Il problema della natura nel materialismo dialettico leniniano - 2

La continuità dottrinaria tra Marx, Engels, Lenin e il significato della sua contestazione da parte dei teorici della sinistra "ufficiale"

Il materialismo dialettico contro l'idealismo in ogni sua variante

In questa direzione si va precisando una tematica essenziale che ricorre per tutto il libro tanto nelle polemiche dirette contro Mach ed Avenarius che in quelle indirette che colpiscono l'empiriocriticismo nelle sue varianti russe. L'accento sulla prassi, presente con notevole evidenza in questi temi, sarà in seguito precisato nella sia pur soltanto indicativa definizione del “riflesso attivo” e ben inteso “relativo” anche se “assolutamente” incamminato all'apprendimento gnoseo-pratico della realtà esterna.

Però la prassi leniniana, è ovvio notare, al di là delle analogie meramente esteriori ed inessenziali tra il “realismo ingenuo” ed il “buon senso” del “pragmatismo logico” si distacca recisamente sia dal pragmatismo (strumentalistico) che dalla “filosofia della prassi” di ispirazione gramsciana.

Il materialismo dialettico mette consapevolmente alla base della sua teoria della conoscenza la convinzione “ingenua” dell'umanità dell'esistenza delle cose indipendentemente dal soggetto e delle veridicità delle nostre immagini, ma non si ferma a questa asserzione. Dice Engels:

“il fatto che il nostro pensiero soggettivo e il mondo oggettivo siano sottoposti alle medesime leggi e perciò anche non si possano in definitiva contraddire nei loro risultati, ma debbano concordare, domina in modo assoluto il pensiero teorico nel suo insieme. È la sua premessa inconsapevole e incondizionata. Il materialismo del XVIII secolo in conseguenza del suo carattere essenzialmente metafisico, ha studialo questa premessa solo nel suo contenuto. Esso si è limitato a dimostrare che il contenuto di ogni pensiero e di ogni sapere doveva avere origine dall'esperienza sensibile e ha ristabilito il principio “nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensu”. Solo la moderna filosofia, idealistica ma al tempo stesso dialettica, e in modo specifico Hegel ha studiato questa premessa anche nella sua forma.” (Dialettica della natura, pag. 260)

Il materialismo dialettico, “negazione della negazione”, riprende la concezione dialettica su basi naturalistiche e non si presenta più come filosofia ma come “semplice concezione del mondo che non ha da trovare la sua prova e la sua conferma in una scienza della scienza per sé stante, ma nelle scienze reali” (Antidühring, pag. 152). Sono le stesse scienze naturali infatti che confermano l'esistenza della natura prima dell'uomo e quindi di una materia priva di sensibilità, di cui la materia organica è solo un prodotto ulteriore frutto di un lunghissimo sviluppo, quando sostengono che “la terra esisteva in condizioni tali che ne l'uomo ne in generale qualsiasi altro essere vivente esisteva o poteva esistere su di essa”.

Lenin confronta la posizione del materialismo dialettico con quella di Avenarius, Petzoldt e Willy, negando sia la tesi dell'uomo come termine centrale potenziale e attivo della coordinazione, cioè del legame indissolubile tra l'Io e l'ambiente, sia la tesi dell'aggiunta mentale del nostro intelletto che cerca di conoscere l'oggetto. A tale proposito afferma:

“se noi “aggiungiamo mentalmente” noi stessi, la nostra presenza sarà immaginaria, mentre l'esistenza della terra prima dell'uomo è reale. Infatti l'uomo non ha potuto, per esempio, osservare come spettatore la terra incandescente, e “pensare” la sua presenza sulla terra incandescente è oscurantismo.” (Materialismo ed Empiriocriticismo, pag. 67)

E aggiunge:

“L'importante, dal punto di vista gnoseologico, non è chiederci se possiamo in generale concepire un tal posto, ma se abbiamo il diritto di pensarlo esistente o esistito indipendentemente da un pensiero individuale qualunque.” (ibidem, pag. 68)

Ciò pone immediatamente il problema della conoscenza e quindi del rapporto tra essere e pensiero, tra “spirito” e natura. Porsi il problema della relazione tra le nostre idee sul mondo e il mondo reale stesso significa prima di tutto esprimersi sulla conoscibilità del mondo stesso. Engels sul problema della “cosa in sé” non solo riprende gli argomenti di Hume, Hegel, e Feuerbach contro la concezione kantiana della dualità tra noumeno e fenomeno, ma la appello alla pratica, all'esperimento, all'industria, che permettono di dimostrare veridica la nostra conoscenza di un dato fenomeno col crearlo noi stessi e col farlo servire ai nostri fini.

