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Messico: nuove unità fuori dal FZLN
Si sta verificando in Messico un fenomeno interessante e di conferma di molte nostre tesi: le ragioni materiali della lotta spingono le masse proletarie e semiproletarie a una unità che si realizza su un terreno comunque diverso da quello che le forze di vario orientamento sulla scena politica vorrebbero imporre.
Un ordine del Fondo Monetario Internazionale, e più in generale le politiche universali del cosiddetto neo-liberismo hanno indotto il governo e più specificamente la Commissione Elettrica Federale (CFE) a un improvviso e stratosferico aumento delle tariffe dell’energia elettrica, sino a livelli insostenibili ai più. Per tenere accesa una sola lampadina sono oggi richiesti 300 Pesos (ca. 52 mila lire) ogni due mesi.
In tutte le regioni del paese si è sviluppata una lotta che ha visto unirsi, da una parte, i contadini agli operai salariati e ai piccolissimi imprenditori artigiani e commerciali per imporre delle tariffe sociali non superiori a 30 pesos attraverso il rifiuto di pagare le nuove bollette, e dall’altra l’Ente elettrico che taglia le forniture a famiglie e intere comunità.
La lotta è partita ancora dal Chiapas, ma stavolta gli zapatisti dell’EZLN c’entrano molto poco.
Il Chiapas produce il 45 per cento dell’energia idroelettrica del paese. Nonostante una infrastruttura che consente la vendita al Guatemala dell’energia generata nel Chiapas due terzi delle famiglie indigene nello stato rimangono al buio.
Dal S.Francisco Bay Guardian del 3 maggio. L’articolo che riporta l’intera dettagliata storia della lotta è disponibile a richiesta.
La reazione violenta del CFE che ha addirittura tagliato, protetta dalle truppe federali, i pali delle linee elettriche che conducono alle comunità più povere, ha generato una unità fra i ciapanechi di ogni contrada e orientamento - qualcosa che gli Zapatisti dovevano ancora raggiungere. I quattro maggiori gruppi Maya della regione (Tzotsil, Tzeltal. Chol e Tojolabal) hanno finalmente trovato un terreno comune nell’opporsi ai tagli dell’energia.
Contemporaneamente si apprende che sono in lotta i 500 lavoratori della centrale nucleare di Laguna Verde, nei pressi di Veracruz, licenziati per essere sostituiti da lavoratori degli appalti. Aumenta il rischio ma diminuiscono e spese, e tanto basta alla Commissione Elettrica Federale, come a ogni capitalista che si rispetti.
Palestina
Il 26 aprile scorso gli insegnanti palestinesi sono rientrati al lavoro dopo il primo sciopero sotto l’Amministrazione palestinese, che ha paralizzato le scuole nel West Bank.
Lo sciopero iniziato i primi giorni di aprile rivendicava aumenti sala-riali e migliori condizioni di lavoro. Gli insegnanti lamentavano che con il salario medio di 400 dollari al mese non basta a coprire i loro bisogni di base.
Il 21 aprile la polizia aveva arresta-to 25 insegnanti ritenuti leader della agitazione. Intanto le forze di sicurezza palestinesi trattavano con il comitato di sciopero costituito. Il 24 è intervenuto direttamente il presidente Arafat, per ordinare la liberazione degli arrestati, assicu-rando che le rivendicazioni degli insegnanti sarebbero state discusse nel Consiglio legislativo palestinese.
Nike in Indonesia e Vietnam
Il 25 aprile 5 mila lavoratori di una fabbrica dei dintorni di Giacarta che produce scarpe per la Nike hanno dimostrato violentemente bruciando automobili e saccheggiando i suoi uffici, per protestare contro il rifiuto della azienda di pagare il salario minimo di 2,5 dollari al giorno. Dopo gli scontri seguiti con la polizia due lavoratrici sono finite in ospedale e diversi agenti e ufficiali hanno lamentato ferite minori.
Il giorno successivo la lotta si è risolta, come ha dichiarato un portavoce della Nike, con un aumento salariale del 10,7 per cento.
La Nike e la sua concorrente Reebock producono le scarpe che vendono col loro marchio in tutto il mondo a vestire i piedi degli “sportivi” alla moda, in Indonesia, in Vietnam e Malesia, avvantaggiandosi dei salari da fame vigenti in quei paesi. Lo stesso governo indonesiano che ha mandato la polizia a proteggere le fabbriche sub-fornitrici di Nike, riconosce che il salario minimo di 2,5 dollari al giorno basta appena a coprire il 90 per cento delle spese personali del singolo lavoratore. Ciononostante permette un solo sindacato che lo stato stesso controlla e ha perseguitato con arresti, bastonature e anche uccisioni i tentativi di organizzazione autonoma. È questa la condizione della borghesia di quei paesi per attrarre i capitali e gli acquisti da parte del capitale metropolitano.
