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La continuità dottrinaria tra Marx, Engels, Lenin e il significato della sua contestazione da parte dei teorici della sinistra "ufficiale"
“Antiengelsismo” di sempre e suo significato storico
Considerati questi punti, resta quindi legittimo il dubbio se il Lenin vero di Gramsci (o per es. di Sidney Hook in Towards the Undermanding of Karl Marx, London 1933) che si contrappone all'inadeguata sua espressione filosofica stricto sensu tecnico (come troviamo in un saggio di E. Fergnani, Marxismo e filosofia contemporanea, 1964) sia quello autenticamente storico. Dice Lenin stesso:
“Accadde oggi alla dottrina di Marx ciò che più di una volta è accaduto nella storia alle dottrine del pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse nella loro lotta per la liberazione. Le classi dominanti hanno colpito i grandi rivoluzionari, mentre questi erano in vita, con persecuzioni continue, hanno accolto la loro dottrina con l'asilo più feroce, con l'odio più rabbioso, e con le campagne più sfrenate di menzogna e di diffamazione. Dopo la morte si tenta di trasformarli in icone inoffensive, per così dire di canonizzarli, di concedere una certa gloria al loro nome per “consolare” e abbindolare le classi oppresse, mentre si svuota il contenuto della dottrina rivoluzionaria, se ne spuntano le armi, la si avvilisce. Su questo “trattamento” del marxismo concordano ora la borghesia e gli opportunisti all'interno del movimento operaio. Essi dimenticano, cancellano, svisano l'aspetto rivoluzionario della dottrina, la sua anima rivoluzionaria; mettono in primo piano, esaltano ciò che è accettabile, o sembra tale, alla borghesia. Tutti i socialsciovinisti - non ridete! - oggi sono marxisti”. E sempre più spesso gli studiosi borghesi tedeschi, specialisti fino a ieri nella distruzione del marxismo, parlano di un Marx “nazional-tedesco” che avrebbe educato organizzazioni operaie inquadrate così meravigliosamente, allo scopo di condurre una guerra di rapina!”
Questa famosa requisitoria, con cui si apre una delle opere più “profetiche” cioè antiveggenti, ed attuali del marxismo classico (ripudiata ed ignobilmente sfigurata da staliniani, da trotskisti ortodossi alla Marconi o anarchizzatisi alla Daniel Guérin, et genus omne), “Stato e Rivoluzione” non è a nostro parere (come potrebbe pensare I. Silone, influenzato da un vacuo giudizio della Kollontai, già oppositrice anarco-sindacalisteggiante con la Rabociaia Oppositcija e poi staliniana e persecutrice di Trotsky) sintomo di un'ormai “proverbiale” mancanza di democrazia di V. I. Ulianov nel trattare questioni teoriche, politico-filosofiche: è una constatazione, precisa nell'agosto-settembre 1917 e, almeno in larga misura, ancor oggi esatta. Anzi, lo stalinismo, con i suoi mausolei, e le sue “imbalsamazioni”, letterali e metaforiche, ha fatto a Lenin lo stesso servizio che la socialdemocrazia fece a Marx ed Engels. E opportunismo può significare controrivoluzione, da Scheidemann a Molotov.