“Le sostanze chimiche si formano negli organismi animali e vegetali restarono “cosa in sé” fino a che la chimica organica non si mise a prepararle l'una dopo l'altra; quando ciò avvenne la cosa in sé si trasformò in cosa per noi...” (E. Feuerbach, in Lenin, pag. 90)

Viene così negata l'inconoscibilità della “cosa in sé” e Lenin conclude:

“1) Le cose esistono indipendentemente dalla nostra coscienza, indipendentemente dalla nostra sensazione, fuori di noi... 2) Non vi è né vi può assolutamente essere differenza di principio tra il fenomeno e la cosa in sé. La differenza è semplicemente tra ciò che è noto e ciò che non è ancora noto... 3) Nella teoria della conoscenza, come in tutti i campi della scienza, occorre ragionare dialetticamente, cioè non presupporre che la nostra conoscenza sia bell'e fatta e invariabile, ma esaminare in qual modo dall'ignoranza si passa alla conoscenza, in qual modo una conoscenza incompleta, imprecisata diventa più completa e più precisa.” (ibidem, pag. 91-2)

Il materialismo dialettico sottolinea inoltre il carattere terreno e quindi pratico del nostro pensiero. La sua verità oggettiva è una questione pratica e non teoretica: verità, realtà, potere, e cioè le nostre percezioni e le nostre rappresentazioni sono immagini delle cose, la cui verifica (discriminazione tra vere e false) avviene su un piano pratico, il che significa la risoluzione dei nostri bisogni. Le percezioni sensibili confermate dalla pratica non sono soggettive (arbitrarie, illusorie), ma oggettive (esatte e reali). Bisogna però tener presente che le rappresentazioni sensibili non sono le cose stesse, ma solo le loro immagini e cioè si accordano, corrispondono ad esse.

“Gli oggetti delle nostre rappresentazioni si differenziano dalle nostre rappresentazioni, la cosa in sé si differenzia dalla cosa per noi, perché quest'ultima è solo una parte o un aspetto della prima, così come l'uomo stesso è solo una piccola parte della natura riflessa nelle sue rappresentazioni.” (ibidem, pag. 107)

Il materialismo dialettico quindi pone decisamente l'esistenza di ciò che è riflesso indipendentemente da chi riflette, ma deve anche vedere se le rappresentazioni possono esprimere la verità integralmente.

Il problema investe la questione delle fonti della nostra conoscenza; questione posta e dibattuta fin dalle origini della filosofia, ed ineludibile. Il materialismo ritiene che

“le nostre sensazioni sono l'immagine dell'unica ed ultima verità obiettiva, ultima non perché sia conosciuta fino in fondo, ma perché non c'è e non può esserci altra realtà al di fuori di quella.” (ibidem, pag. 177)

La questione della verità viene quindi spostata; non si tratta di discutere l'esistenza della realtà obiettiva, a cui corrisponde il concetto filosofico di materia, ma di studiare le forme del pensiero storicamente determinatesi e le progressive acquisizioni della conoscenza umana sulla natura delle cose e quindi di porre il problema della verità assoluta e relativa. Engels, trattando la questione afferma:

“la sovranità del pensiero si realizza in una serie di uomini che pensano in modo assolutamente privo di sovranità; la conoscenza che ha incondizionata pretesa di verità, si realizza in una serie di relativi errori, né l'uno né l'altra possono realizzarsi altrimenti che mediante una durata infinita della vita dell'umanità.” (Antidühring, pag. 98-9)

La verità assoluta risulta quindi da quella relativa,

“verità ed errore, come tutte le determinazioni del pensiero che si muovono su un piano di opposizioni antitetiche, hanno validità assoluta solo in un campo estremamente limitato... Non appena applichiamo l'antitesi verità-errore al di fuori di quel ristretto campo che abbiamo indicato sopra, essa diventa relativa e conseguentemente inutilizzabile per l'esatta maniera di esprimersi della scienza.” (Engels in Lenin. pag. 122)

Il pensiero umano quindi ci dà la verità assoluta come “somma di verità relativa”. Il che implica il condizionamento storico di ogni ideologia; ma le stesse ideologie presentano rispetto al problema della verità notevoli differenze: l'ideologia religiosa, l'ideologia filosofica, è già questa in modo diverso dalla prima, esprimono su un piano sovrastrutturale una concreta realtà strutturale e si giustificano sul piano storico. Viceversa “ad ogni ideologia scientifica corrisponde una verità obiettiva, una natura assoluta”, e cioè ogni ideologia scientifica conosce ed esprime, anche se parzialmente, la natura obiettiva delle cose. A proposito delle nuove teorie scientifiche, Lenin dirà che la meccanica rifletta le leggi dei movimenti lenti della materia in movimento, mentre la teoria elettromagnetica quella dei movimenti rapidi. Naturalmente questo criterio di distinzione si presenta con una certa indeterminatezza con un valore indicativo: ne vedremo in seguito la giustificazione metodologica del materialismo dialettico, in quanto si tratta di porre il problema della natura dello stesso del suo rapporto con le scienze particolari.

