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Dal bolscevismo allo stalinismo
Lukacs, come studioso “marxista”, pone da un lato il problema dell'evoluzione del suo pensiero, dall'altro presenta quesiti che assumono rilievo internazionale, assurgendo a livello di “problemi chiave” per la comprensione di tutta una fase della storia contemporanea: ma come si configura il suo “marxismo”? Se teniamo presenti i “canoni” dell'ortodossia marxista da lui tracciati negli anni 1920, e poi scomunicati nel 1924 dal Komintern, e l'incredibile differenziazione che rispetto ad essi presentano opere non certo meno significative, scritte in pieno periodo di controrivoluzione staliniana, rimane difficile trovare un parallelo storico effettivo, se non Bucharin: perché Lukacs, è innegabile, teorizza e fin estremizza posizioni evidentemente antagonistiche. Rifiutiamo in proposito le interpretazioni psicologiche-individualistiche, vuote di senso sul piano storico, e comunque bastevoli a spiegare caso mai solo un silenzio, un ripiegamento, e non lo shandieramento clamoroso della tesi opposta a quella immediatamente prima professata. Una spiegazione di questo tipo è quella di Kostas Axelos (introduzione all'edizione francese di Storia e coscienza di classe):
“Lukacs, questo Galileo socialista e sociocentrico, divenne uno specialista dell'autocritica per un rifiuto tattico del sacrificio.”
Riconosciamo qualcosa di ben più vasto di un'autocritica come fenomeno individuale, in questo contrapporre alle tesi ripudiate tutto un corpo di tesi così clamorosamente e radicalmente contraddittorie: Lukacs non solo si autocritica, ma si autonega: quale forza sociale ha potuto e voluto costringerlo a ciò Galileo, dopo la ritrattazione, non scrisse l'apologia dell'eliocentrismo tolemaico.
I due poli intorno a cui verte la duplicità di Lukacs, poli che possiamo definire grosso modo bolscevico e staliniano, e che con la loro basilare opposizione non mancano di stupire anche i lettori più sprovveduti, trovano la più nota espressione nei libri “Storia e coscienza di classe” e “La distruzione della regione”.
“Storia e coscienza di classe” non va esente da vizi idealistici, comuni peraltro ad ogni impostazione “metodologica”, che comporta sempre una certa quota di impoverimento dell'organicità della dottrina rivoluzionaria e della sua continuità storica: vizi che poi si spiegano ulteriormente con l'hegelismo riconsiderato criticamente solo in parte dall'Autore. Ma questi scrive sotto la pressione della rivoluzione mondiale, annunciatasi in Russia, in Germania, in Ungheria. Il libro fu scritto dal 1919 al 1922, e la stessa esperienza di Spartakus della Repubblica dei Consigli magiara, gli era più vicina. Su quest'onda sale, per così dire, Lukacs, sì da depurare ,nella tensione polemica ad alto livello, il suo pensiero da non poche scorie e contraddizioni che in parte almeno restano come isolate ed estranee alle connessioni più genuinamente storico-dialettiche del discorso. La più nota di queste contraddizioni è la troppo semplicistica critica ad Engels, nel cui Antidurhing, a detta di Lukacs,
“l'aspetto più essenziale di quest'azione reciproca, la relazione dialettica soggetto-oggetto nel processo storico non è nemmeno menzionata, e tanto meno situata, come dovrebbe essere, al centro delle considerazioni metodologiche [... sicchè] il metodo dialettico cessa di essere rivoluzionario.”