Engels in particolare era stato preso di mira dalla socialdemocrazia tedesca, il “perfetto modello di organizzazione”, in cui Rosa Luxemburg poteva passare per un'avventuriera (e il nostro Labriola ripeteva pedissequamente il giudizio) in quanto anticipatrice nella critica, non solo a Bernstein, ma anche a Kautsky, dell' “anarchico” Lenin (v. Trotsky: Giù le mani da Rosa Luxemburg!, 1932): Si ebbero anche casi di malafede e “malavita politica” es. più noti:
a) taglio del finale rivoluzionario, operato da Bernstein alla prefazione engelsiana alle Lotte di classe in Francia, scritta nel 1891: vi reagirono anche Lenin e la Luxemburg: di essa scrisse magistralmente Trotsky (Storia della Rivoluzione Russa, parte II, “L'arte dell'insurrezione”):
“La critica di Engels, diretta contro il feticismo delle barricate... Ritenendo, d'accordo con il blanquismo, che la rivoluzione è un'arte, Engels metteva in luce non solo la funzione secondaria dell'insurrezione nella rivoluzione, ma anche la funzione declinante della barricata nell'insurrezione. La critica di Engels non significava affatto una rinuncia ai metodi rivoluzionari per un parlamentarismo puro, come pretesero di dimostrare ai loro tempi i filistei della socialdemocrazia tedesca con l'aiuto della censura degli Hohenzollern. Per Engels il problema delle barricate era un problema concernente uno degli elementi tecnici dell'insurrezione. I riformisti, invece, dalla negazione del valore decisivo della barricata cercarono di dedurre una negazione della violenza rivoluzionaria in generale. Più o meno, è come se da considerazioni sulla probabile diminuzione dell'importanza delle trincee nella prossima guerra, si volesse dedurre il crollo del militarismo”;
b) la lettera di Engels a Bebel del 18/28 marzo 1875 e trattante del programma di Gotha (criticato anche da Marx nella celebre lettera a Bracke, contro la parola d'ordine lassalliana e hegel-liebknechtiana dello “stato popolare libero” lettera pubblicata solo nel 1891, e sottratta per 16 anni), venne dal destinatario “tenuta nel cassetto” per più di sette lustri, e pubblicata solo nel 1911 nei bebeliani “Ricordi della mia vita”;
c) simile sorte - ma il testo fu sottratto solo per un decennio - subì, da parte del destinatario Kautsky l'engelsiana “Critica del progetto del programma di Erfurt”, scritta nel 1891, in cui si critica lo “stato popolare” con “partecipazione” delle masse, nonché l'identità tra socialismo e pianificazione:
“Quando passiamo ai trust, che monopolizzano e dominano interi rami dell'industria, allora cessa non solo la produzione privata, ma anche l'assenza di pianificazione... Voi K. Kautsky ponete in primo piano le questioni politiche astratte, nascondendo così le questioni concrete immediate...”
E si può dire che solo l'insistenza di Engels fece pubblicare la “Critica del programma di Gotha”, pur con tale ritardo. Lenin, in “Stato e Rivoluzione”, in lettere dall'esilio, in altri modi ancora non mancò di denunciare questa contraffazione, questa “trasformazione di Marx in un volgare liberale”. Basti pensare al capitolo “Democrazia borghese e democrazia proletaria” de “Il rinnegato Kautsky” in cui, valorizzando il significato rivoluzionario della mutilata ed artatamente distorta prefazione alla Guerra civile in Francia (1871) di Marx, scritta da Engels nel '91 (come del resto in “Stato e Rivoluzione” e come Trotsky in “Terrorismo e comunismo”, replica all'omonimo scritto kautskiano come “Il rinnegato Kautsky” rispondeva a “La dittatura del proletariato”, pure di Kautsky) Lenin trova il vertice tanto della passione polemica, sorretta sempre da un equilibrio spesso sorprendente, quanto della penetrazione filologica”, sia pur scevra da apparati storiografici “imparziali”, ma anche quella dell'imparzialità dello storico è una tesi meramente borghese, e facciamo rimando alla memorabile prefazione di Trotsky sua “Storia della rivoluzione russa”.
Non occorrerà sottolineare che le tesi kautskiane tramutatrici di Marx ed Engels in gradualisti-nazionalisti sono poi state riprese ed utilizzate dallo stalinismo, e come tali (socialismo in un paese solo, nazionalizzazioni equivalenti a socialismo) oggi di uso corrente e attribuite, da aderenti ed avversari mal informati, al “marxismo-leninismo” (espressione che tra l'altro storicamente sorse in senso piuttosto eufemistico, stando che con essa lo stalinismo volle indicare la sua versione “nazionale” del marxismo in contrapposizione alla “rivoluzione permanente” ed alla linea dell'Ottobre Rosso, spacciata per “trotskismo”.