Ci limiteremo per ora a rilevare la presenza alla base stessa del materialismo dialettico del relativismo, però in stretta connessione con la verità assoluta; pertanto esso si presenta come “relatività storica dei limiti dell'approssimazione delle nostre conoscenze a questa verità”. In tale teoria della conoscenza in criterio della pratica giuoca un ruolo determinante: è sempre sul suo terreno che si risolvono le dispute ideologiche, e ciò vale tanto sul terreno storico-politico che in quello più strettamente gnoseologico. La separazione di questo aspetto da tutto il contesto della teoria ha comportato varie interpretazioni e agganci a teorie del tutto estranee al materialismo dialettico (per esempio con il pragmatismo e lo strumentalismo con il suo successo operativo “will to believe” - volontà di credere).

Afferma Lenin:

“la conoscenza può essere biologicamente utile alla pratica umana, alla conservazione della vita, alla conservazione della specie, solo in quanto riflette una verità obiettiva, indipendente dall'uomo. Per il materialista, il “successo” della pratica umana dimostra la corrispondenza delle nostre idee con la natura obiettiva delle cose che noi percepiamo. Per il solipsista, il successo” è tutto ciò che mi occorre nella pratica la quale può essere considerata indipendentemente dalla teoria della conoscenza.” (Ibidem, pagg. 127-8)

Riprendendo alla luce di questi concetti il problema della materia, Lenin precisa che l'assoluta opposizione tra materia e coscienza è valida come tale solo relativamente a quella che egli non esita a definire la questione gnoseologica fondamentale: il primato storico della materia o della coscienza. Oltre a questa impostazione fondamentale, una opposizione assoluta sarebbe antidialettico meccanicismo. I problemi della “coscienza” e della “sensazione” sono ripresentati anche a proposito del concetto empiriocriticistico di “esperienza”. Su questa importantissima branca della polemica le oscurità e le contraddizioni di fondo tendono ad infittirsi, riproducendo con notevole fedeltà il contrasto tra il materialismo e spontaneo” della ricerca scientifica e l'ipostasi ideologica sovrappostavi. Tanto Mach che Avenarius alternarono nei loro scritti in proposito le affermazioni di tipo idealistico più o meno esplicite, alle intuizioni, incertezze e perplessità suggerite da un materialismo sia pur da laboratorio, e dalle sue inevitabili frizioni. Avenarius, come viene notato non solo da Lenin ma anche per esempio da Riehl, si muove in un circolo vizioso presentando tautologicamente la

“concezione analitica dell'esperienza pura... precisamente come asserzione alla quale non è mescolato nulla che non sia a sua volta esperienza e che, per conseguenza, rappresenta di per sé niente altro che esperienza.”

D'altra parte egli stesso in un altro luogo parla dell'esperienza come di un rapporto tra gli individui e l'ambiente: se questo non è assimilato alla coscienza, è aperto il cammino al materialismo. Ma Lenin ricorda, con una citazione fichtiana di sapore paradossale, che le dichiarazioni sul valore totale dell'esperienza possono benissimo caratterizzare l'idealismo più tradizionale, ed in questo senso, al di là dell'affermazione della “possibilità di eliminare, per mezzo della paroletta “esperienza” la “invecchiata” distinzione tra materialismo ed idealismo”, possono tendere di fatto a sostituire la parola coscienza con un nuovo termine meno, anche filosoficamente, usurato. Ciò vale naturalmente anche per Mach, che però occasionalmente pone l'esperienza con un substrato materialistico: donde un ecclettismo, gnoselogico, i cui riflessi Lenin ravvisa nello stesso scompiglio degli ideologi russi “ricreatori” dell'empiriocriticismo.

Per Lenin anche un problema come quello della causalità e necessità della natura da una parte non può essere ridotto a quella versione deterministica-positivistica alla Dühring, né d'altra parte può essere svisata o verso forme contingentistiche, o verso un agnosticismo, a sfondo in definitiva idealistico-soggettivo. C'è un richiamo a Feuerbach, in quanto questo pensatore distingue ciò che è della natura da ciò che è dell'uomo, negando cioè nel suo materialismo, pur limitato, l'identità di essere e pensiero.