Engels non capirebbe che “per il metodo dialettico la trasformazione della realtà costituisce il problema centrale” (ed. frane. De Minuit, pag. 20). Con il che non si riesce a capire perché Marx abbia “avallato” con le sue tesi (e specialmente la XI, sulla necessità di trasformare il mondo invece di cagliare speculazioni) un'opera di Friedrich Engels appunto, come il “Ludwig Feuerbach”! Nota pure la polemica contro la “dialettica della natura” (su cui fin Gramsci, non certo materialista, consentiva solo parzialmente con Lukacs): ma tale argomento, per tutti gli strascichi attuali e l'utilizzazione opportunistica di questo linciaggio del “fedele Fred” meriterebbe tutta un'analisi particolare. Ben più significativa esplicazione dei limiti del giovane Lukacs si ha quand'egli parla disinvoltamente, per il marxismo, di “categorie che vengono direttamente dalla logica di Hegel” specificando che bisogna “indicare il più concretamente possibile i punti in cui le categorie del metodo hegeliano sono diventate decisive per il marxismo” (pagg. 13-14). Grave è l'uso di un'espressione di questo tipo: “la dialettica (hegeliana) corretta da Marx”: laddove il fatto è che Marx capovolta, per sua stessa esplicita dichiarazione: la rottura dell'involucro idealistico si opera appunto scoprendo sì questo nocciuolo dialettico, ma rimettendolo con la testa in su ed i piedi in giù, dalla primitiva posizione invertita della speculazione hegeliana: e del resto tale capovolgimento non si opera all'interno di un'ideologia astratta, ipostatica, ma spostando proprio e rovesciando ogni collocazione “ideologica” dell'analisi: e lo stesso Lukacs deve ammettere (pag. 65) che “l'unità della teoria e della prassi non esiste solo nella teoria, ma anche per la prassi”: cioè in altre parole la riconquista della totalità concreta non si attua solo “demistificando” delle “categorie” da Hegel proiettate in dimensione “mitologica”, ricollegandole, non si sa come, all'attività effettuale, ma trasformando il mondo reale, che è l'unico modo di conoscerlo. Lukacs stesso, studiando la “reificazione” (cioè l'alienazione dell'ambiente umano all'uomo, che si ritrova innanzi, invece della sua di azione, dei suoi prodotti, dei “feticci” mercantili, che con le sue stesse mani si è fabbricato, e da cui, nuovo Apprendista Stregone, è ora dominato; a causa della soggezione derivata dai concreti rapporti sociali, ciò anche per il borghese, v. rapporto servo-padrone hegeliano), studiando dunque questa “reificazione” si trova costretto, sia pure mascherandosi con un linguaggio equivoco, abbastanza spesso di tono e sapore idealistico, a scendere sul piano della prassi concreta: ripetiamo ancora, sotto la pressione delle sollecitazioni ineludibili, che tutto il momento storico gli rivolge.
Così, fin dal saggio che apre la “Storia e coscienza di classe”, e si intitola “Che cos'è il marxismo ortodosso?”, in cui più viene esplicitamente definita “la realtà come divenire sociale” (formula storicistica - anche la natura è ambiente umano, e base per lo sviluppo storico, ecc. - da non confondersi con la “esperienza socialmente organizzata” degli empiriocriticisti, ed affine a certe espressioni gramsciane), partendo sia dai manoscritti giovanili che dalla “Introduzione alla critica dell'economia politica” Lukacs avanza una chiarificazione del concetto di “totalità organica”: ed afferma:
“quando si dia una situazione storica in cui la conoscenza esatta della società diviene per una classe la condizione immediata della sua auto-affermazione nella lotta, quando, per questa classe la conoscenza di se stessa significa al contempo la conoscenza esatta dell'intera società, quando conseguentemente per tale conoscenza questa classe è insieme soggetto ed oggetto, e la teoria si trova in presa immediata ed adeguata sul processo della rivoluzione sociale, allora si rende possibile l'unità della teoria e della pratica, condizione preliminare della funzione rivoluzionaria della teoria [...] la teoria è l'espressione nel pensiero del medesimo processo rivoluzionario.” (pag. 19)
Ritorna pertanto il concetto basilare del proletariato “erede della filosofia classica tedesca”, o, per dirla con Joseph Dietzgen, “vero portatore dell'organo del pensiero”, come solo capace di comprendere e penetrare nella pratica la “totalità”, che è la realtà vera: l'opportunismo astratto e metastorico ha cercato di spezzare questa totalità, e quindi l'unità della teoria e della prassi. Ma di contro a lui il marxismo riafferma l'organicità globale di tale dialettica, per cui ogni momento della lotta va proiettato nella prospettiva rivoluzionaria. In questo senso si afferma la
“grandezza e fecondità di Lenin come teorico che ha elevato l'essenza pratica del marxismo ad un livello di chiarezza e concretezza mai precedentemente raggiunti... che ha salvato questa dimensione da una dimenticanza pressoché totale e che mediante quest'atto teorico ci ha ridato la chiave della corretta comprensione del metodo marxista.” (pag. 10)
Nel 1924, in uno studio intitolato a Lenin, Lukacs dovrà poi riaffermare con maggior rigore d chiarezza questi concetti, ampliando l'analisi impostata nella “Storia e coscienza di classe” (v. gli scritti: Rosa Luxemburg, marxista: Note critiche sulla critica della rivoluzione rossa di Rosa Luxemburg; Note metodologiche al problema dell'organizzazione). In questi scritti, elaborando i concetti già delineati, Lukacs affronta il problema concreto dell'organizzazione rivoluzionaria nell'epoca dell'imperialismo: affronta il grande quesito dell'accumulazione del capitale, in relazione particolarmente allo scritto luxemburghiano.