Questa “difesa di Engels” di cui abbiamo citato alcuni capitoli importanti si può dire ricorra in tutte le opere leniniane: dai più considerevoli saggi “filosofici” a quelli “politici” e fin di agitazione: molti certo ne sono andati perduti, e altri per lungo tempo “scomunicati” (ad esempio, il già citato notevolissimo Controcorrente scritto in collaborazione con Griscia Zinoviev, fucilato nel '36). Ricordiamo qui alcuni degli scritti più importanti e significativi in cui Lenin contribuisce ad una “riscoperta” su Engels o mutua dalle sue osservazioni spunti anche essenziali: Friedrich Engels (autunno 1895), biografia sintetica scritta a mo' di necrologio: insiste in modo particolare e squisitamente “leniniano sulla posizione dialettica della dottrina di avanguardia rispetto alle masse, e, in pochi tratti, delinea l'importanza del “pensiero di Hegel sul perpetuo processo di sviluppo” per il marxismo. Ivi Lenin delinea anche a grandi tratti il “fedele Fred” come uomo; come amico - ciò ricorda, non possiamo tralasciarlo, il brano del 13 febbraio del “Diario d'esilio 1935” Trotsky, che esprime il parere “che, visto nei suoi rapporti col titanico Marx, il fedele Fred aumenta - anziché diminuire - di statura”: tesi entusiasticamente condivisa da Lenin, come Trotsky (che se lo leggeva sul famoso treno blindato) profondo analista del “Carteggio Marx-Engels”, che in un articolo omonimo del 1913 difese oltrettutto dalle prefazioni ad usum Delphini di Bernstein. In questo scritto è un'interessante recensione anche della parte riguardante “il giovane Engels”, per tutta la vita il nemico implacabile dell' “introduzione dello spirito filisteo nel comunismo”, denunziatore caustico di ogni deviazione piccolo-borghese, precursore di Marx, con singolare lucidità, nella critica anti-proudhoniana, assertore indefettibile della violenza rivoluzionaria, progettista del Manifesto in una forma a domanda e risposta che purtuttavia nulla aveva di catechistico, e nondimeno subito dopo autocritico e proponitore di un abbozzo prossimo alla forma attuale (scrupoli ignoti ai compilatori del “Breve corso”). Altro testo di particolare importanza, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo (marzo 1913), che considera Marx ed Engels come risolutori delle questioni già poste “dal pensiero d'avanguardia dell'umanità”, filosofia tedesca, economia politica inglese, socialismo francese. Vi si trova un interessante punto ove la dialettica è definita “la dottrina della relatività delle conoscenze umane, riflesso della materia in perpetuo sviluppo”. Lo stesso primo capitolo del Che fare? ha il quarto paragrafo dedicato ad Engels e l'importanza della lotta teorica”. Così il Marxismo e Revisionismo (aprile 1908) valorizza l'Antiduhring. Il “piccolo saggio” del 26 maggio 1913 su L'atteggiamento del partito operaio verso la religione si preoccupa ancora di distruggere un ennesimo mito socialdemocratico, oggi di attualità: quello del “neutralismo” (che sarebbe stato tra l'altro formulato da Engels, almeno a sentire gli opportunisti in cerca di un'autorevole foglia di fico) del partito nei confronti della religione stessa: ostilità, ma non mai critica che si ferma al momento ideologico-la religione va distrutta alle radici, e queste son le strutture economiche dello sfruttamento e del privilegio. Ciò, afferma Lenin, Engels sostenne sempre saldamente, Qui inoltre si ripete un tema su cui Lenin torna spesso: il vecchio materialismo ignorava la storia - e per vecchio materialismo intende quello fino a Feuerbach. Ebbene, noi crediamo che nel senso della storia - lavoro, prassi - vada intesa la realtà sensibile “dal lato soggettivo, umano”. Il che potrebbe sembrare scontato nel filone “dogmatico”: ma in realtà, che storicismo fu quello zhdanoviano? Cioè, l'espressione di Lenin:
“il materialismo dialettico di Marx e di Engels va più in là degli enciclopedisti e di Feuerbach applicando la filosofia materialistica al campo della storia, delle scienze sociali”
spiegherebbe la Seconda Tesi: specie laddove
“Feuerbach - osserva Marx - vuole gli oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti di pensiero: ma egli non concepisce l'attività stessa come attività oggettiva”
che per noi vuol dire: nega la realtà al lavoro, al lato attivo creatore e trasformatore: vede solo cose intatte, pure, extra-umane, e non il mondo umano che dall'ambiente deriva, ma che a sua volta lo trasforma (v. Ideologia Tedesca). Donde l'astrazione dell'Uomo feuerbachiano ed il suo ipostatico antropologismo, donde l'idealismo pseudostorico degli enciclopedisti stessi.
