni di pesos si è passarti a uno di 5.6 bilioni. Una delle strutture incaricate a farla funzionare, l'Istituto de Seguros Sociales (I.S.S.) per poter continuare a operare per almeno sei mesi ha sollecitato quest'anno al governo un importo addizionale del fisco. A metà del mese di giugno di quest'anno il Consiglio di Politica Economica e Sociale (COMPES) aveva pronto il decreto di liquidazione dell'ente. Malgrado tale misura sia stata rimandata per la promessa di effettuare un'addizionale di bilancio straordinaria di 500.000 milioni di pesos, i posti di lavoro di 21.000 lavoratori stabili e 15.000 contrattisti sono in pericolo.
I tecnici prevedono che in 4/5 anni si esauriranno le riserve (oggi ammontano a 5.3 bilioni di pesos) per corrispondere le pensioni ai lavoratori. In questo caso, secondo la legge 100 del 1993, sarà lo stato che dovrà assumersi l'onere pensionistico.
La carica esplosiva della bomba pensionistica cresce di giorno in giorno e minaccia di provocare il ritorno nel prossimo futuro nel circolo vizioso del deficit fiscale, per ora sotto controllo. Per scongiurare il tracollo previsto, l' FMI e la BM hanno imposto di aumentare la percentuale delle trattenute mensili e l'età pensionabile che attualmente è di 57 anni per le donne e 62 per gli uomini. Se paragoniamo queste misure con quelle adottate in altre latitudini l'uniformità di esse è del tutto evidente; la spiegazione risiede nel fatto che i governi di tutto il mondo operano nell'ambito di un medsesimo sistema, sono sottomessi alle stesse leggi, e pertanto rispondono a un modello di comportamento identico e prevedibile.
Le strategie di "soluzione" consistono tanto nel ridurre la spesa sociale statale come nell'incorporare i principi dell'impresa privata nella gestione degli ospedali e dell'I.S.S. Contro l'opinione della sinistra che domina negli ambienti sindacali, in un'economia capitalista non si può assicurare lo sviluppo dei mezzi tecnologici e dell'efficienza imprenditoriale del sistema di assistenza sociale e ospedaliera con un sistema di sussidi prolungato ad infinitum, bensì unicamente ed esclusivamente con un risparmio dei costi per ottenere i massimi rendimenti. In altre parole: la vera soluzione al problema dell'assistenza sociale è realizzabile solo dopo la morte del capitalismo. L'evoluzione attuale lo conferma. A poco a poco le voci delle pensioni e della salute sono scomparse dal salario indiretto della classe operaia e sparisce il concetto di sevizio come contributo dello stato alla riproduzione generale della forza lavoro (ci riferiamo ovviamente ai contributi di legge e ai fondi chiamati "di solidarietà sociale" destinati a finanziare la salute e le pensioni degli strati con minore reddito). C'è un'esuberanza di forza lavoro e di popolazione disoccupata che rende irrazionale nell'ottica capitalistica i livelli attuali di investimenti in salute e pensioni: finora questi settori sono stati considerati solo come costi improduttivi. Ebbene, il vero problema del sistema dello stato sociale è ottenere la corrispondenza della domanda solvibile con l'offerta, prescindendo dai fattori che determinano costi aggiuntivi; in questa visione i "servizi" devono essere offerti solo per coprire la domanda effettiva. Seguendo la stessa logica gli assistiti dalla mutua e i pazienti si trasformano in clienti, la cura dei quali dipende direttamente dai loro contributi. Il concetto di cura si ridefinisce in funzione dei criteri commerciali legati alla legge della domanda e dell'offerta e l'assistenza sanitaria finisce di essere un servizio basato sulla responsabilità sociale dello stato. Il ruolo dello stato nella gestione delle condizioni di riproduzione della forza lavoro - proprie a un livello più o meno alto del Walfer State del II dopoguerra sparisce. D'altra parte, al concetto di "salario integrale", che oggi si tenta di applicare come forma universale di pagamento del lavoro, sono sottese due intenzioni perverse: 1) quella di convertire tutto il salario in salario diretto (liberando lo stato e le imprese da tutto il "carico" sociale e da tutto l'impegno a lungo termine per la sopravvivenza della forza lavoro); 2) quella di impiegare una parte del salario destinato al risparmio pensionistico e alla salute come fonte addizionale di accumulazione di capitale speculativo e di investimento a favore dell'oligarchia finanziaria.
La pressione del capitale e dello stato per generalizzare il pagamento della forza lavoro con la forma del salario integrale fa parte del progetto per far ricadere sul lavoratore l'intero sforzo della sua riproduzione e strappargli maggior lavoro gratuito.
Negli anni precedenti sono stati fatti passi effettivi in questa direzione, introducendo il concetto di trattenuta presuntiva per i lavoratori indipendenti come quota base del sistema; tale quota superava di più del 50% il salario minimo in un paese dove, secondo le statistiche ufficiali, il 65% della forza lavoro detiene un salario inferiore al minimo. Invece di confermare la "filosofia" della legge 100 del 1993, i processi sociali reali hanno finito per annullare il suo spirito che era quello di aumentare gli investimenti dello stato sociale. In effetti, unitamente al degrado generale del livello di vita, questa misura ha costretto milioni di persone assicurate a non pagare le quote all'ISS. Secondo La Sovrintendenza Bancaria: "su 8 milioni di affiliati al regime pensionistico tanto nell'ISS quanto nei fondi privati, il 55% finì l'anno 1999 insolvente e a non pagare fino a 6 mesi di quote (vedi El Tiempo, 2 luglio 2000).