“Tutto il Capitale è un frammento interrotto proprio al punto in cui dev'esser posto questo problema... in conseguenza Rosa Luxemburg non ha fatto altro che portare fino in fondo, nello stesso senso, tale frammento, completandolo conformemente allo spirito di Marx [... di cui Rosa fu] la sola discepola che seppe prolungare realmente l'opera della propria vita tanto sul piano dei fatti economici che su quello del metodo economico, così concretamente ricollegandosi al livello attuale dell'evoluzione sociale.” (pag. 52)
Così Lukacs sa criticare marxisticamente Rosa per i suoi attacchi al bolscevismo, ed impostare correttamente il problema della dittatura del proletariato (sovietica): Rosa cioè
“non riconosce la forma sovietica come forma di lotta e di governo del periodo di transizione, forma di lotta per conquistare ed impostare le condizioni del socialismo... la funzione dello stato proletario non è la stessa dello stato borghese nella società borghese. I Soviet sono... un'anticipazione della “situazione giuridica” di una fase ulteriore... il solo mezzo appropriato perché questa situazione anticipata prenda realmente vita.” (pagg. 318-320 passim)
E se, sotto l'influenza della Repubblica dei Consigli (di cui fu commissario, a fianco di Bela Kun) Lukacs parla appunto di “consigli operai rivoluzionari” come forma di “coscienza del proletariato”, senza approfondire troppo il problema e specificare se tali consigli, organi consiliari in genere, assemblee ecc. debbano sorgere prima o durante la crisi rivoluzionaria (crediamo propenda per la seconda posizione, anche per gli esempi concreti dell'epoca), nelle Note metodologiche individua assai nettamente la dialettica tra “fine” e “movimento”, “teoria” e “prassi”, di cui l'organizzazione è l'elemento di “mediazione”: e mediazione più in generale fra l'uomo e la storia, al di là da ogni sterile individualismo e nel necessario impegno integrale e totalizzante: “Il passo decisivo, l'associazione anticipata prenda realmente vita” (pagg. 318-320 passim.). E se, sotto l'influenza della Repubblica dei Consigli (di cui fu commissario, a fianco di Bela Kun) Lukacs parla appunto di “consigli operai rivoluzionari” come forma di assimilarsi alla forma organizzativa opportunistica, tendente a livellare la coscienza proletaria al grado più basso, economistico ecc.
“cioè la formazione effettiva di un vero partito comunista, resta l'atto cosciente e libero di questa avanguardia essa stessa cosciente [...] la separazione organizzativa posta fra l'avanguardia cosciente e le grandi masse è solo un momento del processo unitario, ma dialettico, dell'evoluzione di tutta la classe, dell'evoluzione della sua coscienza.” (pag. 371, pag. 381)
Ulteriori precisazioni si hanno nel saggio del 1924 su Lenin, dove Lukacs vede il legame Lenin-Marx nell'idea fondamentale dell'attualità della rivoluzione:
“poichè il materialismo storico, come espressione concettuale della lotta di liberazione del proletariato, poteva essere afferrato e formulato teoricamente solo in quel determinato momento storico in cui la sua attualità pratica fosse venuta all'ordine del giorno della storia.”
