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Home ›L'Euro festeggia il suo secondo compleanno
Ma per il proletariato è il presagio di più sfruttamento e dell'inasprimento dello scontro interimperialistico
In questi giorni l'euro ha compiuto due anni. Molti commentatori, viste le sue ultime quotazioni piuttosto basse rispetto al dollaro, dicono che se li porta parecchio male; ma è il solito battere della lingua sul tamburo a favore dello smantellamento di quel che resta del cosiddetto stato sociale. In realtà, la svalutazione di oltre il 20 per cento rispetto al dollaro lungi dal rappresentare una sconfitta della nuova moneta, è uno dei risultati che la borghesia europea si prefiggeva almeno in questa prima fase della sua vita. Senza la svalutazione, infatti, l'economia dei paesi che hanno dato vita all'euro, a cominciare dalla Germania, stretta nella morsa dei parametri di Maastricht, rischiava di avvitarsi in una spirale deflattiva senza via di uscita come testimoniano anche e i tassi di crescita del Pil compresi tra lo zero e l'1-1,5% registrati nel 1998 e nel 1999 nei maggiori paesi dell'area dell'euro.
Non potendo allargare i cordoni della borsa, è stata scelta la strada della svalutazione competitiva per rilanciare l'economia e se oggi qualche segnale di ripresa si intravede lo si deve proprio al fatto che le esportazioni verso le aree extracomunitarie, a cominciare da quelle verso gli Stati Uniti sono enormemente cresciute. Le esportazioni italiane verso gli Usa, per esempio, nel marzo di quest'anno sono cresciute del 41,3% rispetto al marzo del 1999. In particolare: l'export del settore tessile è cresciuto del 34%, quello del cuoio del 36%, dei mobili del 38% e quello dei prodotti petroliferi raffinati, contrariamente a quanto farebbe ritenere il forte incremento del prezzo del petrolio, è cresciuto addirittura del 112% in assoluto e del 115,7% verso i paesi dell'Ue. E " Il vantaggio - come fa notare il direttore dell'Ires Pia Saraceno - non si è prodotto solo verso gli Usa. Sul fronte asiatico la svalutazione dell'euro ha in sostanza riportato la competitività dei prodotti italiani ai livelli precedenti la crisi asiatica di tre anni fa" (La Repubblica - Affari & Finanza - 1maggio 2000).
E notevoli vantaggi ne ha tratto anche l'industria tedesca che continua a esportare automobili in tutto il mondo e ormai dei sei colossi che controllano il settore su scala mondiale ben due sono tedeschi. In pratica l'Ue, non potendo far leva sulla crescita della spesa pubblica, ha affidato la funzione di volano della ripresa industriale all'incremento dell'export verso l'area del dollaro e dello yen, senza imbarcare eccessiva inflazione. È bene ricordare che quando il dollaro, nei primi anni '80, raggiunse quotazioni rispetto alla lira vicino a quelle odierne, l'inflazione in Italia, si misurava con numeri a due cifre; oggi, nonostante i forti rincari del prezzo del petrolio, è appena di poco superiore al due per cento. Ciò se da un lato è da ascriversi al fatto che i salari reali sono da tempo in tutta l'area dell'euro in forte diminuzione, dall'altro, è sicuramente dovuto al fatto che la nascita dell'euro consentendo di non utilizzare il dollaro per tutte le transazioni all'interno della Ue che assorbono ben il 90 % di tutti gli scambi e i commerci dell'area, ha reso le singole economie europee meno soggette alle conseguenze delle oscillazioni dei cambi.
Chi si lamenta della debolezza dell'euro, in verità, quando non è in malafede, dimentica che dietro il primato del dollaro vi è il grande potere imperialistico degli Usa che deriva loro sia dal fatto che sono economicamente e politicamente uniti già da oltre due secoli, sia dal loro strapotere militare. Per questa ragione "Il dollaro - come scrivono gli economisti J. Eatwell e L. Taylor - è la moneta chiave da diversi punti di vista: nel 1995 il 65% delle riserve internazionali era detenuta in dollari. Quasi la metà del commercio internazionale, dei depositi in valuta estero e del debito dei paesi in via di sviluppo è denominato in dollari. Esso serve da ancora e da riferimento per i cambi di numerosi paesi. Negli Stati Uniti, sia il settore pubblico sia il privato stipulano prestiti esteri quasi esclusivamente in dollari, per cui non devono preoccuparsi dei movimenti dei rapporti di cambio" (Surplus n. 17 - La trappola del debito). Al riparo più di chiunque altro dalle conseguenze delle oscillazioni del cambio e potendo più di chiunque altro manovrare la leva dei tassi di interessi, gli Usa si possono assicurare un flusso enorme di capitali con cui finanziare i consumi e la domanda interni. È per questo che a dispetto della propaganda ufficiale che sbandiera fra i meriti dell'amministrazione Clinton un bilancio federale in attivo e lascia intendere che gli Stati Uniti godano di una florida situazione finanziaria, in realtà questi possono permettersi di essere il paese più indebitato del mondo senza correre nel breve periodo eccessivi rischi. L'indebitamento privato ha raggiunto nel 1999 il livello più alto di questi ultimi cinquanta anni e oggi ben il 17% di tutte le entrate delle famiglie è divorato dalla spesa per il rimborso del debito mentre il loro risparmio, a causa della contrazione dei salari reali e della forte concentrazione della ricchezza, negli ultimi anni è stato interamente consumato. Una tale situazione debitoria è insostenibile per chiunque non possa far ricadere sugli altri il costo del suo servizio. La crisi brasiliana, quella messicana e quella dei paesi del sud-est asiatico sono state infatti tutte provocate proprio dalla crescita eccessiva dell'indebitamento e dal conseguente rialzo dei tassi di interesse il cui carico è divenuto a un certo punto insostenibile.
Attualmente, i tassi statunitensi a breve hanno un rendimento del 3,75 % superiore a quelli dell'Ue e quelli a medio e lungo termine del 2%. Per contrastare la presunta debolezza dell'euro la Bce (Banca Centrale Europea) dovrebbe pertanto rialzare i tassi di almeno un paio di punti senza disporre di quei meccanismi di compensazione che permettono agli Usa di scaricare una quota consistente dei costi per il servizio del debito sul resto del mondo.
All'Ue, per il raggiungimento di uno status finanziario simile a quello degli Usa, mancano ancora moltissime cose a cominciare dall'unità politica per finire a quella militare senza contare poi che solo ora sta nascendo un mercato finanziario europeo di dimensioni e capacità comparabili a quello statunitense anche se in questa direzione sono stati compiuti enormi passi in avanti come dimostra la crescita portentosa del mercato obbligazionario prima inesistente e quello delle emissioni governative che è già il più grande del mondo.
In questo mutato contesto dell'economia mondiale parlare di euro debole o forte ha davvero poco senso. Ciò che conta è che l'euro esiste e resiste. Il fatto che un paese come l'Italia possa mantenere per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale i suoi tassi di interessi più bassi di quelli statunitensi senza essere travolto dall'inflazione, è già di per sé un evento di portata storica ma anche un chiaro presagio dell'ineluttabile inasprimento dello scontro interimperialistico e anche dell'intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro che in ultima istanza quel plusvalore così aspramente e vampirescamente conteso deve produrre.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2000
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