Il 29 giugno 1918, Lenin ricorda sulla Pravda le Parole profetiche di Engels sulla futura guerra mondiale (prefazione all'opuscolo di S. Borkhcim Ricordo ad uso dei patriottardi tedeschi. 1806-1807, scritta nel 1887). Come dice Lenin,
“la cosa più sorprendente è che un'infinità di cose predette da Engels si avverano "come se fossero state fissate da un piano". Poiché Engels dava un'analisi di classe assolutamente esatta, e le classi e i loro rapporti sono rimasti immutati.”
Così Lenin introduce uno scritto che da una parte attesta il valore effettivo delle “predizioni” marxiste, dall'altra il rigore scientifico engelsiano - sullo sfondo della polemica internazionalista del disfattismo rivoluzionario e della trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile. Infine, ci sembra necessario ricordare l'articolo del 12 marzo 1922 (uno degli ultimi) su Il significato del materialismo militante, ove tra l'altro si auspica un vero e proprio ampliamento sulla base di redazione collegiale - del lavoro iniziato per Hegel nei “quaderni filosofici”, costituendo una specie di “società di amici materialisti della dialettica hegeliana”. Tutta la corrispondenza Marx-Engels, aveva detto Lenin, poteva essere caratterizzata dalla sola parola “dialettica”. Donde gli attacchi antiveggenti, di quel periodo caratterizzato dalla disputa sindacale (1920-21), a Bukharin-Trotsky ed alle loro tendenze “amministrative” in favore della “intelligentsija tecnica” nucleo costitutivo della “nuova classe”, ed il noto giudizio del Testamento (sia Bucharin che Trotsky dovevano poi rimpiangere tali posizioni, che favorirono Stalin). Dal che si vede come la problematica dialettica-hegelismo si arricchisca di significazioni specifiche, che trascendono la nostra esposizione, ma che, ci sia lecito notare, non sono state finora oggetto di analisi storicamente “consistenti” a livello di testi “filosofici” (eccezione forse fatta per il citato Marxismo e Libertà della Dunayevskava, però viziato da ideologismo “umanistico”-libertario e da deficienze strutturali considerevoli, segnatamente per quanto riguarda la valutazione storica del problema del Partito, eluso o quasi.
Tale indirizzo, che, per essere antizhdanoviano, inclina spesso al parallelismo con moduli tipicamente gramsciani e neo-togliattiani, si spiega del resto in buona parte con la collocazione geografica del gruppo della Raya, e con la sua conseguente non-conoscenza compiuta dei panorama ufficiale della pseudosinistra europea a livello gnoseologico. In Italia, non avrebbe senso differenziarsi “filosoficamente” dagli staliniani con tali schemi, che anzi ne riprodurrebbero alcuni spunti ricorrenti, e fin la terminologia).
Le opere leniniane specificamente considerate “filosofiche” sono però “Materialismo ed empiriocriticismo” ed i “Quaderni filosofici”. Se ciò è vero, in quanto esse trattano particolari questioni gnoseologiche, il loro isolamento dal contesto della pubblicistica leniniana è impossibile: ed in tal contesto si inseriscono naturalmente quegli interventi anche, se vogliamo, “occasionali”, che però costituiscono ognuno un Beitrag “in nuce”, anche per quanto riguarda i temi gnoseologici.
Si è cercato anzi, da parte del Colletti, di contrapporre il vecchio (1849) scritto Che cosa sono gli “amici del popolo”, e come lottano contro i socialdemocratici al “posteriore hegelismo”, ed i successivi fino allo Sviluppo del capitalismo in Russia, del pari: ma Colletti stesso finisce per dovervi ammettere la “duplice vocazione del marxismo”: tropismo, diremmo, negativo e positivo rispetto ad Hegel-Engels, dialettica-metafisica (la via “negativa”, con analogie banfiane, valorizza la “ragione” - riecheggiando paradossalmente Lukàcs - e ne rimpiange l'insufficiente trattazione in “Materialismo ed Empiriocriticismo accettato perché “non ancor del tutto hegeliano” ma condizionatamente in quanto “engelsizzante”).