Il problema dell'attualità della rivoluzione si connette direttamente con quello del Partito. Ritorna ad un livello più concretamente determinato il riconoscimento lukacsiano della questione organizzativa dell'avanguardia rivoluzionaria come fondamentale; e si precisa la polemica contro l'uso meccanico ed antistorico del marxismo, che si risolve in forme di spontaneismo e di operaismo economistico. Però “il Partito inteso come organizzazione rigidamente centralizzata dei soli elementi più maturi del proletariato era concepito come strumento della lotta di classe in un periodo rivoluzionario” e ciò toglie al bolscevismo l'imputazione di giacobinismo, o blanquismo deteriore. In realtà, afferma Lukacs, il Partito è “la coscienza di classe del proletariato fattasi figura visibile”. Ovviamente l'attualità della rivoluzione significa che la crisi si estende a tutta la società, e qui vien sottolineato un altro punto importante che è quello dell'alleanza sì, del proletariato, “con tutti gli oppressi e gli sfruttati della società”, ma a condizione che il proletariato detenga effettivamente l'egemonia, e sappia quindi coordinare il movimento rivoluzionario. Il Partito né fa la rivoluzione, sostituendo il proletariato, né è il prodotto della pura spinta spontaneistica, ma invece “deve cercare di agire come fattore di accelerazione sulla maturazione di queste tendenze rivoluzionarie”. Relativamente alla “presa” della teoria sulle masse, bisogna tener presente
“che le masse possono imparare solo nell'azione, solo nella lotta possono prendere coscienza dei loro interessi. In una lotta le cui basi storico-sociali sono in continuo mutamento e in cui le condizioni ed i mezzi di lotta si trasformano ininterrottamente, il Partito, guida del proletariato, può realizzare la sua missione solo se si trova sempre un passo più avanti rispetto alle masse in lotta, per poter indicare loro la strada: ma esso è sempre più avanti di un solo passo, per poter continuare a restare la guida della loro lotta”
... il che esclude ogni sostitutismo.
Lukacs dopo la vittoria del nazionalsocialismo lascia la Germania e si rifugia a Mosca. Nel 1945 rientra in Ungheria e comincia a pubblicare i suoi scritti, che riguardano quasi tutti la storia della letteratura e della filosofia tedesca nei suoi nessi con i problemi della società capitalistica (studi su Htilderin, Heine, Faust, Il giovane Hegel, La distruzione della ragione).
Esaminiamo le “categorie di interpretazione del pensiero” impiegate ne La distruzione della ragione, titolo già di per sé significativo e quasi programmatico; Lukacs procede in base ad una classificazione fondata sull'antitesi manichea “ragione-irrazionalismo”. Pare completamente dimentico di tutte le osservazioni - che tanto interesse, anche polemico, avevano suscitato - da lui stesso rivolte criticamente ai “feticci reificati” della borghesia, gli Assoluti moderni: Progresso, Scienza ecc., ed anzi, pur nell'esposizione, assume toni tra l'illuministico cd il positivistico. Il termine di “ragione” preso a sè non è certo univoco e tanto meno metastorico, come tende a mostrare invece la analisi di Lukacs, che pure in veste dialettica mira appunto ad introdurre un neo-illuminismo legato strettamente ad una visione generale meccanica ed idealistica (anche, talvolta, nel senso volgare) degli accadimenti storici, e particolarmente del nesso dialettico tra momento oggettivo e soggettivo (e a maggior ragione del rapporto dottrina rivoluzionaria-avanguardia-masse), specialmente in relazione all'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria, che grosso modo è quella che si apre dopo il periodo segnato dalla filosofia hegeliana.