“La natura può essere compresa soltanto per mezzo della natura stessa... la necessità della natura non è una necessità umana o logica, metafisica o matematica, ossia astratta... soltanto la natura è l'ente al quale non si può né si deve applicare nessuna misura umana, sebbene noi compariamo e designamo i suoi fenomeni per renderla a noi comprensibile, ed applichiamo ad essa espressioni e concetti umani, come, ad esempio l'ordine, il fine, la legge, e siamo costretti a ciò appunto dalla natura del nostro linguaggio... non si dice che nella natura non c'è nulla di reale che corrisponde alle parole e alle idee di ordine, di finalità, di legge;... si nega soltanto l'identità del pensiero e dell'essere, si nega che l'ordine, etc. esista nella natura esattamente come nella testa o nella sensibilità dell'uomo. Ordine, finalità, legge, non sono altro che parole con le quali l'uomo traduce nel suo linguaggio, per comprendere le opere della natura.” (Citato da Lenin “Materialismo ed Empiriocriticismo”, pagg. 141-2)

Particolarmente significativo è questo riferimento, in quanto lo stesso Feuerbach attribuisce, dice Lenin, a buon diritto, “la negazione di tale obiettività ad un atteggiamento fideistico”. Lenin del resto, al suo tempo, poteva avere a disposizione esempi indubbiamente meno significativi di quanto non ne abbiamo noi dell'apparentamento, innestato sul tronco della fisica, di agnosticismo e fideismo, anche come religione positiva. Più complesso ed organico e più direttamente legato ai nessi generali del materialismo dialettico il riferimento ad Engels. Per Engels le leggi naturali, la causalità, la necessità sono realtà obiettive in quanto rapporti fra fenomeni obiettivi, ma Engels sottolinea in modo particolare la concezione dialettica di causa ed effetto:

“causa ed effetto sono rappresentazioni che hanno validità come tali solo se le applichiamo al caso singolo, ma che nella misura in cui consideriamo questo fatto singolo nella sua concezione generale con la totalità del mondo, queste rappresentazioni si confondo e si dissolvono nella visione dell'universale azione reciproca, in cui causa ed effetti si scambiano continuamente la loro posizione, ciò che ora o qui è effetto là o poi diventa causa e viceversa. Per conseguenza il concetto umano della causa e dell'effetto semplifica sempre alquanto il rapporto obiettivo dei fenomeni della natura, polche. la riflette soltanto in modo approssimativo, isolando artificialmente questo o quell'aspetto di un processo universale unico”. (ibidem, pag.143)

Ora ciò introduce proprio concetti e criteri direttivi già tratteggiati da Marx nell'introduzione alla “Critica dell'economia politica”, specie là dove afferma che mentre per l'idealista il semplice e non contraddittorio è un punto di partenza, per il materialista è solo un'astrazione ragionata che permette di ricostruire dialetticamente la totalità concreta dalla molteplicità e multilateralità indifferenziata del primo apprendimento, da verificarsi in questa pratica ricostruzione: per di più questo è per il materialista il processo del pensiero: dal semplice al complesso; mentre l'evoluzione reale va dal complesso, nel senso dell'indistinto e caotico, fino al pensiero umano che vi opera le sue astrazioni e di fatto insomma il complesso precede il semplice, il dialettico ha luogo realmente, mentre le astrazioni che non si riconducono ad esso rimangono sterili ipostasi. L'esistenza precede la coscienza. La dialettica quindi tra il relativo e l'assoluto trova un suo parallelo in quella dell'astratto e del concreto. Quindi anche le leggi, risolte in formule matematiche o in enunciazioni aforistiche, rappresentano il riflesso semplificato, relativo, parziale, e quindi anche astratto e come tale caduco dell'obbiettiva concreta totalità materiale (natura). Ma, come abbiamo già detto, la relatività delle leggi scientifiche e in generale della nostra conoscenza è inserita nel movimento assoluto della pratica acquisizione e quindi nozione dell'ambiente che esiste al di fuori di noi, e non può significare minimamente per Lenin una concessione all'operativismo ante litteram del machismo (concetto dell'economia del pensiero) o delle teorizzazioni alla Poincaré, posizioni queste che applicate fino in fondo conducono al solipsismo. Un analogo discorso può essere fatto per lo spazio ed il tempo, che il materialismo considera come oggettive forme del movimento della materia. L'inscindibilità del tempo e dello spazio dalla materia è tesi tra le più importanti dell'Antidühring. Lenin scrive:

“Le rappresentazioni umane dello spazio e del tempo sono relative, ma la somma di queste rappresentazioni relative forma la verità assoluta, queste rappresentazioni relative procedono nel loro sviluppo, in direzione della verità assoluta e si avvicinano ad essa. La variabilità delle rappresentazioni umane dello' spazio e del tempo non confuta la realtà obbiettiva dell'uno e dell'altro, più di quanto il variare delle nostre conoscenze scientifiche sulla struttura e sulla forma del movimento della materia non confuta la realtà obiettiva del mondo esterno... I nostri concetti di tempo e di spazio riflettono nel loro sviluppo il tempo e lo spazio obiettivamente reali e si avvicinano anche qui, come in generale, alla verità obiettiva.” (Materialismo ed Empiriocriticismo, pagg. 162-3)

L'importanza per Lenin è di non confondere il concetto di spazio e di tempo come forme obiettive e reali dell'essere con una data rappresentazione scientifica esprimibile sempre in via ipotetica, giungendo sulla scia kantiana, come fa Mach, a negare loro un valore extrasoggettivo lasciando per di più aperta una dimensione superiore ove si possano inserire varie gradazioni di entità metafisiche.