Francamente, le consimili interpretazioni, che muovono dal Capitale sono poi forzate a rigettarne dei brani, come “civetterie hegeliane”: ed il processo non è senza “forzature”. Come è una “forzatura” vedere la dialettica engelsiana - fosse pure la peggiore - nel grottesco dialettismo di “critica ed autocritica” di Zhdanov (teorico, come il suo ispiratore Stalin, o i vari satelliti alla Varga, di scarsa dignità filosofica, e piuttosto rispondente, per certe formulazioni in modo notevole, a personaggi dispotici alla Koestler).
Diffusa - ed avvallata dalla boutade di Merleau-Ponty sulla sua funzione di “garde-fou” - la tesi di un “Materialismo ed Empiriocriticismo” come virulento pamphlet anche necessario in quella data situazione, specie di contro ad alcune aberrazioni tipo Lunacarskij. La violenza del tono sarebbe pertanto a assolta” dall'urgenza della circostanza, e tutto si risolverebbe in un conflitto “ideologico” interno del P.O.S.D.R.
Quest'opinione non si sottrae al sospetto almeno di semplicismo o di ignoranza (voluta o no) di tutta la precedente attività leniniana, o caso mai di trascuranza di questa come “inferiore”. Ciò anche quando sia presentata nel quadro di una valutazione positiva di Lenin che “non avrebbe fatto sul serio, per la scienza”, ma piuttosto per tacitare una catena di berkeleyani “cercatori di Dio”.
Il saggio del 1908 per i rapporti Engels-Lenin
L'apertura introduttiva dell'opera invece è proprio incentrata sul materialismo dialettico e su Engels: quell'Engels che col materialismo dialettico ostentavano appunto di demistificare, svecchiare, confutare, ecc. i vari Berman, Bazarov, Cernov ecc. Idolo dell'epoca, positivismo “scientifico” relativistico di nuovo stampo.
Il problema-chiave di Lenin è questo: se il machismo, criticando la “cosa in sé” come metafisica prosegue coerentemente sulla via del ripudio del mondo esterno dovrà giungere al berkeleysmo dell'esse est percipi, del “complesso di sensazioni”. Ma è la via o della mistica teistica ( dio-garanzia di esistenza ) o del solipsismo: anzi, peggio ancora, gli estremi sviluppi humiani fanno pericolare lo stesso io singolo, tra le cui sensazioni non c'è continuità fisica. La stessa socialità dell'esperienza presuppone l'oggettività di altri individui fuori di noi. Ovviamente, ed in tal senso Gramsci riecheggia gli empiriocriticisti, senza cadere nel ridicolo del “verme” che R. Willy produce come “prima coscienza” anteriore all'uomo: sul problema dell'esistenza “prima” dell'uomo Gramsci tace definendolo “mal posto”, ma i gramsciani talvolta (riproponendo la tesi di Petzold, confutato da Lenin, e ripreso da Gramsci) accennano alla sua oggettività per la “potenziale oggettività rispetto alla futura soggettività” (abbreviando il loro ragionamento usuale ). Questo è un esempio tipico, nella pratica, del “materialismo da laboratorio” cui devono giungere, per esempio, i già menzionati paleontologi: donde il tentativo gramsciano-idealistico di minarlo.
