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Home ›La Predica del governatore Fazio
Anche quest’anno Fazio, il governatore della Banca d’Italia, nella sua relazione annuale ha invocato batoste a non finire per i lavoratori; infatti pur avendo rilevato che il risanamento della finanza pubblica è a buon punto, non ha lasciato alcuna speranza per un eventuale allentamento della morsa di miseria che attanaglia sempre più chi vive di lavoro. Dopo aver rilevato il divario esistente fra i tassi di crescita dell’economia europea e quelli dell’economia statunitense e giapponese ne ha tratto la conclusione che queste ultime sono favorite dalla “ flessibilità del mercato e dei rapporti di lavoro oltre che da una bassa crescita dei salari reali” e da un “carico fiscale e contributivo di un terzo inferiore”, ha invocato “riforme profonde nel sistema di sicurezza sociale al fine di renderne l’onere sopportabile nel tempo e per garantire l’equità distributiva.”
Bassa protezione sociale per poter aver una bassa pressione fiscale e bassi salari, sono, secondo il governatore, le tessere con cui comporre un mosaico macroeconomico favorevole a una ripresa degli investimenti e capace di assicurare stabilità e sviluppo in linea con il pensiero economico dominante che ritiene possibile il rilancio dell’occupazione e della crescita soltanto riducendo il valore della forza-lavoro al livello più basso possibile e, specularmente, che la stagnazione degli investimenti sia dovuta a salari reali troppo alti, a un mercato del lavoro poco flessibile e all’eccessivo costo del cosiddetto stato sociale. Si tratta, in realtà, di un falso gigantesco che ha come unico scopo quello di avallare i nuovi tagli a salari, stipendi e pensioni predisposti dal governo in combutta con i sindacati. Se, infatti, la tesi secondo cui gli investimenti crescono in concomitanza di una diminuzione dei salari reali fosse vera, in questi ultimi venti anni avremmo dovuto registrare una loro esplosione visto che i salari hanno disceso una china che li ha portati ai livelli degli anni cinquanta e in nessuna parte del mondo ciò ha significato un rilancio della base produttiva e una ripresa dello sviluppo.
Addirittura ridicola appare poi la tesi secondo cui sarebbe la scarsa flessibilità del mercato del lavoro la causa della stagnazione degli investimenti in Italia. Nel 1996, secondo dati della stessa Confindustria, più del cinquanta per cento dei lavoratori sono stati assunti con contratti a tempo determinato, a part-time, di formazione-lavoro e mediante il ricorso al lavoro interinale, eppure l’ecatombe di posti di lavoro è continuata tranquillamente.
Per quanto riguarda l’onere dello Stato sociale che sarebbe troppo elevato, siamo ormai di fronte a un perfetto esempio di realtà virtuale completamente partorita dalla fantasia e dalla faccia tosta di chi ne parla. Lo Stato italiano, infatti, al netto degli interessi passivi sul debito, ha conti perfettamente in ordine e vanta un attivo primario di circa 100 mila miliardi di lire, roba da far invidia anche ai più grossi monopoli privati; ma nessuno parla di tagliare la rendita finanziaria e tutti invece invocano tagli a pensioni e sanità.
Anche in Giappone e negli Stati Uniti, come abbiamo più volte dimostrato, cresce costantemente il numero dei disoccupati e si allarga l’area della miseria. D’altra parte, se le cose in Giappone e negli Stati Uniti, che sono le maggiori potenze economiche mondiali, vanno a gonfie vele, come lascia intendere il governatore, non si riesce a capire come mai:
Le industrie manifat-turiere mondiali ( a eccezione di quelle cinesi) lavorano soltanto al 70-75 % della loro capacità. Il debito mondiale (che comprende quello delle imprese, degli stati e delle famiglie) ha superato 33.100 miliardi di dollari, pari al 130% del Pil mondiale, e progredisce a un tasso del 6-8% l’anno, vale a dire oltre il quadruplo della crescita del Pil mondiale.
Frédéric F. Clearrmont - Le Monde Diplomatique, aprile 97 - Le duecento società che controllano il mondo
La realtà, quella vera non quella virtuale, evidenzia, dunque, un quadro da cui si evince chiaramente che gli investimenti stagnano per ben altre ragioni che non quelle indicate da Fazio e specificatamente per il fatto che il saggio medio del profitto cala anche in concomitanza di una riduzione sia del salario diretto, sia del salario indiretto (assistenza sanitaria ecc.) sia del salario differito (trattamento di fine rapporto, pensioni) a causa delle contraddizioni insite nel processo di accumulazione capitalistica giunte ormai a piena maturazione
Ne è la riprova il fatto che negli ultimi venti anni, l’unica espansione che si è verificata è quella del capitale transnazionale la cui quota rispetto al Pil mondiale è
passata dal 17% della metà degli anni 70 al 24% nel 1982 a oltre il 30% nel 1995
ibid
e tale crescita ha avuto luogo solo grazie al fatto che si sono fortemente accelerate le spinte alla concentrazione e alla centralizzazione dei capitali. Sempre F. Clairmont ci informa:
Dal 1986 al 1996 le fusioni di imprese si sono moltiplicate al ritmo del 15% l’anno, e non si vedono segni di rallentamento nel prossimo futuro... Evidentemente in questo periodo contrassegnato dalla deflazione e dal rallentamento della crescita, dalla sottoccupazione e dall’indebitamento, le società transnazionali non hanno altro mezzo per promuovere la propria espansione che quello di assorbire le loro concorrenti per conquistare nuovi mercati.
ibid
Tenendo presenti questi dati e dando uno sguardo alla graduatoria delle prime 500 imprese al mondo censite da Fortune dalla quale si evince che sono proprio giapponesi e statunitensi le imprese che detengono la quota più elevata sia del fatturato sia dei profitti globali, la crescita di Giappone e Stati Uniti, che i dati statistici evidenziano, appare più il frutto delle loro posizioni egemoniche sul mercato mondiale che non il frutto di un’espansione poderosa della base produttiva legata alla supposta maggiore flessibilità dei mercati del lavoro o al minor costo della protezione sociale
Per essere ancora più chiari: non aumenta il numero delle fabbriche, né quello dei lavoratori occupati, ne la quantità della ricchezza prodotta su scala planetaria, ma semplicemente siamo in presenza di un accrescimento della rendita monopolistica delle maggiori imprese transnazionali che sono appunto in gran parte statunitensi e giapponesi .
Reclamando, come fa il governatore Fazio e con lui tutto lo sterminato esercito di neo-liberisti, neo-keynesiani, ex stalinisti ed ex tutto, una politica economica incentrata sulla riduzione dei salari reali, in realtà non si persegue tanto l’espansione della base produttiva, ma l’accrescimento puro e semplice dei profitti mediante l’incremento della rendita monopolistica.
La politica che punta alla riduzione del valore della forza-lavoro è dunque funzionale al rilancio della domanda (espansione della base produttiva) solo in subordine alla conquista di posizioni egemoniche sul mercato mondiale. La tendenza alla compressione dei salari e al peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, essendo concepita in funzione dei processi di integrazione continentale quale condizione sine qua non per partecipare con maggiori chances alla lotta per il controllo imperialistico dell’economia mondiale, ha perduto ogni carattere di transitorietà per assumere quello della permanenza a prescindere dall’organizzazione della protezione sociale, del mercato del lavoro e quant’altro.
Fazio lo sa e quale sommo sacerdote del capitale mentre predica per il bene dell’anima degli afflitti pensa alle tasche dei potenti.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 1997
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