Il problema centrale che Lukacs esamina riguarda il nesso tra l'irrazionalismo filosofico, come assolutizzazione del negativo nel pensiero post-hegeliano e l'irrazionalismo politico del fascismo. L'irrazionalismo filosofico consiste nella lotta contro la dialettica hegeliana, aperta già da Schelling: e cioè la scelta dell'essere sul pensiero (e quindi la loro scissione), la preminenza data all'intuizione sul concetto, e quindi il prevalere di una “gnoseologia agnostica” che valorizza la conoscenza soggettiva e proietta il tempo nella dimensione di un soggettivismo vitalistico. A parte il fatto che una tale generalizzazione è immediatamente criticabile, e per la sua eccessiva estensione comprensiva, e per l'acritica assimilazione di filoni di pensiero solo parzialmente e spesso occasionalmente o in apparenza coincidenti (Schelling, Nietzsche, Schopenhauer Kierkegaard, Dilthev, Simm, Spengler, Scheler, Heidegger, daspers, Klager, Stinger Baeumler, Boehm, krieck, Rosenberg!) va notata a livello marxista la dialettica anzitutto dei rapporti struttura-sovrastruttura (qui Lukacs erra in senso materialistico-volgare!) e l'incomprensione, come vedremo fatalmente portata alle sue estreme conseguenze, della logica interna, pur nelle inevitabili contraddizioni, dell'imperialismo, da Lukacs troppo spesso considerato su piano “teratologico”.
Per Lukacs infatti è necessario analizzare l'irrazionalismo perché esso, sorto come “lotta contro il concetto borghese di progresso”, diviene lo strumento infernale del fascismo (La distruzione della ragione, cd. Einaudi, pag. X), ove si incominciano a fare dei “distinguo” tra imperialismo nazionalsocialista ed imperialismo democratico (a parte la U.R.S.S.). Dice ancora Lukacs:
“La possibilità di un'ideologia fascista aggressiva e reazionaria è contenuta obbiettivamente in ogni espressione filosofica dell'irrazionalismo.” (pag. 32)
Per capire questo collegamento bisogna tener presente la stretta connessione che Lukacs continua a vedere tra Hegel e Marx per il problema della dialettica. L'opposizione alla dialettica sul piano filosofico diviene per lui sul piano storico-sociale l'opposizione al movimento operaio, all'avanzata della ragione ed al progresso nella storia.
“L'irrazionalismo - dice Lukacs - come fenomeno internazionale nel periodo dell'imperialismo è la risposta più significativa e gravida di conseguenze ai grandi problemi degli ultimi 150 anni.”
Ciò in Lukacs dimostra la tendenza a “scindere le responsabilità” col discorso degli e “imperialisti buoni” e democratici, alleati dell'U.R.SS. nella seconda Guerra Mondiale (gli yankees diverranno “cattivi” ed andranno verso il nazismo in seguito, finita l'alleanza).
Infatti Lukacs non capisce da un lato che il fascismo è un fenomeno transitorio dell'imperialismo, e che ovviamente tende ad assumere caratteri sovrastrutturali improntati alle varie tradizioni e caratteristiche nazionali, che sono quindi elemento secondario e non essenziale. Dall'altro lato, interpretando il nazionalsocialismo come la risposta massima e generale della reazione imperialistica al movimento operaio, può sfalsare a piacimento il quadro reale della seconda guerra mondiale, conflitto inter-imperialistico, cui fa assumere il carattere di lotta contro la “patria dei lavoratori” U.R.S.S. Dice infatti:
“quando l'irrazionalismo, cioè la fondamentale, totale distruzione della ragione, è diventato la Weltanschauung, di un grande paese, questo, misuratosi in guerra con il suo avversario ideologico e sociale, l'U.R.S.S., ha subito una rovinosa disfatta [...] come Rider ha fallito politicamente e militarmente non già per errori singoli, ma per l'essenza del suo sistema, così l'irrazionalismo come Weltanschauung ha trovato in Hitler la sua forma adeguata di prassi, ed è finito in modo adeguato” (pag. 765, pag. 776).