Si disse, e si dice da parte gramsciana, che è assurdo porre il problema dell'oggettività “dal punto di vista dell'universo in se”. Infatti per Gramsci , “oggetto” è sempre “per noi”, in quanto implica l'empiriocriticistico termine correlativo “soggetto”: c'è oggetto solo in presenza di un soggetto che lo conosce (facendone oggetto di produzione): esse est percipi (posse) un po' alla Stuart-Mill: donde il “controtermine potenziale” dei gramsciani “epistemologi”. Senonché in tal caso si sposta il problema, e si potrebbe chiedere ai gramsciani: ma allora non può esistere una realtà di fatto, alcunché di reale, finché non venga individuato come oggettivo in quanto conosciuto da noi (soggetto)? la qual cosa, poniamo, era ieri “inconoscibile”, cioè sconosciuta, ed oggi ci è nota: cioè, per dirla con Lenin, l'America precolombiana sarebbe esistita oggettivamente solo per gli Indios? Ma comunque detto continente esisteva: e sarebbe ancora, se si spopolasse (l'ignoto, il dimenticato ci circondano). Non esiste la terra, una cosa ignota, per noi, ma in se: noi, col lavoro, ce ne possiamo appropriare, trasformandola ed anche essendone trasformati. Senza contare che “noto” e “ignoto” sono termini relativi: una cosa ci è in parte sempre nota, in parte ignota: eppure sappiamo che esiste fuori di noi.
Proprio sulla “cosa in sé” gli empiriocriticisti russi attaccano Plekhanov come dirottato da Engels verso il kartismo; eccezione, il populista Cernov (poi noto ministro). Cernov nei suoi Studi filosofici e sociologici (pubblicati nel 1907) opponeva appunto Engels a Marx, come rozzo e dogmatico. La replica puntualizza un esempio, in sé episodico, in cui Cernov (come poi farà Gramsci) confonde il senso della trasformazione pragmatica delle “cose in sé” che come tali vengono conosciute e mutate in “cose per noi” (classico es. dell'alizarina che esisteva nel carbone prima di venirvi scoperta: ed è ciò che Gramsci tende a negare). In questa parte si pongono due capisaldi gnoseologici:
- la distinzione tra materialismo ed idealismo a seconda della priorità dell'esistenza o della conoscenza;
- tre commi interdipendenti: a) le cose esistono al di fuori di noi; b) non v'è differenza di principio tra fenomeno e cosa in sé (= noto e ignoto): va respirata la trascendenza come l'“inconoscibile”; c) necessità di un discorso dialettico che esamini “in qual modo dalla non conoscenza sì passa alla conoscenza”.
Lenin adduce anche, ma senza annettergli importanza determinante, l'ammissione del borghese A. Lévy sulle Tesi in appendice al Ludivig Feuerbach che la prassi marxiana confermi un'impostazione profondamente realistica.
Lenin rintraccia, in polemica con Bazarov, in Engels i germi della confutazione dell'agnosticismo (di provenienza humiana) proprio attraverso la rivendicazione del momento attivo, pratico, verifica che permette di stabilire una concordanza tra sensazione e realtà agendo sulla realtà in base alla sensazione. Ma si preoccupa di sottolineare come Engels non possa ammettere una formula sul tipo di conferma della esperienza e, in sé insipiente ed amorfa (cui rimandano Berkeley, Hume, Diderot insieme). Il bivio materialismo-agnosticismo (soggettivismo) viene legato all'alternativa: “È o non è la realtà oggettiva fonte delle percezioni”?
Un altro “perno” su cui Lenin centra il suo riprendere Engels è nella questione della dialettica tra verità assoluta e relativa, di cui egli vede esemplificativa sopra tutte la polemica contro Duhring. (Tale concezione è attaccata come “eclettica” dall'empiriomonista Bogdanov). Scrive Engels:
“...il pensiero umano è nella stessa misura sovrano e non sovrano, e la sua capacità conoscitiva è, nella stessa misura, limitata ed illimitata, Sovrano e illimitato per la sua disposizione o la sua struttura, Anlage, la sua vocazione, la sua possibilità, la sua meta finale nella storia; non sovrano e limitato nella sua espressione singola e nella sua realtà di ogni momento.”
La verità assoluta, per Engels, dice Lenin risulta dalle verità relative (è un notevole esempio della dialettica engelsiana: in campo storico, cfr. le lettere a S. Bloch del 1890).
Ora, è alla pratica che si riallaccia il problema della verità. Lenin intreccia brani di Engels alla II glossa su Feuerbach. Un'estensione della dialettica relativo-assoluto è il rapporto causa-effetto come individuato da Engels. Così per le leggi naturali, e gran parte di quelle storiche, che si applicano attraverso la “casualità”. Così per l'obiettività del tempo e dello spazio, concepiti come forme dell'essere materiale.