Lenin si preoccupa similmente di chiarire la mediazione dialettica tra quelle unilaterali e cristallizzate posizioni opposte di determinismo e di contingentismo che proprio negli anni in questione sterilmente si fronteggiavano e rappresentavano quasi due vocazioni degli ambienti culturali europei, con implicazioni anche lontanissime e ripercussioni in quasi tutti i rami dello scibile.

Lenin si richiama ancora ad Engels per chiarire quale sia anche il significato marxistico del concetto hegeliano che “la libertà è il riconoscimento della necessità” e cioè solo la conoscenza delle leggi obiettive dell'ambiente che ci condiziona ci permette

“di farle agire secondo un piano per un fine determinato, cioè di dominarle, di intervenire sulla natura qual è, al di la di ogni velleitarismo utopistico che non tenga conto delle obiettive strutture che si offrono alla nostra azione. L'uomo pertanto può a sua volta condizionare l'ambiente da cui è condizionato, ma non illimitatamente, bensì coerentemente alle possibilità date in una determinata situazione, allo spazio d'azione obiettivo, ove meno preme la determinazione delle circostanze: la necessità della natura è primordiale e la volontà e la coscienza dell'uomo sono secondarie.”

Quindi la necessità cieca viene ridimensionata dialetticamente nella “necessità in sé”, cioè non conosciuta dall'uomo - ma non inconoscibile (ignoramus non ignorabimus), che l'attività gnoseo-pratica tende a tradurre in necessità per noi e quindi in prospettiva in elemento basilare di libertà. Anche qui, dice Lenin,

“Engels applica in modo evidente... il metodo del “salto vitale” in filosofia, cioè la un salto dalla teoria alla pratica.” (Materialismo ed Empiriocriticismo, pag. 176)

Lenin, venendo a affrontare con maggior precisione la discussione sulle questioni teoriche suscitate dai nuovi risultati delle scienze, precisa ed integra alcune delle tesi fin qui esposte. A tal proposito Lenin riporta un articolo di J. Diner-Dénes, in Die Neue Zeit, che vede nelle nuove scoperte la conferma dell'engelsiana tesi che

“non vi sono opposizioni inconciliabili, non vi sono linee di separazione e differenze rigidamente fissate e (siamo noi a introdurre l'opposizione e la differenza assoluta), e giunge all'ipotesi della riduzione di tutte le forze della natura ad una forza unica e della parallela riduzione di tutte le sostanze della natura ad un'unica sostanza (atomo come condensazione dell'etere).”

Ma ciò che più gli importa è di sottolineare l'atteggiamento del materialismo dialettico verso le nuove teorie scientifiche. Engels aveva dichiarato:

“Ad ogni scoperta che fa epoca nel campo delle scienze naturali esso deve cambiare la sua forma.” (Citato da “Materialismo ed Empiriocriticismo”, pag. 234)

E Lenin vi aggiunge:

“Per conseguenza, la revisione della “forma” del materialismo di Engels, la revisione delle sue tesi di filosofia naturale, non soltanto non ha nulla di revisionista”, nel senso che si è convenuto di dare a questa parola, ma è anzi un'esigenza necessaria del marxismo.” (Materialismo ed Empiriocriticismo, pag. 234)

La critica della “forma” non deve però diventare critica dell'essenza stessa del materialismo. In questa direzione Lenin analizza le deduzioni gnoseologiche che sono state tratte dalle nuove tesi, prese in esame dagli stessi fisici e puntualizza l'essenza stessa delle divergenze.

Poincarè dedica ne “Il valore della scienza” tutto un capitolo alla crisi delle teorie fisiche: scomparsa della massa, crollo delle basi della meccanica. Le conclusioni che ne trae sono di tipo idealistico, in quanto ritiene coinvolta nella crisi dei principi del meccanicismo la teoria del loro rispecchiamento della realtà. Ma più che a Poincaré Lenin si interessa all'analisi di Abel Rey, che pone più direttamente la questione filosofica. Per quanto Rey ritenga passeggera questa crisi, è però importante l'indicazione che dà delle sue inevitabili conseguenze qualora fosse invece congenita e necessaria: “Ne risulterebbe un completo rivolgimento nella logica e nella storia delle idee”, la fisica perderebbe “ogni valore educativo” e la scienza, divenuta simbolica avrebbe solo il carattere di una tecnica utilitaria: da ciò un ritorno al misticismo e al mistero, che “lo spirito” positivo riteneva definitivamente sconfitti.