Proletarizzazione di settori professionali
Alcuni analisti non riescono a spiegarsi la partecipazione a recenti episodi di violenza negli ospedali di medici e altri settori professionali. Per noi la ragione è chiara. Negli ultimi 30 anni un settore importante di fasce professionali si è proletarizzato per la perdita delle caratteristiche sociali e dei privilegi della vecchia classe media.
Con la "terza rivoluzione industriale" il capitale si è sviluppato massicciamente nel settore terziario - il quale opera oggi con una notevole componente di capitale fisso - e le attività che prima lo distinguevano hanno assunto caratteristiche industriali e meccanizzate. Al vedersi incapaci di esercitare privatamente la propria professione, i vecchi piccolo - borghesi indipendenti si sono trasformati in lavoratori salariati di una grande organizzazione capitalista nella quale fungono da mera forza lavoro subordinata. La meccanizzazione, standardizzazione, specializzazione e parcellizzazione delle conoscenze e delle attività ha smesso di essere una caratteristica unica del proletariato industriale, penetrando tutte le sfere dell'attività sociale.
Le caratteristiche generali di questo processo possono riassumersi così:
- I soggetti che offrono servizi si trasformano in lavoratori dipendenti e la loro attività viene sottomessa al capitale: da una parte le loro capacità si trasformano in merce e dall'altra il venditore è sottomesso al suo compratore;
- Il valore di questa merce - insieme alla vita dei suoi venditori resta alla mercé delle leggi del mercato;
- "Il nuovo ufficio è razionalizzato: si utilizzano macchine, gli impiegati si convertono in servi delle macchine; il lavoro, come in fabbrica, è collettivo, non individuale; è standardizzato con impiegati intercambiabili, rimpiazzabili immediatamente, è specializzato e automatico. Il gruppo di impiegati è trasformato in una massa uniforme (...) e la giornata stessa è regolamentata da un sistema impersonale di impiego del tempo" (v. Charles Wright Mills - Las Clases Medias en Norteamérica).
Un breve bilancio
L'estensione del pauperismo, la recrudescenza dell'estorsione del plusvalore della popolazione occupata mediante l'aumento dei ritmi lavorativi, la riorganizzazione dello stato e delle sue politiche nello spirito dell'impresa capitalistica - con le sue ripercussioni inevitabili in materia sociale e con l'abbandono delle regioni tradizionalmente emarginate --, legate alla crisi economica, hanno portato con sé l'accumulazione enorme di materiale infiammabile nella società. Hanno creato un clima di disperazione ed esasperazione e hanno acceso gli animi. Non è strano che le modalità assunte dai conflitti sociali nell'ultimo anno abbiano reso manifesto la caduta dei principi della conciliazione e della mediazione, associati alla democrazia borghese, sostituendoli con lo scontro. Le contraddizioni della società non si esprimono più nei corpi separati del regime, ma nei campi e nelle strade; non si discutono in termini di diritto e nella logica del sistema giuridico, bensì mediante atti di forza e azioni dirette.
Però il vantaggio politico della crisi e della generalizzazione dello stato di disperazione e di disposizione al conflitto è andato a favore delle bande militari contendenti nella guerra civile - vale a dire il capitale sotto le sue diverse sembianze - non il movimento dei lavoratori. Grazie al ruolo connaturato ai sindacati e ai loro leader, quest'ultimo si presenta come una corrente subalterna agli zig zag della politica istituzionale. Senza progetto storico e senza il proprio partito politico dotato di un efficace programma strategico per la dittatura del proletariato, la classe lavoratrice appare come un ostaggio nelle mani dei padroni e delle loro burocrazia.
Può essere facilmente assorbita dalle forze borghesi nella misura in cui si muove solo sotto la spinta delle circostanze immediate e senza uscire dal percorso tracciato dalle organizzazioni e burocrazie integrate nel dispositivo del dominio capitalista (i sindacati). Quando ciò succede, la mancanza di prospettive di classe offre un contributo enorme alla reazione. D'altra parte, nel caso specifico della salute, il comportamento delle direzioni sindacali non può essere più funesto: in una provincia dell'interno del paese nella quale il deficit degli ospedali ammonta a settanta miliardi di pesos, hanno chiuso le azioni di massa per somme irrisorie, al solo scopo di spegnere le energie del movimento e concedere una tregua allo stato per consentirgli il contrattacco. I sindacati obbediscono alla logica della mera sopravvivenza sociale della loro burocrazia dirigente all'interno dello statu quo, fregandosene che ciò si consegua al costo della vita e del futuro dei lavoratori. La lezione è chiara: l'esistenza di grandi movimenti di massa disponibili alla lotta dura non è sufficiente di per sé alla vittoria; il problema della direzione rivoluzionaria resta senza soluzione. E quest'ultima non si può improvvisare da un giorno all'altro: resta ancora da forgiare le idee, l'esperienza, le capacità di azione e realizzare la necessaria fusione dell'organizzazione comunista con le masse. Tutto questo da subito segnala l'importanza decisiva di possedere una strategia e un'organizzazione politica di classe, formata nello spirito del programma comunista e capace di intervenire con una ferma volontà. Ai rappresentanti della linea rivoluzionaria si pongono pertanto tre problemi cardinali:
- Far comprendere al proletariato e ai suoi potenziali alleati che la responsabilità della crisi attuale appartiene al capitalismo e che questa crisi può risolversi solo ponendo fine a questo sistema;
- Unificare i militanti più combattivi e impegnati della classe operaia sostenitori del programma comunista;
- Tessere una rete organizzativa centralizzata, sviluppata e radicata in tutte le lotte di massa.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2000
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