La necessità, come abbiamo visto, è pertanto cieca “solo nella misura in cui non viene compresa”. La comprensione della necessità, la sua conoscenza, permettono di agire sulla natura - e questa pratica, questa praxis, che giunge al dominio della natura, è libertà.
Anche per ciò Lenin sottolinea la critica marxiana-engelsiana al cattivo materialismo. “Non si può non capire Engels, dice, a meno che non lo si voglia snaturare”. Le critiche sono al meccanismo come incapace a comprendere fenomeni chimici ed organici, come antidialettico, antistorico (ed in questo senso, nella storia, idealistico): Engels pertanto, “stroncando Duhring non poteva convenire con gli antiduhringhiani neokantiani, humiani, berkeleyani, ecc. (sarebbe interessante soffermarsi su Dietzgen).
Il problema dello spazio e del tempo, fuori dei quali non è pensabile esistenza, richiama l'altra tesi engelsiana dell'unione inscindibile tra moto e materia, forza e sostanza. E ciò in quanto “l'unica proprietà della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere al di fuori della nostra coscienza... il riconoscimento di certi elementi immutabili, dell'“essenza immutabile delle cose” e così via, non è materialismo, ma è materialismo metafisico, cioè antidialettico”: la scomparsa dei pretesi “mattoni” (Marx) costituitivi, propria della fisica del tempo come “scoperta irrefutabile”, si risolve nell'eliminazione di proprietà che in passato parevano generali, ed erano solo episodici: si è corretta un'ipostasi, varcato un confine arbitrario, avuta una nuova conferma al materialismo dialettico (salti qualitativi come prodotto di somme quantitative, es. trasformazione della materia in energia e viceversa). Così per lo spazio ed il tempo, della cui obiettività Lenin ravvisa l'indipendenza da qualsiasi riconsiderazione scientifica delle vecchie forme (assolutistico-meccanistiche), insistendo anzi sul carattere loro relativo e non assoluto”, e riconoscendo la possibilità di una loro ulteriore raffigurazione, che comunque non pregiudicherebbe la loro esistenza obiettiva come proprietà della materia (ciò per il posteriore einsteinismo).
Da Engels pertanto Lenin trae, concludendo il saggio, un generale appello alla ricerca scientifica a-dogmatica e “relativistica” pur se assoluta nel suo assoluto procedere verso l'obiettiva realtà. Il tema è ripreso con tagliente penetratività in A proposito della dialettica nei Quaderni Filosofici: ove troviamo un N.B. che ci pare riporti con efficacia le tesi ultime di “Materialismo ed Empiriocriticismo” (di sette anni anteriore): “La differenza tra soggettivismo (scetticismo e sofistica ecc.) e dialettica consiste tra l'altro in questo, che nella dialettica (oggettiva) è relativa anche la differenza tra relativo e assoluto. Per la dialettica oggettiva anche nel relativo vi è dell'assoluto. Per il soggettivismo e la sofistica il relativo è solo relativo ed esclude l'assoluto”. Ciò richiama proprio l'assoluta approssimazione attraverso nozioni relative che nondimeno poggiano sull'“assoluta” esistenza realistica del mondo fuori di noi - il che non esaurisce la natura in quanto nella natura stessa sorge per es. il concetto di “causa” o di “senso” non applicabile alla totalità fenomenica (qual'è la causa o il senso del mondo inteso come ambiente universale non solo storico nel senso della storia umana, tardiva?) - data anche un'infinitudine di fatto, poiché tempo e spazio sono proprietà della natura (infinitudine non in senso di spazio geometrico ma in quanto comprensiva di “tutto lo spazio e tutto il tempo”). Per esempio, una delineazione del rapporto tra il concetto di infinito come omnitudo spatialis ac temporalis e la concezione dello “spazio finito” costituisce un problema dialettico da non sottovalutarsi, e che si può inserire tra quei molti che Lenin (paradossalmente lo riconosce anche Sarte che delega la “dialettica della natura agli scienziati”) fin dal suo saggio dell'8, “scoprendo e riabilitando” Engels, offriva alle future generazioni, e proponeva ad ogni versione del marxismo - perché si operasse, finalmente, su nuove questioni, senza rimasticare (era suo desiderio) l'abusatissimo “chicco d'orzo”.