La crisi della scienza è stata sfruttata e trasformata in fideismo ed agnosticismo; ci si è serviti della crisi del materialismo metafisico per negare ogni concezione materialistica e per fare delle teorie scientifiche solo “simboli, segni, valevoli nella pratica”; e cioè precisa Lenin

“la teoria materialistica della conoscenza, ammessa istintivamente dalla fisica, è stata sostituita da una teoria agnostica e idealistica della conoscenza e il fideismo ne ha approfittato a dispetto degli idealisti e degli agnostici” (Materialismo ed Empiriocriticismo, pag. 239).

L'affermazione infatti, da parte dei fisici della scomparsa della materia “non ha nessun rapporto con la distinzione gnoseologica tra materialismo e idealismo”, che riguarda l'origine della nostra conoscenza e in generale il rapporto essere e pensiero.

Invece, “quando i fisici dicono che la materia scompare”, vogliono dire che finora le scienze naturali riducevano tutte le ricerche sul mondo fisico a tre nozioni fondamentali: la materia, l'etere, l'elettricità.

“Oggi restano soltanto le ultime due nozioni perché si può ridurre la materia all'elettricità e si può rappresentare l'atomo come qualcosa di simile ad un sistema solare infinitamente piccolo, nel quale gli elettroni negativi gravitano ad una velocità determinata (straordinariamente grande, come abbiamo visto) attorno a un elettrone positivo.” (Materialismo ed Empiriocriticismo, pag. 242)

“E cioè il materialismo dialettico afferma il concetto filosofico di materia, ma si dissocia da ogni definizione e catalogazione propria delle scienze naturali, che nel corso del loro sviluppo hanno preteso di individuare “una volta per tutte” gli elementi costitutivi della materia, in particolare conferendole una configurazione pretesa esauriente di tipo atomistico meccanicistico, crollata la quale sotto la critica sperimentale, si ritiene lecito parlare della scomparsa della materia anche in senso filosofico, laddove non scompariva che una ipotesi di alcuni suoi modelli rivelatisi inadeguati. Quindi la “scomparsa della materia” significa solo che scompare il limite al quale finora si arrestava la nostra conoscenza della materia, significa che la nostra conoscenza si approfondisce; scompaiono certe proprietà della materia che prima ci sembravano assolute, immutabili, primordiali, (impenetrabilità, inerzia, massa, ecc.) e che ora si dimostrano relative, inerenti soltanto a certi strati della materia, il cui riconoscimento è alla base del materialismo filosofico, è la proprietà di essere realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza”. (Materialismo ed Empiriocriticismo, pag. 243)

“Ed è proprio il materialismo dialettico che insiste sull'inesistenza, in natura, di limiti assoluti, sul passaggio della materia in movimento da uno stato a un altro che, apparentemente, dal nostro punto di vista, è incompatibile col primo, ecc.” (Ibidem, pag. 244)

Senonché nella lotta contro il materialismo metafisico e la meccanicità unilaterale è stata coinvolta l'obiettività dell'esistenza del mondo fisico e l'affermazione del carattere relativo ed approssimativo delle nostre conoscenze ha coinvolto l'esistenza dell'oggetto indipendentemente dalla nostra conoscenza. È stato cioè coinvolta l'essenza stessa del materialismo dialettico: il che per Lenin comporta un'alternativa precisa: “o materialismo o sostituzione universale dello psichico a tutta la natura fisica” (Ibidem, pag. 268).

Il materialismo dialettico, che insiste sul carattere relativo della conoscenza e che quindi considera, nel caso particolare, l'elettrone non meno inesauribile dell'atomo, non rinuncia al concetto filosofico di materia e afferma l'esistenza infinita della natura. Negare questo significa concepire il movimento senza materia e quindi anche staccare il pensiero dalla materia:

“eliminare mentalmente dalla “natura” la materia in quanto “soggetto”, significa, di fatto, riconoscere implicitamente in filosofia il pensiero come “soggetto” (vale a dire come qualcosa di primordiale, come punto di partenza indipendentemente dalla materia).” (Materialismo ed Empiriocriticismo pag. 232)

Anche se adoperiamo la parola energia, la questione si ripropone sempre nello stesso modo e cioè si tratta sempre di stabilire se l'energia è materiale e cioè se la sua trasformazione è un processo obiettivo, indipendente dalla coscienza dell'uomo.