Il 22 aprile 13 mila operai della stessa azienda e di altre fabbriche che lavorano per la fornitura di Nike e Reebock erano sfilati in una marcia di 10 chilometri per rivendicare aumenti salariali.
E nel Vietnam del Sud lo stesso 25 Aprile circa tremila operai scontenti del contratto di lavoro al quale sono soggiogati hanno marciato fuori da una fabbrica Nike in uno dei più grandi scioperi della storia recente del paese.
I portavoce della Nike si sono affannati a negare qualunque connessione fra le azioni in Indonesia e in Vietnam.
Da una parte mentono: la connessione esiste eccome, nella comune condizione di ipersfrut-tamento imposto dalla stessa azienda metropolitana. Hanno ragione dall’altra e sperano di continuare ad averla: non c’è ancora organizzazione comune e coordinamento di lotta del proletariato contro il capitale.
Minatori cileni
Centinaia di minatori cileni si sono scontrati con la polizia a Santiago il 5 maggio. Erano scesi sulla capitale dalla miniera di carbone Lota situata nel sud del Paese e posseduta dalla statale Enacar che ne ha deciso il mese scorso la chiusura, lamentando forti perdite. Nei fuori scontri dieci minatori son rimasti seriamente feriti.
Lo stesso giorno i minatori del rame della miniera Quebrada Blanca, posseduta dalla canadese Cominco Ltd. Hanno dimostrato nella città del Nord Iquique, mentre era lì in visita il presidente cileno Frei, nel corso di uno sciopero iniziato il 30 aprile.
Intanto il 2 maggio si era appena concluso lo sciopero di due settimane dei lavoratori della miniera Escondida, di proprietà australiana, dopo che la direzione aveva accettato un pacchetto di aumenti salariali.
E minatori russi
I minatori russi sono di nuovo in lotta per farsi pagare i salari arretrati di un anno. Nella regione nordica di Komi (1800 km a Nord-Est di Mosca) che comprende la ormai famosa Vorkuta i minatori hanno bloccato il 1 giugno le ferrovie che collegano la città di Inta ai pozzi di carbone mentre nella stessa Vorkuta tutte le miniere sono state ferme per lo sciopero.
Le aziende minerarie non pagano i salari perché dicono di non aver denaro per il fatto che gli acquirenti di carbone a loro volta non pagano.
Queste le gioie del capitalismo reale nel quale ha gettato la maschera il falsissimo socialismo russo.
Pensionati in Jugoslavia
Migliaia di pensionati hanno marciato il 29 maggio nella capitale iugoslava Belgrado per protestare contro il mancato pagamento delle pensioni e reclamare migliori condizioni di vita. Molti sventolavano i loro documenti di pensione a mostrare che non ricevevano alcun pagamento da febbraio. Le proteste dei pensionati vengono ad aggiungersi agli scioperi di medici, infermieri, insegnanti e alle altre proteste di disoccupati, che negli ultimi messi tengono sotto pressione il governo del presidente Milosevic.
La confusione e la debolezze politica dei lavoratori iugoslavi è ancora grande se le uniche dichiarazioni raccolte dalle agenzie sono del tipo “Le autorità hanno costretto i pensionati a farsi sentire. Ci ignorano, ma dimenticano che abbiamo un arma letale: il voto”. (Da una compiaciuta agenzia Reuter del 29-5).
Esecuzioni in Irak
Il 14 maggio è giunta notizia di una campagna di esecuzioni di massa che il regime baatista di Saddam sta operando ai danni dei prigionieri politici e segnatamente di militanti operai del Partito comunista operaio d’Irak.
Duecentocinquanta prigionieri sono già stati fucilati, prevalentemente nella prigione di Abu Ghraibe, la più grande del regime.
Non è peraltro una novità nella storia trentennale di questo regime la persecuzione e l’uccisione degli oppositori politici, specialmente di classe operaia: migliaia di militanti politici e di attivisti operai sono in carcere a rischio perenne di perdere la vita come già successo a centinaia. Sono centinaia anche le famiglie di prigionieri fucilati sterminate, a maggior sicurezza del regime.
Questo non fregava niente allo stato campione dei “diritti civili” (gli Usa) prima - quando sosteneva Saddam in funzione anti-iraniana - né ora che gli fa la guerra. Quando si tratta di massacrare proletari in rivolta, le borghesie di tutto il mondo sono sempre unite.
Bangladesh: condizioni dell’export
Un recente accordo fra rappresentanze dei lavoratori delle confezioni e governo stabilisce, oltre a un salario minimo che deve essere rispettato, che il Venerdì (là equivalente alla nostra domenica) deve essere libero dal lavoro.
Sì, perché sinora il lavoro nell’industria delle confezioni durava sette giorni su sette. L’industria delle confezioni conta per il 70 per cento dell’export del Bangladesh, e occupa un milione e duecento mila operai. Ha fruito recentemente della delocalizzazione delle produzioni dallo Sri Lanka, tormentato dalla guerra dei Tamil ed è posseduta principalmente dagli stessi uomini del potere politico.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 1997
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