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Quattro, nessuno e trentamila!
Dieci anni fa promettevano ferrovie efficienti e veloci. In tre anni - dicevano i ministri, sindacalisti e i politici dell’epoca - da Roma a Milano non si impiegheranno non più di tre ore mentre da Milano a Bologna basteranno 38 minuti; ma per far ciò occorre che lo Stato finanzi un coerente piano di ristrutturazione, privatizzare l’azienda e tagliare il personale in eccesso. E poiché già allora, il solo dire che si voleva privatizzazione e licenziare costituiva di per sé un titolo di merito, in dieci anni alle ferrovie sono stati dati ben 200 mila miliardi di lire e tagliati 108 mila posti di lavoro su 220 mila, ma da Roma a Milano si impiegano, anche utilizzando il famoso Etr 500, ancora quattro ore e mezza e sempre che tutto vada liscio come l’olio altrimenti le ore non sono mai meno di cinque e da Milano a Bologna di ore ne occorrono almeno due.
Di fronte a un simile fallimento c’era da aspettarsi, da parte di chi ne è stato direttamente o indirettamente l’artefice, non diciamo la fuga in qualche isola sperduta perché sappiamo che si tratta di gruppi dirigenti selezionati a prova di vergogna, ma almeno un cenno di autocritica. E invece, come se nulla fosse accaduto, ecco il governo e i vertici aziendali tirare fuori dal cassetto un nuovo piano di ristrutturazione che prevede la divisione delle ferrovie sostanzialmente in due settori uno, pubblico, a cui affidare la costruzione e la manutenzione degli impianti e l’altro, quello del trasporto vero e proprio, da privatizzare sull’esempio della Gran Bretagna, lasciando agli enti locali il traffico passeggeri locale che come è noto, comprendendo soprattutto il traffico pendolare, è quello meno remunerativo. Insomma: allo Stato e agli enti locali le perdite e ai privati i profitti, esattamente come è accaduto fino ad oggi. In poco più di dieci anni, infatti, dalle costole delle FS sono nate più di trenta nuove società con altrettanti consigli di amministrazione in cui hanno trovato sistemazione sindacalisti di tutti i sindacati, portaborse di tutti i partiti e le loro mogli, figlie/i e amanti. A gente che a mala pena sapeva far di conto o che conosceva il settore solo per sentito dire sono state affidate importanti mansioni di controllo e programmazione. In teoria, tutte queste società con il loro sterminato esercito di dirigenti, avrebbero dovuto assicurare il miglioramento della qualità del servizio e la costruzione di nuove infrastrutture, ma in realtà hanno pensato soltanto ad arricchirsi smantellando quel poco di buono che c’era nelle ferrovie. In questa ottica sono state chiuse stazioni per farne bar e ristoranti. Anteponendo alle valutazioni tecniche quelle commerciali e di immagine, alcune di esse sono state trasformate in tanti bazar in mano ad altrettante società di amici e parenti. Stazioni situate nel centro di città come Milano, che avrebbero potuto essere riconvertite nell’ambito di un sistema di trasporto metropolitano, sono state chiuse in vista di realizzare un forte rendita immobiliare. Lo stesso acquisto degli Etr 500, al di là di ogni altra considerazione circa la loro affidabilità tecnica, trattandosi di treni progettati per l’alta velocità, visto che le attuali linee non sono attrezzate per quelle velocità non è stato altro che un vero e proprio regalo alla Fiat. Ma tant’è, e il due dicembre scorso è stato firmato un accordo tra governo, sindacati, tutti ivi compreso il Comu, e l’azienda che di fatto ripropone lo stesso modello aziendale privatistico basato sulla presunzione che la valutazione dell’efficace e dell’efficienza del servizio debba essere misurata esclusivamente dal rapporto costi/ricavi ovvero dal conto perdite e profitti. Anche qui, e nonostante la fallimentare esperienza fatta, come per la sanità, le pensioni, i pompieri, le poste e quant’altro di pubblico è rimasto, continua a prevalere il pensiero ( e i più prosaici interessi della classe dominante) che il mercato sia lo strumento migliore per favorire la crescita della qualità del servizio e ridurre i costi. La ciarla, che il potere lascia liberamente circolare, dice che il migliore dei mondi possibili è quello in cui anche l’aria che respiriamo deve essere oggetto di compravendita; quella si ché sarebbe aria fresca e pulita, ricca di ossigeno e purificatrice! E così, coerentemente con l’accordo del 2 dicembre, tutti i sindacati, questa volta tranne il Comu, hanno firmato un contratto che oltre a prevedere una riduzione dei salari (Questa accettata anche dal Comu in nome del risanamento aziendale) introduce elementi che consentono la più totale e completa subordinazione dei lavoratori alle esigenze del profitto. Per prima cosa, scarica sui lavoratori l’obbligo di assicurare un rapporto costi/ricavi non superiore al 14 per cento nel 1998 e per far ciò introduce un’organizzazione del lavoro basata sulla più sfrenata flessibilità soprattutto del personale di macchina. Per i macchinisti sono previsti, infatti, turni specializzati, a seconda che essi operano nell’Alta velocità, nel trasporto passeggeri, in quello merci o nel servizio locale. Con questi turni, mentre il passaggio da un specializzazione all’altra è consentito solo previ specifici esami e in relazione alle esigenze dell’azienda, nell’ambito di ciascun turno è consentita invece la massima flessibilità nell’uso della forza-lavoro ed è prevista l’introduzione dell’agente solo in concomitanza con l’introduzione di sistemi automatizzati di controllo del traffico (ATC). Il salario a sua volta viene diviso in una parte generale fissa comune a tutti e un’altra distinta per profili professionali e mansioni e si completa con un salario, detto di risultato annuale, fortemente legato agli incrementi di produttività dell’impianto di appartenenza. Con questo sistema l’azienda raccoglie due piccioni con una fava: spezza la categoria in quattro segmenti e mette in competizione fra loro i lavoratori dei diversi impianti anche se appartenenti alla stessa categoria creando così i presupposti per una forte riduzione del costo del lavoro tanto più che, a causa della nuova organizzazione del lavoro, ben 32 mila lavoratori risulteranno in esubero. .