È infine opportuno sottolineare l'importanza fondamentale che ha - secondo Lenin - per il materialismo dialettico l'alleanza con la scienza, al punto che la mancanza di questa alleanza significherebbe il fallimento del materialismo dialettico stesso;

“pertanto seguire i problemi sollevati dalla recente rivoluzione nelle scienze naturali e ottenere la collaborazione dei naturalisti ad una rivista filosofica è un compito senza il cui adempimento il materialismo militante non può essere in nessun caso né militante né materialismo.” (“Marx, Engels, marxismo”, articolo del 12 marzo 1922, pag. 448)

Esigenza che corrisponde a quella engelsiana: “la natura è il banco di prova della dialettica”. Generalizzando e sintetizzando nel 1914 (articolo “K. Marx”) quanto delineato, per quel che riguarda la gnoseologia, nel libro del 1908, Lenin dice con Marx: “la dialettica è la scienza delle leggi generali del movimento, così del mondo esterno come del pensiero umano”, e cioè la dialettica è il modo logico della nostra intelligenza di esprimere il modo di esistere reale, generale della natura e dell'uomo stesso, che della natura è solo un termine - il pensiero umano si esprime dialetticamente perché dialettica è la natura e la storia, che è a sua volta solo una parte della natura. La dialettica quindi è anch'essa un “riflesso” - essa è a la più completa, la più profonda e la più ricca dottrina dell'evoluzione.

“E la dialettica, nella concezione di Marx, e anche di quella di Hegel, contiene in sé quella che oggi chiamiamo teoria della conoscenza o gnoseologia, la quale pure deve considerare il proprio oggetto storicamente, studiando e generalizzando l'origine e lo sviluppo della conoscenza, il passaggio dalla non-conoscenza alla conoscenza. Ai giorni nostri l'idea di sviluppo, di evoluzione, è entrata quasi generalmente nella coscienza sociale, ma non per tramite della filosofia di Hegel, bensì per altre vie. Tuttavia, quest'idea, come l'hanno formulata Marx ed Engels, basandosi su Hegel, è molto più completa e ricca di contenuto dell'idea corrente di evoluzione. Uno sviluppo che sembra ripercorrere le fasi già percorse ma le ripercorre in modo diverso, a un livello più elevato (negazione della negazione); uno sviluppo, per così dire, non rettilineo, ma a spirale, uno sviluppo a salti, catastrofico, rivoluzionario, interruzione della gradualità; la trasformazione della quantità in qualità; gli impulsi interni dello sviluppo generati dalle contraddizioni, dagli urti tra le diverse forze e tendenze operanti sopra un dato corpo oppure entro certi limiti di un dato fenomeno o nell'interno di una data società; l'interdipendenza e il legame più stretto e indissolubile fra tutti i lati di un dato fenomeno (e la storia mette in luce lati sempre nuovi), legame che genera un processo di movimento unico, universale, sottoposto a leggi, tali sono alcune caratteristiche della dialettica, dottrina dello sviluppo che è più ricca di contenuto delle dottrine correnti.” (Marx, Engels, marxismo, pagg. 16-18 passim.)

Il metodo dialettico, come fa notare Engels nei vari scritti poi denominati Dialettica della natura e nell'Antidühring, permette di superare, verso una ricostruzione della “totalità organica-concreta”, la necessaria limitatezza delle scienze naturali, che considera singoli campi e particolari fenomeni della realtà complessa da noi esperita, come “astrazioni ragionate”, il cui uso per la conoscenza della realtà nei suoi nessi reali deve implicarne anche il superamento, in una sintesi dei risultati scientifici, storica-relativa ed anch'essa auto-superantesi dialetticamente, nell'assoluto tendere, mediante la verifica pratica, alla trasformazione della natura in sé in natura per noi: ciò implica però condizioni storiche precise, cioè quelle della disalienazione. Marx ed Engels anche in ciò respingono assolutamente l'evoluzionismo ideologistico del progressismo positivista, che vedeva tali condizioni create dalla scienza stessa, e non viceversa le scienze nel loro sviluppo derivate e condizionate dallo sviluppo storico-sociale dei mezzi e dei rapporti di produzione. La dialettica, formulata per la prima volta in modo sistematico da Hegel, è “mutata di segno” dal capovolgimento marxiano, per quanto ovviamente frutto di tutto uno sviluppo pratico-conoscitivo, in ultima analisi, dello sviluppo dei mezzi e rapporti di produzione nei secoli, nasce, nel suo significato moderno, come portato della rivoluzione borghese, inclusa la sua forma di rivoluzione industriale, e dello straordinario progresso tecnico-scientifico che accompagnò la crisi definitiva dell'assolutismo feudale, il suo abbattimento e la costituzione di un nuovo sistema economico come egemone. Intuizioni ed illuminazioni anticipatrici ricorrono nella storia del pensiero umano fin dall'antichità (basti pensare ad Eraclito), e come tali sono riprese e sottolineate tanto da Marx ed Engels che da Lenin (specialmente nei “Quaderni Filosofici”, cfr. recensione del saggio lassalliano su Eraclito), ma incomparabilmente più precisa e salda è la dialettica connessa e coeva al concetto di evoluzione trovato dalla scienza (Darwin) e insieme riflesso dei nuovi movimenti storico-sociali, che sono insieme prodotto e causa delle contraddizioni che pongono in crisi il sistema vigente e le sovrastrutture istituzionali-ideologiche relative. Come si è già accennato, per i suoi fondatori, il materialismo dialettico non è una “filosofia”, cioè ideologia, e nemmeno una “scienza della scienza” (già negata esplicitamente nello “Antidühring”), ma rappresenta l'espressione dominale di una rivoluzione strutturale o sovrastrutturale maturata dallo stesso sviluppo e dalle stesse contraddizioni storiche, che questa “teoria rivoluzionaria” guiderà a buon fine. Pertanto il materialismo dialettico non interviene a fissare le metodologie delle scienze particolari, in quanto tecnica operativa, ma può giudicare se vi sia o no discordanza tra i risultati scientifici ed il presupposto stesso dell'operazione gnoseopratica della scienza, in quanto tale presupposto è il fondamento immediato di ogni attività individuale e collettiva (riconoscimento della realtà esterna). Il materialismo moderno è essenzialmente dialettico e non ha più bisogno di una filosofia che sia al di sopra delle altre scienze.