Per Lukacs il problema dell'imperialismo, oggi - e quindi dell'irrazionalismo - è quello di preparare una nuova guerra contro l'U.R.S.S. Per questo, dopo aver esaminato la filosofia post-hegeliana, esamina il pensiero statunitense mostrando in esso un irrazionalismo diverso e simile nello stesso tempo a quello tedesco: il machismo-pragmatismo. Gli Stati Uniti hanno preso il posto della Germania: La parte “democratica” del capitalismo che si era diretta contro il fascismo, afferma Lukacs, prende su di se la crociata anticomunista e quindi si modifica il contenuto e la struttura delle loro concezioni democratiche.
L'ideologia “antitotalitaria” assume inevitabilmente un carattere fascista sempre più pronunciato (pag. 774), dove si potrebbe rispondere con una frase dello stesso Lenin, che Lukacs medesimo aveva parafrasato così nel saggio omonimo del 1924:
“La democrazia politica è soltanto una delle possibili forme (benché sia quella teoricamente normale per il capitalismo allo stato puro) della sovrastruttura costruita sopra il capitalismo. Come i fatti provano, il capitalismo, come anche l'imperialismo, si sviluppa in ogni forma politica e si adatta a tutte le forme.”
E quindi finché esiste capitalismo esiste l'inevitabilità della guerra, e la lotta fra la classe borghese e quella operaia: l'imperialismo non si è indebolito, ma rafforzato con l'entrata nel conflitto mondiale dell'URS.S., stato retto a capitalismo monopolistico di Stato, e con l'asservimento del proletariato agli interessi imperialistici mediante la lotta partigiana su fronte unico. Ma, dice, Lukacs, nonostante l'irrazionalismo dell'ideologia statunitense della “guerra fredda”, la situazione ora (1952) è cambiata per la consapevolezza molto maggiore degli uomini nel far si che non si ripeta la vittoria dell'irrazionalismo. Segno di questo sono la diffusione dei testi marxisti; la forza di attrazione del marxismo-leninismo sugli intellettuali progressisti
“sempre più gli scienziati comprendono quale aiuto può loro offrire il materialismo dialettico, tanto più che esso nell'UR.S.S., proprio mediante la soluzione dei problemi scientifici concreti, ha portato ad un più ampio livello sia la scienza stessa che il proprio metodo. Sempre più scrittori ed artisti constatano la stessa cosa per quanto riguarda la loro arte [...] Tutti conoscono la libertà stalinista, la serietà scientifica dei Lyssenko, la validità estetica del realismo socialista” (pag. 855-56)
... alla Fadecv, ecc., per cui non riteniamo fare un contraddittorio. Ultimo e decisivo elemento di questa situazione mutata è secondo Lukacs il movimento per la pace:
“il fatto nuovo è però che la reazione delle masse è completamente diversa da quella che si era avuta di fronte alle passate guerre mondiali. Il fatto di 600 milioni di firme per la pace è universalmente noto [...] Questa sollevazione delle masse a favore della ragione è il grande elemento che oggi si oppone al timor panico di fronte alle masse e all'irrazionalismo ad esso strettamente congiunto. Questa sollevazione è quindi considerata storicamente la reazione contro lo scatenamento hitleriano degli istinti irrazionali, e insieme una campagna di rivincita o piuttosto un soffocamento in germe delle azioni alla Hitler progettate per lo avvenire.” (pag. 857)
Anche qui citiamo una frase del Lenin lukacsiano:
“Poiché la coscienza, e quindi l'attitudine direttiva in questa lotta per la rivoluzione - da un punto oggettivamente di classe - esiste soltanto nella coscienza di classe del proletariato, esso può e deve divenire nella rivoluzione imminente la classe dirigente dei capovolgimento sociale.”
Resta perciò facilmente intuibile quale portata classisticamente controrivoluzionaria abbia assunto la reazione staliniana, che costrinse Lukacs a passare in tal modo da posizioni rivoluzionarie a posizioni assolutamente capitolarde, e rinunciatarie ad ogni serietà scientifica cosi come ad ogni chiarezza di classe, fino al recente “krusciovismo dialogatore e, come sempre coesistente”.
Eleonora Fiorami e Fernando VisentinPrometeo
Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.
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III Serie - Gennaio 1965
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