E per questa ragione, il nuovo contratto prevede, infatti, la costituzione di un fondo di solidarietà con contributi in parte a carico dell’azienda e in parte a carico dei lavoratori in quote proporzionali al numero degli esuberi che si andranno via via determinando. Lo scopo è quello di parcheggiarvi i lavoratori eccedenti per il tempo necessario a raggiungere le condizioni minime previste dalla riforma pensionistica fatta dal governo Dini e dalla successiva del governo Prodi per poter accedere alla pensione di anzianità, ma per un massimo di quattro anni e con uno stipendio di circa un milione e seicento mila lire al mese. Scaduti i quattro anni, però, se un lavoratore eccedente non avrà raggiunto l’età pensionabile massima andrà incontro a un prepensionamento forzato subendo tutti i tagli e le penalizzazione che la riforma pensionistica prevede per chi anticipa l’uscita dal mondo del lavoro prima del raggiungimento dell’età o degli anni di contribuzione che consentono di percepire la pensione per intero. Il fondo è insomma una sorta di cassa integrazione dalla quale si esce solo per essere espulsi dal ciclo produttivo e spesso con una pensione da fame.
Come si può vedere, il contratto nel suo insieme consente all’azienda di fare quello che vuole tanto più che la commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha ritenuto insufficienti gli attuali limiti allo sciopero e ha proposto un nuovo protocollo con il quale lo sciopero di fatto diventa possibile solo quando ad autorizzarlo è la commissione stessa o l’azienda.
Nonostante l’evidente truffa e l’ingabbiamento definitivo delle esigenze dei lavoratori nelle logiche della privatizzazione, a causa della frammentazione corporativa in cui versa la categoria e dell’opera di contenimento delle confederazioni sindacali, niente minacciava l’approvazione del contratto da parte dei ferrovieri anche perché l’unica opposizione veniva, non senza contraddizioni (aveva già accettato l’accordo del 2 dicembre), dal Comu ed esclusivamente in difesa della sola categoria dei macchinisti. All’improvviso, a guastare la festa è giunta una sequela di incidenti che ha messo in luce il tragico fallimento della politica che affida al profitto anche la sicurezza della vita umana.
Nel timore che ciò inducesse fra i lavoratori una qualche riflessione critica sul nuovo progetto di ristrutturazione, la direzione ha pensato bene di lanciarsi in un’azione di rappresaglia preventiva licenziando, (loro che hanno fatto sparire 200 mila miliardi!) un agente responsabile di un errore contabile, un verificatore e, prima ancora che venissero accertata le cause, due macchinisti ritenuti responsabili di un incidente avvenuto qualche tempo fa e in cui per poco non hanno perduto la vita.
Mossa abile, molto abile perché mettendo sul banco degli imputati i lavoratori ha fatto passare in secondo piano i problemi connessi alla ristrutturazione dell’azienda. Le tre confederazioni hanno addirittura sostenuto la tesi che dietro i licenziamenti si nascondeva la volontà della direzione di sabotare il contratto per impedire il risanamento dell’azienda e mentre facevano svolgere il referendum per la sua approvazione hanno proclamato lo sciopero dell’intera categoria chiedendo il ritiro dei quattro licenziamenti. Lo stesso ha fatto il Comu e i sindacati autonomi: tutti a gridare allo scandalo e all’ingiustizia e tutti pronti a concedere alle FS la più totale libertà di licenziamento! Al mondo, si sa, bisogna acontentarsi e non è escluso che l’azienda alla fine ritirerà i quattro licenziamenti. In fondo, non c’è niente di meglio che perdere una battaglia e vincere la guerra. Pirandello avrebbe detto: quattro, nessuno e trentamila! Questo purtroppo è il destino dei lavoratori fino a quando rimarranno preda del sindacalismo e del corporativismo e non avranno ritrovato sul terreno dell’anticapitalismo la loro unità e identità di classe.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 1998
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