“Dal momento in cui si esige da ciascuna scienza particolare che essa si renda conto della sua posizione nel nesso complessivo delle cose, ogni scienza particolare che abbia per oggetto il nesso complessivo diventa superflua. Ciò che quindi resta ancora in piedi autonomamente di tutta quanta la filosofia che si è avuta finora, è la dottrina del pensiero e delle sue leggi, cioè la logica Formale e la dialettica. Tutto il resto si risolve nelle scienze positive della natura e della storia.” (Engels, Antidüring, pag. 32)

Il materialismo dialettico presenta quindi un carattere “indicativo” di fronte alla scienza: né potrebbe essere diversa la sua posizione, se si considera unitariamente la sua problematica, alla cui base sta il moto rivoluzionario del proletariato, indispensabile alla rivoluzione strutturale-sovrastrutturale, senza la quale le ideologie non possono essere spazzate via. Un comportamento diverso del materialismo dialettico, che lega la sovrastruttura alla struttura, sarebbe in contraddizione con i suoi stessi fondamenti. Purtuttavia, non si deve sottovalutare l'importanza della scienza e della teoria scientifica per il materialismo: l'alleanza con la scienza è essenziale, ma solo il proletariato può porre le basi per attuarla, togliendo proprio quelle strutture a cui le ideologie scientifiche sono legate, ideologie che imbrigliano la scienza stessa e la mettono coscientemente o no al servizio del capitalismo, parlando di progresso scientifico e fidando ciecamente su di esso per la soluzione di tutti i problemi dell'umanità: vedono quindi il progresso e non vedono le sue applicazioni pratiche nell'automazione in funzione dell'aumento (relativo) dello sfruttamento e (assoluto) dell'alienazione; nel proliferare di armi sempre più degne di beccherie mondiali ripetute a brevi intervalli... E non vedono neppure il contrappeso di questa civiltà scientifico-industriale, che accumula capitale finanziario, nei due terzi dell'umanità affamata nei territori-mercati sottosviluppati. Agli scienziati il marxismo indica la strada di un materialismo cosciente, che solo nuove basi strutturali potranno generalizzare a livello di cultura di tutta una nuova società. Anche se la scienza afferma che non la civiltà delle macchine, ma la verità è il suo fine, le sue stesse ricerche e le sue stesse indicazioni di lavoro provengono dalla società, da quella determinata società in cui è inserita; in questo senso il marxismo parla di scienze borghesi; per il loro distacco dalle altre discipline, per l'incomprensione della loro origine storico-sociale e del proprio fine pratico, che è quello della società borghese, queste scienze possono al profano parere “sovrasociali” (come non può invece, per lo più, la filosofia, l'economia politica, ecc.). Ma qualcosa è duraturo in loro: quel tanto per cui esse contribuiscono necessariamente al dominio dell'uomo sulla natura, in quanto riflesso dello stesso sviluppo dei mezzi di produzione, massimo nel capitalismo, e base della sua stessa fondamentale contraddizione, marxismo afferma perciò che la scienza borghese sarà sostituita solo da quella socialista (a livello ovviamente mondiale, sorta su un quadro produttivo ben superiore a quello borghese).

Non vale quindi l'appello di un singolo o più scienziati per un “giuramento d'Ippocrate” a livello internazionale tra gli stessi scienziati, al fine di impedire che la scienza sia utilizzata dai rispettivi governi per la distruzione dell'umanità: la buona volontà non cambia il mondo, Anche se il marxismo guarda pure a queste “buone volontà” scaturite dalle stesse contraddizioni in cui lo scienziato si trova ad operare, il suo appello può essere solo una indicazione di classe: la necessaria presa di coscienza dell'essenza del capitalismo e della lotta di classe conseguente. Ogni altro “umanesimo” è sterile e può solo fomentare illusioni di una vittoria pacifica della “ragione” umana sull'“irrazionalismo” ed “antiumanesimo” del sistema.

Eleonora Fiorani e Fernando Visentin

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.