Non si può certamente dire che queste indicazioni siano state seguite, né dai vari Lissenko, né dalle scuole, grandi e piccole, fiorite sulla base dell'eclettica contaminazione con tendenze più o meno idealistiche. Ciò è servito anche a gettare il discredito sulla concezione marxista delle scienze, del loro ruolo e della loro funzione, grazie alle assurdità di una cosidetta “scienza socialista” che ubbidiva al dettato di un capitalismo statale, per molti lati anche arretrato, come quello russo-staliniano.
Panorama sintetico del momento odierno
L'esigenza prospettata da Lenin resta da colmare. Ciò, però, non può in alcun modo farsi indulgendo al mito positivistico o neopositivistico del progresso scientifico che di per sé risolve, sul suo terreno, i problemi del conoscere in generale, superando le superstizioni e gli ideologismi astratti. Tutta la “nuova fisica”, da Planck al prete Lamaitre, rappresenta invece una pericolosa riapparizione fideismo empiriocriticistico, a livello superiore. L'uso reazionario - teorico o pratico - del dato scientifico, così come dello strumento tecnico, è connaturato all'imperialismo. Certo, è necessario, per la borghesia, un aumento dei mezzi di produzione: ma le è necessario parimenti l'oppio ideologico-religioso (dalla radiotelevisione al Papa trasmesso via satellite) e lo sviluppo degli stessi mezzi fisici di repressione (dalla bomba atomica al pungolo elettrico). In fin dei conti, resta la contraddizione fondamentale tra produzione sociale ed appropriazione individuale (tramite la proprietà privata o statale). Naturale pertanto che la mistificazione sia sempre accresciuta, che si tenti di gonfiare al massimo l'apparato propagandistico “di massa”.
E la reazione antiscientifica non manca di approfittare di questo triste destino della scienza stessa, che, già individuata dall'evoluzionismo positivista come la redentrice dell'umanità sofferente, é concretamente ridotta a non far che poco o nulla per la stragrande maggioranza dei problemi vitali della nostra specie, ed in compenso ad esaurirsi in intraprese di distruzione, dalla bruta organizzazione del macello atomico con i missili di vario tipo, alla tartuferia delle conquiste astronautiche, orientate, si sa, in funzione militare, e quindi oggetto di una competizione che non ha nulla di scientifico. Davanti a ciò, mentre i rousseauiani in ritardo piangono l'età dell'oro di un'Arcadia che conosceva solo le asce di pietra scheggiata, i democratici alla Basso stupiti si chiedono se questa non sia “la rivincita postuma del nazismo”.
Purtroppo ancora, bisogna dire che ciò non ci ritrova impreparati. Nel clima arroventato della fase agonica dell'imperialismo capitalista, esteso a livello mondiale grazie anche alla controrivoluzione, la borghesia si scontra con le forze da se stessa create. Ma finché lo scontro non si ha tra borghesia e proletariato, la contraddizione rimane insoluta, non essendoci ancora l'opposizione fondamentale in atto. Dal disarmo del proletariato mondiale, dall'allontanamento della prospettiva rivoluzionaria, discende il fatto che il nodo gordiano delle contraddizioni sovrastrutturali borghesi resti saldamente intricato: proprio perché solo la rivoluzione potrà sciogliere la contraddizione a livello strutturale, con l'eliminazione della borghesia medesima.
Ma, proprio per la formazione di un'avanguardia imbevuta della dottrina rivoluzionaria, che l'attui praticamente nella rivoluzione, si rende necessaria una giusta impostazione di questi problemi. Il marxismo può solo affacciare, in tema scientifico, un'esigenza che non si risolve teoreticamente, ma “cambiando il mondo”. Per questo cambiamento è però necessaria la coscienza di avanguardia della sua stessa indispensabilità.
Eleonora Fiorani e Fernando VisentinPrometeo
Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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Storia
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- 1918: Abstentionist Communist Fraction of the PSI
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- 1980s
- 1979-89: Soviet war in Afghanistan
- 1980-88: Iran-Iraq War
- 1982: First Lebanon War
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